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Il governo Bisignani

Diciamo la verità: noi di sinistra abbiamo da sempre l’impressione di essere governati da un Moloch superintelligente, che tutto vede, controlla, prevede, produce. Sì, va bene, solo i meno svegli tra noi ne sono assolutamente convinti, al punto di immaginare un complotto dietro ogni evento storico.

Però ammettiamolo: un briciolo di superiorità questo “governo ombra” nei nostri sogni lo doveva pur avere.

Poi ti metti a leggere gli articoli che seguono, le intercettazioni, i discorsi che si fanno tra “potenti” e scopri l’esatto opposto. Nessuno decide un cazzo, tutti rimangono appesi a qualche “consigliori” esterno che garantisce un tramite non si sa bene con chi, tutti a cercar di monetizzare al massimo una breve stagione da protagonisti in un ruolo di cui sanno di non essere all’altezza. Immagini dunque che i politici caricaturali imbarcati grazie alla “porcata” di legge elettorale possano essere delle pippe mostruose, un misto di portaborse arrivati per sbaglio a una carica ministeriale, ex soubrette ricompensate con soldi pubblici per risparmiare qualcosa, picchiatori fascisti di cui è meglio disporre in aula se qualcuno si oppone davvero. Però, “sopra di loro”, qualcuno dovrebbe comandare.

E invece no. Berlusconi non decide un tubo, al massimo fa cadere il suo parere sul piatto della bilancia nel bel mezzo di un conflitto tra interessi opposti di due ministri minori. E tutti ne parlano come di un vecchio rimbambito che si fa coglionare dalla prima gallinella che gli fa le moine. Gianni Letta media tutto, ma – appunto – media, non determina.

Facile, allora! Comandano le grandi imprese… Ma scopri che Montezemolo, presidente Ferrari ed ex Fiat, chiede una raccomandazione per far lavorare in Rai la sua ex fidanzata, Edwige Fenech, talentuosa produttrice cinematografica ed ex attrice di grande presenza ma ben scarso talento; in cambio assume in Ferrari il figlio di Bisignani, così quello non si scorda della richiesta. E vedi Scaroni – che comanda per conto del governo l’Eni, ossia una multinazionale petrolifera, mica una fabbrica di biscotti – che prende consigli come uno scolaretto da un Bisignani qualsiasi. Che è uno che si infila in mezzo a tutti gli affari, consiglia tutti, combina dossier per far fuori i “nemici”, suggerisce comportamenti e menzogne, ma pure lui è uno che impasta me…lma per conto di altri.

Ecco, diciamo che ci deludono proprio. Almeno facessero la Spectre, ci rassegneremmo a esser comandati da cattivoni in tenuta da Darth Vader. Invece, niente. Nemmeno un governo Berlusconi da cacciar via con una ritrovata “unità antifascista”. Ma un “governo Bisignani” che quasi ti vien da ridere mentre ti accingi a “combatterlo”.

E ti viene la consapevolezza che in fondo, sì, si può pure vincere davvero. Come al referendum, per una posta però più alta.

Buona lettura….

 

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Da La Stampa

Il suggeritore nelle nomine

 

Elisa Grande sulla Santanchè: «Me l’hanno presentata Masi e Bisignani. Poi lei mi chiamò per lamentarsi che i miei uffici non compravano pubblicità dalla sua società concessionario la “Visibilia”

GUIDO RUOTOLO

INVIATO A NAPOLI
E’ una testimone al di sopra di ogni sospetto, Elisa Grande, dirigente della Presidenza del Consiglio dei ministri nel settore dei contributi per la stampa. E’ lei che introduce il capitolo dei rapporti di Bisignani con il mondo dell’informazione.

Santanchè rompe
«Ho conosciuto la Santanché (Daniela, sottosegretario, ndr) a un pranzo e me l’hanno presentata Masi e Bisignani; poi l’ho rivista quando è diventata sottosegretario. So che la Santanchè ha a che fare con la Visibilia che è una società concessionaria di pubblicità. Che io sappia la Visibilia era il concessionario della pubblicità di Libero e del Giornale, ora, se ben ricordo, del solo Giornale, e mi pare del gratuito Metro. Bisignani mi disse che mi avrebbe chiamato la Santanchè. Successivamente mi chiamò una prima volta lamentandosi che i miei uffici non compravano pubblicità da Visibilia, cosa non corrispondente al vero. Con riferimento alla suddetta conversazione ritengo che Bisignani conosca bene Dagospia di D’Agostino. Dico questo perché fu lo stesso Bisignani a dirmi di aver fatto uscire delle cose su di me su Dagospia».

La difesa di Bisignani parte dai suoi rapporti con Daniela Santanché: «Feci stringere i rapporti tra la Santanchè e la famiglia Angelucci, in particolare con Gianpaolo e Antonio. Costoro avevano difficoltà a raccogliere pubblicità per il giornale Libero, di cui erano editori. In seguito i rapporti tra la Santanchè e gli Angelucci si sono incrinati per via del fatto che la Visibilia ha iniziato a raccogliere pubblicità con il Giornale. Ho presentato la Santanché a Lucchini dell’Eni, a Comin dell’Enel, alla dottoressa Giorgetti di Poste Italiane».

D’Agostino
Un tempo fu giornalista (radiato dall’Ordine). E il mondo dell’informazione è sempre stato il suo pallino. Luigi Bisignani, per l’accusa, aveva punti di riferimento acquisiti nella Rai di Mauro Masi e nel sito di gossip Dagospia. Che ha replicato al suo coinvolgimento nella inchiesta, ricordando ai pm napoletani: «I giornalisti prendono le notizie dalle fonti, le verificano e le pubblicano. Le fonti le scelgono liberamente loro. Non se le fanno indicare dalle procure della Repubblica, almeno nell’Occidente democratico».

E quindi perché sottolineare, per esempio, che Bisignani e Papa frequentano il giornalista del “Giornale” Gianmarco Chiocci? I pm sottolineano che «a detta dello stesso Bisignani, viene utilizzato come informatore giudiziario?».

Rai mia
Sorprendente il potere di interdizione di Bisignani sulla Rai di Masi. All’ex direttore generale Rai, Bisignani suggerisce le nomine da fare. «Nella conversazione in esame – mette a verbale Masi – io faccio riferimento alla posizione che riguardava Gianni Minoli, che come dico mi era stata segnalata anche da Gianni Letta. In particolare con Bisignani si parlava della nomina del Minoli come responsabile delle attività della Rai per la celebrazione dei 10 anni dell’Unità d’Italia. Nella sintesi della conversazione – è costretto a precisare Masi – si dice e si parla di fregare Ruffini nel senso che Ruffini non voleva ospitare sulla seconda serata di Rai 3 la trasmissione di Minoli. Poi è accaduto il contrario nel senso che ha avuto ragione Ruffini. Il Massimo a cui si fa riferimento è Liofredi che proteggeva la Monica Setta che io non volevo».

