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Marcegaglia agli imprenditori: “ci vuole un governo vero”

Non riusciamo a interpretare diversamente il videomessaggio (lo stile è copiato, ma la signora non ha mai brillato per originalità) con cui il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha chiamato tutti i suoi colleghi per un “evento” da tenere il 7 maggio. Il giorno dopo uno sciopero generale proclamato dalla Cgil controvoglia e già utilizzato per arrivare a un “nuovo modello contrattuale” che di fatto accetta il “modello Cisl”. Sembra quasi concordato.

Ha chiamato proprio tutti, i multinazionalizzati come gli incartapecoriti nella propria valle. Ben sapendo che i secondi non hanno molto da dire, ma stanno cercando una nuova direzione dopo aver creduto nelle favole berlusconiane e leghiste.

Ma perché li chiama? Per fare cosa? La sintesi non è difficile, ancorché contraddittoria. Riferisce Repubblica:

“In un paese che stenta sempre di più a crescere e di fronte a nuove ondate di sconvolgimenti internazionali che mutano le fondamenta di Paesi a noi vicini come il Nord Africa e il Medio Oriente, mai come in questi momenti gli imprenditori si sentono soli”. “L’Europa si divide sul rigore tra pochi Paesi forti e molti a rischio, la lotta per la competitività sui mercati mondiali diventa sempre più aspra, con prezzi delle materie prime sempre più instabili”.

E’ un ragionamento con formule vaghe, ma dal contenuto inequivocabile: non abbiamo un governo in grado di guidare la barca-paese in un mare in tempesta.

 

E quindi “l’Italia di oggi è già un paese troppo diviso dall’impresa può e deve venire un esempio per tutti, un esempio di come liberamente si possa convergere su poche scelte chiare e di priorità condivise per ridare all’impresa la capacità di crescere, la capacità di creare lavoro, coesione sociale e proiezione nel mondo. Facciamo sentire forte la nostra voce per dare al paese un messaggio chiaro e preciso delle cose da fare. Decidiamo insieme l’Italia da fare”.

Tradotto: indichiamo noi le priorità che qualsiasi governo presente e futuro dovrà mettere al centro della propria agenda.

Non è una novità: gli imprenditori fanno sempre questa mossa. L’hanno fatta anche tre anni fa, quando hanno benedetto questo governo perché gli garantiva riduzione della tasse, un occhio bendato sull’evasione e soprattutto la demolizione delle residue tutele del lavoro. Hanno voluto una classe politica incapace, incompetente, ricattabile e sostituibile in ogni elemento per avere la garanzia della totale subordinazione. Hanno accettato di mediare con interessi malavitosi incarnati in facce politiche che tutti conosco, pur di avere mano libera.

 

Il problema è che sono loro – gli imprenditori – a non sapere cosa vogliono.

I multinazionalizzati hanno già parlato col linguaggio di Sergio Marchionne: regole ferree stabilite da loro, nessun diritto del lavoro, sindacato ridotto a fornitore di servizi a pagamento.

I piccoli sono piccoli. C’è chi vuole poter “fare” usando manodopera in nero, in condizioni semischiavistiche. Chi sa di poter stare su piazza solo perché a qualche dipendente col know how giusto; ha bisogno di tenerselo stretto anche a costo di pagarlo (un po’) di più. C’è chi vorrebbe uno stato capace di accompagnarlo alla conquista di mercati nuovi e chi ne vorrebbe un altro che si preoccupi solo di bloccargli la concorrenza “emergente” alla frontiera. E così via.

 

Temiamo quindi sapere cosa faranno: porranno condizioni, tutti i partiti (i partiti?) diranno di essere d’accordo. Nella kermesse o nei giorni successivi (location da definire, ma sceneggiatura già scritta) annuncerà la “discesa in campo” anche Luca Cordero di Montezemolo. Sembra la ripetizione del dopo-Tangentopoli, con presidente della Ferrari al posto di quello Mediaset. E’ anche logico, in fondo. Hanno verificato anche loro che con la messinscena non si va avanti, mentre con qualcosa di industriale si spera di sì.

Ma sempre di ripetizione si tratta. Il problema è questo: quel che si vuol ripetere (un berlusconismo senza Berlusconi) era già una farsa. Dove vogliono arrivare?

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