Ma con Bisignani, Masi parlava anche di altro: «Il Ferruccio al quale si fa riferimento è Ferruccio De Bortoli con il quale il Bisignani ha ottimi rapporti». E poi parlava di produzioni tv. «Tanto il Bisignani che Cordero di Montezemolo mi rappresentarono una questione riguardante la Fenech e una produzione di fiction dalla stessa proposta; io non ho fatto alcun intervento». Luca Cordero di Montezemolo è stato sentito dagli inquirenti napoletani che gli hanno fatto ascoltare alcune intercettazioni telefoniche. «Io chiesi al Bisignani un intervento su Masi nell’interesse di Edwige Fenech – e ciò dal momento che so che il Bisignani è amico dl Masi che è stata la mia compagna e che produce film o meglio fiction per la Rai». Si è trattato solamente «di un gesto cavalleresco» hanno fatto sapere in serata ambienti vicini al presidente Ferrari. Che si è detto stupito del fatto che circolino notizie su fatti «così poco rilevanti».

Dagospia per tutti
Dunque, il sito del gossip per eccellenza nei fatti era, per l’accusa, nelle disponibilità di Bisignani. La vicenda della cena del vicepresidente del Csm, Vietti, viene offerta da Papa a Bisignani per piazzarla su Dagospia: «Ciò a conferma «- annotano i pm – della cogestione occulta da parte del Bisignani del noto sito scandalistico, al quale lo stesso Bisignani ha fatto ottenere dall’Eni pubblicità per oltre 100.000 euro all’anno».

Interrogato dai pm, Luigi Bisignani ha provato a inquadrare i suoi rapporti con il sito di gossip: «Sono molto amico di Roberto D’Agostino che ha sposato la figlia di un amico di Andreotti. Credo di avere un certo ascendente su D’Agostino con il quale avevo in comune l’amicizia con il presidente Cossiga. Io ho sicuramente favorito il contatto tra l’Eni e Dagospia, suggerendo all’Eni di fare pubblicità su Dagospia».

 

 

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Da Repubblica

L’INCHIESTA P4

Il governo ombra al servizio di Berlusconi
così il sistema controllava l’intero Paese

Le indagini sulla nuova loggia che sconvolge e governa l’Italia: un doppio livello, quello ufficiale a palazzo Chigi e quello ombra in mano a Bisignani, che tesseva trame in tutti i palazzi. Per i pm si tratta un sistema criminale illegale “preordinato all’acquisizione e alla gestione, con modalità operative tipiche delle più sofisticate associazioni di stampo terroristico e mafioso”

di LIANA MILELLA E FRANCESCO VIVIANO

MINIMIZZANO quelli del Pdl. Fanno spallucce i berlusconiani, anche quelli del cerchio più stretto. Se gli chiedi chi era Bisignani ti rispondono: “Quello? Lavorava solo per sé”. E Papa? “Un poveraccio, mai calcolato”. E invece la storia non è andata affatto così.  Bisignani era Berlusconi. Berlusconi era Bisignani. Bisignani era Letta. Letta era Bisignani.

Il “governo ombra” lo teneva in mano proprio lui, Luigi Bisignani. Quello ufficiale lo reggeva Berlusconi. Ma era il “piduista” di sempre a tessere in tutti i palazzi, quelli istituzionali, quelli della grande economia, quelli delle polizie e degli 007, quelli dell’informazione a partire dalla Rai, la trama segreta, a muovere la “macchina del fango”, a spostare e sistemare gli uomini giusti laddove servivano.

Non è scritto in una fiction. Non è un romanzo giallo. Ormai è stato cristallizzato negli atti di un’inchiesta giudiziaria. Quella dei pm di Napoli Francesco Curcio ed Henry John Woodcock. Due anni di lavoro. Una montagna di carte che potrebbero essere un palazzo. Quindicimila? Una più, una meno. I faldoni dell’indagine sulla nuova loggia che sconvolge e “governa” l’Italia.

Gli avvocati degli imputati, da ieri, stanno leggendo le 15mila pagine, una dopo l’altra, con allarme crescente. Oggi sicuramente, a Montecitorio, nella giunta per le autorizzazioni che deve affrontare il dossier sulla richiesta di arresto per Alfonso Papa, gli uomini del Cavaliere pretenderanno di acquisirle tutte quante. Serve solo per prendere tempo. Per cercare di salvare, dopo il coordinatore della Campania Nicola Cosentino, anche Papa. Il magistrato infedele, divenuto deputato del Pdl per esplicita imposizione di Bisignani, che per suo conto girava le procure di mezza Italia, a partire da Napoli, sfruttava l’aiuto di poliziotti e carabinieri traditori quanto lui, portava tutto a Bisignani.

Bisogna raccontarlo nei dettagli questo “sistema criminale illegale e surrettizio”. “Preordinato all’acquisizione e alla gestione di notizie, per scopi e finalità illecite ed extra ordinem, con modalità operative tipiche delle più sofisticate compagini associative di stampo terroristico e mafioso”. Lo descrivono così Curcio e Woodcock. Che raccolgono i fatti. Che si guardano bene dal lasciarsi andare a qualsiasi considerazione anche solo velatamente politica. Nulla che possa scatenare contro di loro l’accusa di essere magistrati “di partito”.

I fatti, appunto. Essi dimostrano che Bisignani e Berlusconi era come se governassero assieme. Lo prova la sudditanza dei ministri a colloquio con il manovratore della P4. Gianni Letta, proprio il grande saggio di palazzo Chigi, l’ambasciatore con il Colle, è il primo a essere ossequioso perfino quando lo interrogano a Napoli. “Luigi è persona estroversa, brillante e bene informata. È amico di tutti. È l’uomo più conosciuto che io conosca. Bisignani è un uomo di relazioni”.

Quanto grandi e potenti erano queste “relazioni” è ormai documentato. Agli atti. Relazioni funzionali a sostenere il premier ufficiale, il Cavaliere. Con cui “don Luigi” è in rapporti intimi. Lo vuole perfino invitare alla festa di compleanno di sua madre. È il 3 dicembre del 2009. Lui ne parla a telefono con la sorella. Lei si mette di traverso, lo ferma, non vuole che diventi “una Noemi seconda”, cioè una festa scandalo come quella per il 18 anni della famosa Noemi Letizia. Che dalle veline si passi alle “velone”. Lui insiste, dice che Berlusconi “gli ha già detto di sì”, che “se ne frega”, pur sapendo che Repubblica “sta addosso a sta cosa”. La sorella però, come scrivono i magistrati, “ha paura che sul giornale potrebbe andare a finire il nome dei Bisignani”. Lei preferisce “annullare tutto dicendo a Berlusconi che la mamma sta male”.

Un rapporto sotto i riflettori, in cui non c’è neppure bisogno di nascondersi. Come tutti quelli che intrattiene Bisignani, l’uomo che controlla palazzo Chigi e lo Stato. Il primo ministro ombra. Che comanda a bacchetta ministri come Stefania Prestigiacomo. Lei gli chiede aiuto per migliorare i rapporti con il collega Paolo Romani, visto che lui “non si comporta bene”. E lei è a secco di finanziamenti per il suo ministero. Ignazio La Russa è disponibile: “Arrivo a Roma, se ci vogliamo vedere facciamo il punto su questa situazione e tu mi aiuti a capire un po’ questa matassa perché non è tanto chiara”.

Dà suggerimenti a Franco Frattini. Con Denis Verdini i suoi colloqui sono continui. Parlano di politica e, ovviamente, di inchieste. Quelle ormai di vecchia data, come la P3 in cui lui è indagato, e quelle di cui non si sa ancora nulla, come la P4. Non disdegna neppure Daniele Capezzone (“Vediamoci con piacere, per scambiare due idee perché qui mi pare che si va a sbattere proprio”). È in familiarità con il finiano Italo Bocchino (“Dove sei? Io sto arrivando lì, se tu ce la fai ti dico una cosa al volo…”).

Ma è sulla stampa che Bisignani gioca il ruolo di Gran maestro e gran manovratore. Lui disegna gli organigrammi, sceglie gli uomini, ma anche gli obiettivi da appoggiare o da distruggere. L’ex direttore generale Mauro Masi è una sorta di “scendiletto”, un fedele esecutore dei suoi voleri, “il nostro eroe della Rai”. Quando Bisignani decide che è tempo di liquidare Michele Santoro e Annozero detta direttamente a Masi la lettera di ammonimento per cacciarlo via. Poi ne parla così: quel giornalista “è una vergogna, gente che fa roba del genere è da licenziarla…”.

Tanto è potente nel Tg1 di Minzolini da rivedere perfino le interviste. Come quella col direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli: “Sì, l’ho rivista, molto istituzionale, Augusto è un grande professionista…”. Tutto il contrario di Maria Luisa Busi, l’ex conduttrice del Tg1, che Masi riesce a far buttare fuori.

Sulle aziende pubbliche e private Bisignani detta legge. Eccone una riprova. Il 25 ottobre del 2010 parla al telefono con il patron dell’Eni Paolo Scaroni. Il quale lo informa che “sta andando ad Arcore per incontrare Berlusconi”. E Bisignani gli dà un ordine: “Gli devi dire di fare l’accordo sulla giustizia. Si deve mettere d’accordo con Fini, e farla finita. Senno qui si va alle elezioni. Senno qui è la morta gora. È la rivolta di tutti i ministri. Per cui, o fai l’accordo mangiando tutto quello che devi mangiare, oppure chiudi la partita”. Al presidente in quel momento di Mediobanca Cesare Geronzi (poi “promosso” al vertice delle Generali) è legato al punto che quando Salvatore Nastasi, il capo di gabinetto dell’ex ministro Sandro Bondi, ha bisogno di un appuntamento, chiede a lui “l’autorizzazione per ottenerne uno”. È scritto proprio così nel brogliaccio di una telefonata intercettata: “Ho un messaggio da parte del dottor Nastasi… chiedeva al dottor Bisignani di poter avere… diciamo la sua autorizzazione per fissare un appuntamento con il dottor Geronzi”.

Non sopporta quelli che si ribellano, il Bisignani, soprattutto se mancano di rispetto a Berlusconi e mettono in crisi governo vero e governo ombra. Su Gianfranco Fini si scatena. “Il camerata Fini? Torna camerata pare? Non è così? Hanno imbucato il Cavaliere in un casino, deficienti, deficienti proprio”. A quelli di An non fa sconti. Si sfoga con Paolo Cirino Pomicino: “Berlusconi si è fatto mettere su da Ignazio, dagli ex colonnelli, che sono riusciti a fare con lui quello che non erano riusciti a fare loro stessi con Fini”.

È una sola la preoccupazione del patron della loggia P4, che tutto crolli, che il Cavaliere cada, che lui stesso perda la posizione di premier ombra. Quando parla con il suo amico Flavio Briatore appare sconsolato: “Se adesso andiamo alle elezioni rischiamo di perderle. Se questi non gli fanno passare il processo breve, finisce che a Berlusconi (per il processo Mills, ndr) gli danno cinque anni di condanna e l’interdizione dai pubblici uffici, ed è finito il gioco per tutti. Tutti, compresa la nostra amica Daniela (la Santanché, ndr), che lo aizzano in questo modo. Lo stanno buttando in un baratro. Adesso meno male che gli altri se ne sono accorti, perché questo gruppetto di quelli della Destra nazionale ha usato Berlusconi per mandare a “fan culo” Fini, cosa che loro non erano mai riusciti a fare con le loro forze. Una vendetta traversale, e lui ci è cascato”. Il potere del Cavaliere si logora, Bisignani capisce che tutto il suo potere rischia di sgonfiarsi. Se cade l’uno, cade anche l’altro.

 

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VERBALI

Da Annozero ai giornali del Nord
le mani della P4 sull’informazione

L’inchiesta di Napoli su Luigi Bisignani mette in luce il controllo del faccendiere sulla Rai e l’influenza sui giornali amici del premier, come il Giornale e Libero

di CARLO BONINI e CORRADO ZUNINO

Michele Santoro durante Annozero

IN PIAZZA Mignanelli, Luigi Bisignani non conosceva requie. Si “spaccavano culi” (quello di Michele Santoro), si sorvegliavano palinsesti Rai (Report), si definivano mercati pubblicitari (“Libero”), si suggeriva l’eutanasia della campagna di “Giornale” e “Libero” su Fini e la casa di Montecarlo. E ancora si confezionavano veline, si scomunicavano giornalisti con la schiena dritta (Lirio Abbate), si raccoglievano confidenze sulla furia privata di Vittorio Feltri contro il Cavaliere.

Un Potere unico e irresponsabile, perché senza volto, minacciava, blandiva, ricattava, usando l’informazione come un manganello agitato nell’ombra. E di quel potere di cui conosceva bene la forza, lui, Luigi Bisignani, giornalista radiato dall’Ordine nel 2000, interfaccia di Gianni Letta, era totem e anima.

MASI È ARRAZZATO: “LO SBORRONE E’ MORTO”
Il 14 ottobre del 2010, il direttore generale della Rai è su di giri. Ha buone notizie per il “Principale”. “Santoro sta in fuga. I miei brindano. Questo (Michele Santoro, ndr) non va dai giudici. Va all’arbitrato. Abbiamo vinto, Gigi. E’ morto”. Bisignani bofonchia. Lascia che Masi lo delizi. “Come lo sborrone. Voleva rompere il culo a tutti. Va all’arbitrato. Significa che gli hanno detto che dai giudici prende le botte. Je stamo a spaccà er culo”.

Gigi registra e confida il suo entusiasmo in modo più prosaico al ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo. “Un destro così non ti verà mai più nella vita”. Certo Santoro non è l’unico problema. C’è la Milena Gabanelli e il suo “Report”. Hanno preparato un’inchiesta sull’eolico. Bisignani è preoccupato. Chiede a Masi: “Stasera non c’è qualcuno che fa qualche puttanata a Rete 3, la Gabanelli, in diretta?”. L’interlocutore lo rassicura: “Contro l’eolico, stasera. Io ho visto il palinsesto”. “Gigi” non si fida: “No, no, no. Magari con queste rivelazioni che escono alle 10 e mezza, Ruffini (direttore di Rete3, ndr) si inventa qualcosa in diretta”.

Masi e Bisignani parlano con la frequenza di un figlio con una madre. “Tutti i giorni – annotano i pubblici ministeri napoletani – il direttore generale della Rai manifesta la necessità di relazionarsi con Bisignani”. Anche perché “Gigi”, che lo usa come un ventriloquo, lo blandisce per illuderlo di essere autonomo. Come quei “coach” che lavorano sulla motivazione. “Sei stato bravissimo e lo sai che sono sincero”, gli dice dopo la lite in diretta con Santoro. “Si è visto dalle domande del cazzo, da come ha cominciato. L’avrei preso a schiaffi”.

SIMEON AL COACH: “QUELLA MERDA DELL’ESPRESSO”
D’altra parte, “Coach” è il termine con cui Bisignani è gratificato da un’altra delle sue pedine in viale Mazzini. Il giovanissimo Marco Simeon, protetto di Angelo Bagnasco, Segretario di Stato vaticano e direttore delle relazioni istituzionali e internazionali della Rai. Nel febbraio del 2010, è deflagrata l’inchiesta di Firenze sul Sistema corrotto dei Grandi Appalti pubblici. Angelo Balducci e la sua compagnia di giro, tra cui l’ex provveditore alle opere pubbliche Fabio De Santis, con cui Simeon si intrattiene al telefono (intercettato), sono in un mare di guai.

Lirio Abbate, collega de “l’Espresso”, da tempo sotto tutela perché minacciato da Cosa Nostra, ha la colpa di fare il suo mestiere e di lavorare con un’inchiesta, poi acquisita al fascicolo istruttorio dalla Procura di Perugia, al ruolo del giovane rampollo protetto da Oltre Tevere. Simeon chiama il “Coach”. Sbraita. E’ fuori di sé. Vuole, evidentemente, che “Gigi” (capace per altro – annotano i pm di Napoli – di fare scivolare on-line un comunicato-velina su vicende che stanno a cuore al ministro Prestigiacomo anche su “Repubblica. it”), si muova. Dice: “Quello dell’Espresso è un articolo di merda e nessuno lo ha accorciato”.

(Nota della redazione di Repubblica.it. I pm si riferiscono probabilmente all’articolo sulla bocciatura del candidato della Prestigiacomo 1all’agenzia nucleare, in cui peraltro non c’è traccia di “veline”).

GIGI, BOCCHINO, I LIBICI E “DAGOSPIA”
“Dagospia” è Luigi Bisignani. Roberto D’Agostino è un suo amico. Una parola di “Gigi” può fare del sito un pit-bull, o un barboncino da salotto. Ai pm napoletani lo racconta Italo Bocchino, capogruppo di Fli alla Camera. Interrogato e sollecitato dall’ascolto di un’intercettazione, spiega: “Rilevo che è lo stesso D’Agostino a chiedere a Bisignani se pubblicare o meno le notizie. E rilevo, tuttavia, che Bisignani in qualche modo blocca il D’Agostino che voleva attaccarmi”.

Del resto, anche l’ambasciatore libico in Italia, Hafed Gaddur, vede bene di telefonare a Bisignani, per chiedere le ragioni e lamentarsi di quanto ha pubblicato sul suo conto il sito “Agospia” (come dice lui). “Che ha combinato? Ora mi informo e domenica cerco di saperlo”, rassicura Bisignani.

FELTRI E BERLUSCONI”SAPESSI COME NE PARLA”
Con “il Giornale”, Bisignani ha un rapporto altalenante. Nel pieno della campagna su Fini e la casa di Montecarlo, di cui non gradisce la virulenza e teme gli esiti politici, dice: “Ne abbiamo due o tre da zittire”. E il 9 agosto 2010, del “Giornale” e del suo direttore in quei giorni, Vittorio Feltri (tornerà a “Libero” due mesi dopo), discute con Enrico Cisnetto, editorialista del quotidiano.

“Lui ha in testa di candidarsi in politica appena Berlusconi schioda”, dice Cisnetto. “Secondo me – aggiunge – alcuni passaggi che lui (Feltri, ndr) fa sono pienamente finalizzati a creare problemi a Berlusconi, perché poi, quando si è messo a tavola a parlare di Berlusconi, ne parlava talmente male… Se avessi avuto un registratore, mandavo la cassetta al Cavaliere. Sarebbe svenuto. Cosa non ha detto”.

LA SANTANCHÉ E LA LINEA DEL NORD
Finché i rapporti si sono rotti, Daniela Santanché viaggia con il vento che “Gigi” le assicura alle spalle. Arrivando a farle suggerire da un amico “l’acquisto delle edizioni locali per il Piemonte, la Lombardia e il Veneto, dei quotidiani “Libero”, “Metro”, “News” e anche “Epolis”, per un fatturato di 10 milioni di euro”. “Così – chiosa all’amica – controllerai tutte le linee del nord”.

 

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TECNOLOGIA

Un virus per pc inchioda Bisignani
lo Stato diventa hacker a fin di bene

L’inchiesta della procura di Napoli sulla P4 ha utilizzato un software per trasformare il pc di Bisignani in una microspia. In grado di intercettare anche le telefonate su Skype. Così le tecniche dei pirati informatici, spesso usate per spionaggio e guerre cibernetiche, in Italia diventano uno strumento in mano agli inquirenti

di ALESSIO SGHERZA

Il pm Henry John Woodcock

ROMA – La chiave dell’inchiesta sulla P4 sta anche in qualche byte di codice, in un programma per computer – un virus si potrebbe dire – che i pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio sono riusciti a installare nel portatile di Luigi Bisignani, trasformandolo di fatto in una cimice. Un esempio di una tecnologia ‘da hacker’ utilizzata per fini nobili: come un Robin Hood che intercetta gli indagati per aiutare la giustizia.

Il faccendiere teneva le fila del suo governo-ombra 1 in un piccolo bunker. Impossibile entrare. Inoltre sapeva di essere intercettato: infatti cambiava spesso schede telefoniche, per rendere la vita difficile agli investigatori. E telefonava attraverso il web, utilizzando software come Skype nella convinzione – più che diffusa – che queste chiamate fossero sicure. Errore: perché se è vero che la tecnologia aiuta tutti, anche le forze dell’ordine possono utilizzarla a proprio vantaggio.

Tecnicamente si chiamano trojan, e prendono il nome dal famoso cavallo omerico: sono dei programmi che si installano all’insaputa del proprietario del computer e agiscono in silenzio, senza farsi notare, ma con risultati spesso distruttivi. I trojan classici sono utilizzati dagli hacker per rubare dati personali agli utenti (come i numeri delle carte di credito) o per inviare e-mail di spam, o ancora per guidare da lontano un computer infetto.

La differenza è che ‘Querela’ – questo il nome del file installato sul pc di Bisignani – è un programma sviluppato interamente dalle forze dell’ordine italiane e la sua funzione è quella di trasformare un pc in una cimice: prendendo il controllo della scheda audio, può catturare attraverso il microfono tutto quello che succede nella stanza e inviarlo agli investigatori. Non solo: registrando direttamente dalla scheda audio, può aggirare le difficoltà di intercettazione dei software per le chiamate Voip (voice over internet protocol, come Skype).

C’è quindi anche uno spirito piratesco – ma legalizzato – in ‘Querela’, un software che si sta rivelando fondamentale nelle inchieste contro la criminalità organizzata. A infettare il computer di Bisignani è stata, come succede a tutti prima o poi, una semplice mail: all’apparenza un messaggio in arrivo da un social network (come Facebook o Linkedin) che però porta l’utente su un sito creato ad hoc che installa il software-spia.

‘Querela’ è quindi un esempio positivo di quello che uno Stato può fare con la tecnologia. Ma è un caso limite. Se, grazie allo sviluppo di internet, la vita è migliorata (o semplicemente cambiata, per chi preferisce evitare giudizi di valore) si sono anche moltiplicate le occasioni per hacker e cybercriminali di danneggiare gli utenti e trarne vantaggio. E sempre più la tecnologia è diventata anche strumento di competizione internazionale e di guerra ‘fredda’.

È ormai finito il tempo delle spie classiche, quelle stile James Bond o quelle in impermeabile che si incontrano in vicoli bui: la spia del nuovo millennio è un geniale ventenne seduto dietro uno schermo, dall’altra parte del mondo, che cerca di entrare nelle reti protette di governi e grandi aziende. Il caso Aurora, l’attacco da parte di hacker cinesi ai server di Google nel 2009, o casi più recenti (sempre Cina contro Google 2) hanno fatto raffreddare i rapporti tra Washington e Pechino, per i sospetti sull’origine governativa di queste aggressioni.

Solo una settimana fa, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Usa Richard Clarke ha lanciato un ulteriore allarme: “In privato, i funzionari statunitensi ammettono che il governo non ha alcuna strategia per fermare l’assalto cibernetico della Cina”. E ha aggiunto che “Pechino sta rubando grandi quantità di informazioni dagli Stati Uniti”.

Non solo Cina, in ogni caso: è emblematica la storia di Stuxnet, il primo worm creato per infettare sistemi industriali. Gli esperti lo definiscono come “il virus più potente mai visto” e finora è stata, per scelta dei suoi creatori, un’arma senza scopo: ha infettato milioni di computer senza fare danni, una semplice dimostrazione di forza. È l’equivalente di avere una pistola puntata alla testa: fa paura anche se nessuno ha premuto il grilletto. E fino a quando non succederà, non si potrà conoscere l’effettiva potenza distruttiva di questo virus.

Chi l’abbia creato è un mistero, ma qualche indizio c’è: la maggior parte dei computer infettati è in Iran 3, per questo si è ipotizzato che potesse essere un’arma per fermare il programma atomico di Teheran.

Quando uno Stato si fa hacker, il confine tra legittima difesa, spionaggio, guerra informatica o criminalità è molto labile. Fatto è che non tutti possono contare su queste tecnologie: “Sono in pochi i Paesi con ingegneri di livello tale da sfruttare questi sistemi”, ha spiegato Eugene Kaspersky 4, esperto di sicurezza e creatore dell’omonimo antivirus, parlando dei rischi del cyberterrorismo: “Ci sono gli Stati Uniti, i Paesi europei, Israele, la Russia, la Cina e l’India. Ma sono anche conoscenze che si possono acquistare da veri hacker, interessati solo al guadagno”. Non serve più la fedeltà delle vecchie spie: per mettere in ginocchio un avversario basta pagare.

Al di fuori di questa zona grigia ricade ‘Querela’, lo strumento giudiziario più avanzato – e assolutamente legale – per il contrasto alla criminalità. Un semplice software, una lunga sequenza di 0 e 1, che oggi segna un punto a suo favore grazie ai risultati nell’inchiesta su Luigi Bisignani e Alfonso Papa.

 

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da IlSole24Ore

 

«Berlusconi non è intelligente»

Marco Ludovico

ROMA. I rapporti tra il lobbista Luigi Bisignani e l’amministratore delegato dell’Eni Paolo. Il dg della Rai, Mauro Masi, che esulta senza limiti verbali per l’addio di Michele Santoro. E le intercettazioni sulle ministre Prestigiacomo, Mara Carfagna, Maria Stella Gelmini. Emergono dalle carte dell’indagine sulla P4 dei pm Francesco Greco, Franco Curcio e John Woodcock.

Il premier e le ministre
La Prestigiacomo parla a Bisignani il 15 novembre 2010: «Io lo so com’è fatto» e si riferisce a Berlusconi: «Mara gli fa quattro moine» e si dovrebbe riferire alla Carfagna «quattro cose e lui cancella tutti quelli della faida e dà ragione a Mara su tutto». Il ministro dell’Ambiente si sfoga poi il 15 novembre 2010 con Bisignani: a proposito del premier dice che «Deve essere intelligente e purtroppo non lo è». Risponde il lobbysta: «Appunto, allora mi ha detto Denis (verosimilmente Verdini, coordinatore Pdl, n.d.r.) mi devi dire tu Luigi se io devo tornare in Udc».

Prestigiacomo in un’altra intercettazione dice che «La Santanchè…tutte le trame…. ‘ste cose, io sono una trasparente, queste cose mi mettono anche un po’ di paura». Bisignani chiama Gianfranco Miccichè il 22 novembre, gli dice che «Il presidente è imbufalito con la Carfagna» e Miccichè replica: «Me ne fotto. Nonostante lei ieri mi abbia detto “Io passo con te”». Aggiunge il politico: «Perché poi lo so che il presidente è un grande ammaliatore, per cui…».

Le verità di Scaroni ai pm
«Con Bisignani ho un forte legame di famiglia» dice Scaroni. Poi i pubblici ministeri gli chiedono perché l’ad Eni si informa con Bisignani sull’oggetto di un incontro che lo stesso Scaroni avrebbe avuto poi con il premier Berlusconi. Risposta: con il lobbista «mi consiglio a volte» anche se, aggiunge, «alla fine decido di testa mia». L’episodio, spiega, riguarda «una lettera che avevo scritto ai Russi – e cioè alla Gazprom il cui amministratore è Miller, che è l’azienda russa da cui importiamo il Gas – e che volevo sottoporre a Berlusconi vista la rilevanza politica della vicenda e visti i rapporti esistenti tra Putin e Berlusconi». Si parla anche di Libia e dei rapporti con l’ambasciatore in Italia Gaddur: Scaroni ricorda che «ora è schierato con i rivoltosi» e gli è «molto amico Bisignani». Rispetto ad alcune telefonate, l’ad chiarisce che si parla del «rinnovo del contratto GAS con la Libia che io ho rinegoziato ad agosto 2010» tanto che «fui chiamato da Gaddur che mi disse che il primo ministro Libico Bagdadi faceva problemi e frapponeva ostacoli al rinnovo pretendendo che l’Eni finanziasse attività sociali in Libia in cambio». Secondo Scaroni è stata «quasi una concussione» che «a me non andava giù dal momento che il finanziamento riguardava proprio l’area dove erano allocati i campi di concentramento degli Italiani in Libia».

La bufera sulla Rai
All’indomani dello scontro tra il conduttore di Anno Zero e Mauro Masi, dg a viale Mazzini, secondo i pm si instaura un processo di «sospensione dal servizio dell’azienda Rai» con una pratica istruita «formalmente dallo stesso Masi ma curata direttamente dal Bisignani». Dopo la sospensione per 10 giorni inflitta al conduttore – saltano due puntate della trasmissione – Bisignani chiama Masi.
B. «Meno di quanto pensassi».
M. «No. Ma che, sta in fuga. I miei brindano.
Più avanti, Masi aggiunge, a proposito di una raccolta firme a favore del giornalista: «Sono na pippa. Le pippe di Santoro. È ‘na stronzata». E poi «Santoro è in fuga. Come lo sborrone, voleva rompere il c… a tutti, va all’arbitrato».
Più avanti, Masi dice a Bisignani: «Gigi, grande figura, dai retta a Mauro».
B. «Ma che. Ma scherzi».
M: «Gli stamo a spaccà il c…».
B. «Eh…».
M. «So’ arrapato come una bestia».
B. «Un abbraccio».
M. «Ciao».
Sulle indagini P4 che riguardano viale Mazzini intervengono il presidente, Paolo Garimberti, e il numero uno della Vigilanza, Sergio Zavoli, che chiedono «immediata chiarezza» per episodi «gravi e intollerabili».

Montezemolo, Bisignani e la Gelmini
Emergono stralci di una telefonata tra il responsabile del dicastero dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, e l’uomo d’affari, che parlano di Luca Cordero di Montezemolo. «Mi è molto simpatico e mi pare che si sia instaurato un rapporto, è nata una simpatia, un’intesa se vuoi. Ormai vuole fare politica, allora l’ho messo in guardia perché era molto critico sul berlusconismo».

 

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dal Corriere della sera

 

l’inchiesta p4: le carte

«Ho un gossip su Vietti»
Le assunzioni e i ricatti

Le informazioni garantite dagli uomini dei Servizi

In cambio di nomine e assunzioni, Luigi Bisignani poteva contare sulla fedeltà di uomini dei servizi segreti e delle forze dell’ordine. Ottenendone informazioni che, secondo l’accusa, lui e il deputato del Pdl Alfonso Papa hanno usato per mettere in piedi una formidabile rete «informativa» per condizionare, anche con il ricatto, imprenditori e rappresentanti delle istituzioni. Scrivono i magistrati, a mo’ di esempio: «Risulta che il generale Poletti, vicedirettore dell’Aise (il servizio segreto militare, ndr), abbia legami e consuetudine di frequentazione consolidata con Papa con il quale è solito incontrarsi e “appartarsi” nei locali della libreria Feltrinelli di Roma con sistematica cadenza settimanale. Papa utilizza, ma sarebbe meglio dire ostenta, tali suoi legami o meglio la prospettazione di tali suoi effettivi legami come strumento di pressione nei confronti delle vittime».

I vertici degli 007 e il Copasir
A proposito dell’ormai nota visita del direttore dell’Aise, Adriano Santini, a Massimo D’Alema, presidente del Comitato di controllo sui Servizi, accompagnato proprio da Bisignani, i pubblici ministeri hanno raccolto informazioni diverse e in alcuni punti contrastanti. Santini diceva che Bisignani gli aveva riferito che D’Alema «aveva piacere» di conoscerlo, D’Alema che Bisignani chiamò il suo ufficio per chiedere l’incontro, Bisignani che l’interessamento gli fu proposto da Italo Bocchino, circostanza negata fermamente da Bocchino. Divergenze anche sulla data: Santini sosteneva che l’incontro avvenne prima della sua nomina, mentre secondo D’Alema i due si videro a designazione già avvenuta. Alla fine il generale Santini ha ammesso: «Può darsi che io ci sia andato dopo la nomina ma prima della formale investitura». Ciò che più interessa i pubblici ministeri, però, è la parte di deposizione in cui il capo del servizio segreto militare dice: «Mi si chiede come mai accettai di andare al primo appuntamento a casa del Bisignani; vi rispondo che non lo conoscevo e che decisi di andarci perché “avevo letto il suo nome sui giornali” e sapevo che era un uomo influente». In una telefonata con il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro dell’8 ottobre scorso, Bisignani parla dei lavori del Copasir, il Comitato guidato da D’Alema. Dice Pecoraro: «Ho saputo che il Copasir vorrebbe parlare di quella cosa che… niente… il nostro (sembra dire) amico… non l’amico mio… ecco perché ci sta quel casotto al Copasir… Cioè praticamente… il presidente del Consiglio…». E Bisignani: «Sì, sì, ho capito perfettamente». Secondo i magistrati «appare inquietante che i due parlino dell’ordine del giorno del Copasir, se si pensa che il Bisignani è soggetto assolutamente estraneo alle istituzioni dello Stato». Chiamato a spiegare quella conversazione, il prefetto Pecoraro ha dichiarato che lui e l’uomo d’affari si riferivano «alla vicenda inerente alle dichiarazioni del figlio di Ciancimino su De Gennaro e Narracci, e cioè al fatto che il Ciancimino avesse detto che il “signor Franco” (presunto anello di congiunzione tra servizi segreti e mafia, ndr) era il mio amico Gianni De Gennaro». Notizia, questa, divenuta pubblica a dicembre con l’inchiesta per calunnia a carico del figlio dell’ex sindaco mafioso, mentre la telefonata è di ottobre.

Il ricatto a Vietti del Csm
È l’11 settembre 2010 quando viene intercettata una telefonata tra Papa e Bisignani.
Papa: «Martedì sarò pronto, ho fatto tutto e tutto a posto, c’avevo un pettegolezzo su Vietti enorme… ti ho mandato pure il messaggio per Dagospia».
Bisignani: «Non l’ho visto, quando me l’hai mandato?».
Papa: «Ieri mattina, tanto ti frego perché nonostante le tue tecniche sappi che quando accendi il telefono lo so in tempo reale… Allora praticamente giovedì sera al ristorante “I Pazzi” Michele Vietti ha offerto una serata a quattro avvenenti ragazze che risultano lavorare all’ufficio legale delle Poste… la serata è stata organizzata dal suo segretario Enrico Caratozzolo».
Bisignani: «Ahhh…»
Papa: «Hanno organizzato per la settimana prossima una festa privata in casa Vietti dove ogni ragazza dovrà cucinare una pietanza»
Bisignani: «Fantastico… ufficio legale eh?». (…)
Papa: «Va bene però non scopriamo poi troppo la fonte sennò… eh ehe hai capito…». (…)
Bisignani: «Bravo… fantastica».
Papa: «I dettagli della serata possono essere pure quelli interessanti?… Che cosa si sono detti, però ah no…».
Bisignani: «Con la scollacciata insomma».
Papa: «Sì, sì, scollacciata con le avance… promesse… Promesse di interessamento e per qualcuna uscirà pure una promessa di inserimento nel suo staff al Csm».
I magistrati accertano che la «fonte» è Maria Roberta Darsena, amica di Papa. E sottolineano il tentativo «di carpire notizie e informazioni in grado di vulnerare la reputazione di Vietti, sia in ambito privato che pubblico», in modo da «condizionare il buon andamento di un’istituzione di rilievo costituzionale qual è la vicepresidenza del Csm». Anche perché nel suo interrogatorio è lo stesso Vietti a chiarire come si trattasse di una cena tra amici, «credo fossimo otto, ed escludo che con la Darsena si sia mai parlato di un inserimento della stessa presso il Csm, così come escludo che con la stessa si sia svolta una cena privata presso casa mia. Escludo che la cena abbia mai assunto toni che non fossero assolutamente corretti». Del resto la stessa Darsena, interrogata dai magistrati, ha definito «insistenza morbosa» l’interesse di Papa per l’incontro con Vietti.

Eni, Finmeccanica e altre nomine
Il colonnello dei carabinieri Antonio Ragusa per un periodo è stato nei servizi segreti, attualmente lavora al dipartimento per la gestione degli Immobili di Palazzo Chigi e s’è interessato del contratto con la Italgo per l’informatizzazione di Palazzo Chigi, sul quale sono in corso accertamenti. Durante l’interrogatorio i magistrati gli contestano alcune conversazioni con Bisignani e lui afferma: «Parlavamo del commissario straordinario della Laguna, carica alla quale io ambivo. La signora cui facciamo riferimento è il ministro dell’Ambiente Prestigiacomo, facciamo riferimento alla mia nomina e all’interessamento che avevo chiesto a Bisignani presso la Prestigiacomo… Bisignani si è adoperato per far avere vantaggi professionali a mio nipote Aurelio che lavora in Eni. Incontrando il mio amico generale Savino, consulente di Finmeccanica, il predetto si è prestato a intercedere per far assumere mio figlio in Finmeccanica. Non escludo che abbia chiesto a Bisignani di intercedere e di intervenire su Scaroni – a quel tempo ad di Enel – per far assumere mio figlio in Enel». Dichiara Lorenzo Borgogni, responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica: «Ho conosciuto Bisignani nel 2002 subito dopo essere arrivato in Finmeccanica con l’ingegner Guarguaglini, lui era una sorta di tutor dell’allora direttore generale e amministratore delegato Roberto Testore che era molto legato agli Agnelli e veniva dalla Fiat… Bisignani si muoveva e veniva individuato come l’uomo di Letta… So che ha le “mani in pasta” in tante cose e credo che il suo grande potere scaturisca proprio dal forte legame con Letta».
Persino per le nomine nel settore degli Spettacoli si rivolgevano a lui. Racconta a verbale l’attore Luca Barbareschi, poi eletto nel Pdl: «Effettivamente fra gli altri mi sono anche rivolto a Bisignani per chiedere un suo interessamento in merito a una mia nomina a direttore artistico del Teatro Stabile di Roma. Lui mi propose un interessamento, ma di fatto non è riuscito a ottenere nulla. Alla fine quel posto è stato assegnato a Gabriele Lavia che non è certo riconducibile al centrodestra».

Gio. Bia. e F. Sar.

 

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da La Stampa

Spioni e dossier nella grande rete

Stefania Prestigiacomo:«Ricordo che Bisignani mi disse di aver appreso di essere intercettato. Mi parlò di una cena con Letta e i due giudici»

GUIDO RUOTOLO

INVIATO A NAPOLI
«Luigi Bisignani e i suoi sodali? Veri e propri “mercanti in nero” di notizie e di informazioni segretate e riservate, che diffondevano miste a notizie verosimili o certe volte false, con il risultato di destabilizzare un sistema, di creare un gravissimo vulnus al sistema giudiziario e di influenzare il funzionamento delle istituzioni statali». Che impressione leggere tutto d’un fiato l’atto d’accusa dei pm Francesco Curcio ed Henry John Woodcock. Atto fortemente ridimensionato dal gip Giordano, ma poco importa perché dalla lettura degli interrogatori dei personaggi eccellenti (Gianni Letta, Adriano Santini, Mauro Moretti, Mauro Masi…) davvero esce un quadro inquietante.

Perché mai il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro e Luigi Bisignani discutono un ordine del giorno del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica presieduto da Massimo D’Alema? A che titolo? Il prefetto Pecoraro mette a verbale: «Ho conosciuto Bisignani nel 2004, quando ero capo della segreteria del capo della Polizia De Gennaro, nel contesto di una colazione organizzata dal dottor Enzo De Chiara, consulente dell’ambasciata americana, rappresentante della Marina americana in Italia (indagato dalla procura di Aosta nella metà degli Anni Novanta per associazione segreta che interferiva nei poteri dello Stato, inchiesta Phoney Money, ndr)». Sempre Pecoraro, su indicazione di Bisignani, chiama Angelo Rovati (ex consigliere di Prodi a Palazzo Chigi) per problemi legati a un parco giochi a Valmontone.

Luigi chi?
E ancora. Ricordate l’ex direttore generale della Rai Mauro Masi? Leggete la sua giustificazione davanti ai pm: «Mi sono fatto scrivere la lettera di licenziamento di Santoro da Bisignani perché addentro al mondo istituzionale e in ragione delle sue conoscenze nel mondo politico. Per dirla ancora più chiaramente, io ho utilizzato e utilizzo il Bisignani per avere un’idea delle reali opinioni di Gianni Letta con il quale io ho un rapporto formale e che, invece, il Bisignani conosce bene. E quindi non escludo di aver chiesto di sondare l’opinione di Letta in ordine al licenziamento di Santoro. A Bisignani ho chiesto anche di sondare il clima politico e l’aria del cda della Rai in ordine al licenziamento di Santoro». E poi nomine importanti, come quella di Maurizio Basile finito al vertice dell’Atac. «Bisignani mi presenta al sindaco, dopodiché vengo nominato capo gabinetto e poi amministratore delegato dell’Atac»… «Non so spiegare come mai Bisignani potesse vantare tale indubbio “potere contrattuale”».

Non può certo negare la sua amicizia con l’ex tessera P2 il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. «Ho conosciuto Bisignani quarant’anni fa dal momento che il padre era molto amico del mio direttore del Tempo, Angiolillo, poi ho conosciuto la madre, il fratello Giovanni e anche Luigi, che cominciò a fare il giornalista con Libero Palmieri che aveva iniziato anche me al giornalismo. Poi fece carriera e diventò caporedattore dell’Ansa di Roma; Bisignani fu portavoce e addetto stampa di Stammati. Io sono stato testimone di nozze, unitamente a Dini, di Luigi Bisignani».

Il sottosegretario Letta, di fronte alla contestazione di alcune intercettazioni telefoniche, ammette: «Non escludo che il Bisignani mi abbia potuto dire che era oggetto di attenzioni da parte dell’autorità giudiziaria…».

Fuga di notizie
Si tratta di un giallo, non c’è dubbio. A che titolo e quando Luigi Bisignani accompagna il generale Adriano Santini dal presidente del Copasir Massimo D’Alema? Prima che Santini venisse nominato direttore dell’Aise, il servizio segreto militare? O dopo? E chi coinvolse Bisignani? D’Alema o Santini? Tutti i protagonisti offrono versioni contrapposte. Santini: «Non so dire come mai l’incontro con il presidente D’Alema sia avvenuto tramite Bisignani, prima della mia nomina a direttore dell’Aise».

D’Alema: «Fu Santini che chiese di incontrarmi. E sono certo che era già direttore dell’Aise, perché avrei ritenuto inopportuno incontrarlo prima della sua nomina. In quell’occasione il Santini fu accompagnato dal Bisignani, non so a che titolo».

Le intercettazioni telefoniche sono materia molto incandescente e spesso incomprensibile. Prendiamo l’intercettazione tra Luigi Bisignani e il ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo. Luigi: «Dobbiamo stare attenti ai telefoni perché a Letta gli ho chiesto mo stamattina: pare del fatto… dicono che Woodcock ci sta controllando i telefoni a me e a lui…». Risponde preoccupata la ministra: «Ma anche ora c’ho il telefono con il fruscio, ma tu non lo senti il fruscio? Perché Woodcock a te ti controlla? Ma come si può vivere così? Se escono le intercettazioni con me mi rovini!».

Tutti a cena
Sentita dagli investigatori, Stefania Prestigiacomo nega che Bisignani le abbia detto di essere intercettato da Woodcock. Poi le vengono fatte ascoltare le intercettazioni (che, in questo caso, servono perlomeno a rinfrescare la memoria del ministro) e Stefania Prestigiacomo cambia versione: «Adesso che mi avete fatto leggere e ascoltare tali conversazioni, vi posso dire che ricordo che il Bisignani mi disse di aver appreso di essere intercettato. Mi ricordo che il Bisignani mi parlò di una cena alla quale aveva partecipato con un giudice della Corte Costituzionale, con Letta e con un altro magistrato». Il sottosegretario nega: «Non ho mai cenato con il Bisignani e il procuratore generale di Roma, tanto meno per festeggiare il nuovo giudice della Corte Costituzionale Lattanzi, che ho conosciuto solo al Quirinale al momento del giuramento».

Non gli deve aver fatto piacere essere stato vittima di un tentativo di complotto. Per Michele Vietti, vicepresidente del Csm, il magistrato in sonno perché parlamentare Alfonso Papa voleva preparare la polpetta avvelenata. Diffondere la falsa notizia di una sua cena piccante. Papa ne parla con Bisignani: «Ci avevo un pettegolezzo su Vietti enorme… ti ho mandato pure il messaggio per Dagospia… praticamente giovedì sera al ristorante “I Pazzi” a Trastevere ha offerto una serata a quattro avvenenti ragazze che risultano lavorare all’ufficio legale di Poste Italiane e hanno organizzato per la settimana prossima una festa privata a casa Vietti dove ogni ragazza dovrà cucinare una pietanza… Cosa si sono detti? Promesse di interessamento e per qualcuno ci uscirà pure una promesso di inserimento nel suo staff del Csm». La gola profonda di Papa, Maria Roberta Darsena, racconta come andò quella sera a cena con Vietti: «Ricordo che il giorno dopo la suddetta cena dissi al Papa che ero stata a cena, tra l’altro, con Vietti; a riguardo il Papa mi fece un sacco di domande. Escludo che il presidente Vietti mi abbia proposto una qualche consulenza in qualche modo legata al Csm, anzi escludo che mi abbia parlato di lavoro. Non ho detto al Papa di aver rivisto il presidente Vietti perché avevo notato che il Papa voleva sapere particolari e dettagli con una insistenza morbosa che a me non convinceva».

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