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Il tiro al piccione in Val di Susa

Sono tornato da poche ore a casa e quando ho aperto internet per vedere la cronaca della giornata di oggi a cui ho partecipato, non volevo credere ai miei occhi. Una cronaca del tutto distorta degli eventi, la parola black bloc che riemerge da Genova 10 anni dopo per descrivere una situazione e una lotta che non c’entrano niente l’una con l’altra. Ma d’altra aprte c’è poco da sorprendersi, quando c’è da difendere qualche appalto e qualche lobby, Repubblica e il Pd sono i primi alfieri della conservazione e del potere. Addirittura ho visto che è stato messo un audio su due persone che parlano in inglese. Oggi ho visto migliaia di persone in corteo e forse ci sarà stato uno straniero ogni 1000 persone a dire tanto. Nesssun balck bloc di genovese memoria, nessuna persona fuori dal contesto.

Sono partito in macchina nella notte di sabato con alcuni amici, ritenendo la lotta No Tav come una continuazione di quella che è la quotidiana difesa dei beni comuni e di un modello di sviluppo diverso e alternativo. Sono arrivato a Venaus alle 7 di mattina dove c’erano centinaia di tende accampate allo storico presidio valsusino. C’era gente, molti giovani, da svariate città italiane e qualche valsusino che distribuiva mappe e dava informazioni circa i vari cortei che sarebbero partiti da diversi punti per accerchiare il cantiere. Uno da sud dalla zone di Chiomonte, uno da est da quella di Giaglione e uno da ovest dalla zona di Ramats.

Alle 9 e 30 abbiamo raggiunto il campo sportivo di Giaglione dove c’era la solita grande atmosfera popolare dei cortei No Tav: gazebo con materiali informativi e gadgets, famiglie, cani, anziani, giovani tutti uniti contro questo grande spreco dal disastroso impatto ambientale. Verso le 10 e 15 parte il corteo verso il cantiere della Maddalena che vede per la prima parte una mezzoretta di strada sterrata percorsa da quasi 5000 persone. Quel sentiero però non può condurci al cantiere perchè ad un certo punto iniziano gli sbarramenti e sarebbe impossibile andare avanti. Ma i valsusini conoscono bene le montagne e sapevano già che ci sarebbe stato da deviare verso un sentiero nel bosco che attraversa il torrente. Molte famiglie con bambini e molti anziani si fermano al bivio sapendo che a quel punto c’è da fare almeno un’altra ora su un sentiero scosceso e motlo duro in mezzo al bosco. Ma prima di abbandonare la compagnia salutano tutti coloro che continuano il percorso e li ringraziano. Dal sentiero di Giaglione si vede già il ponte dell’autostrada dove una macchia blu continua sullo sfondo significa la presenza di decine e decine di camionette della polizia.

Il percorso per gente di mare come me è abbastanza duro con continui saliscendi e sentieri stretti e scoscesi. Ci vorrebbe l’abbigliamento da montagna ma io al massimo in casa avevo le infradito e qualche scarpa da ginnastica. Dopo un paio di pause con annesso riposo e panino, arriviamo alla baita dopo il torrente verso le 12. E’ quello il punto di arrivo e da quel momento serve iniziare l’accerchiamento alle recinzioni del cantiere. Dopo la baita c’è un bivio: verso l’alto si arriva quasi al ponte autostradale dove inizia il cantiere. Verso il basso si va alle recinzioni dei campi circostanti il cantiere. Il popolo No Tav ascolta in silenzio le indicazioni mandate col megafono. Verso il basso vanno coloro che cercheranno di avvicinarsi a questi terreni, verso l’alto chi vorrà cercare di abbattere la barricata ma l’azione verso l’alto è considerata la più pericolosa perchè lì verosimilmente arriveranno decine di lacrimogeni.. Verso il basso si iniziano a muovere i valligiani più anziani, verso l’alto i più giovani ma anche molti altri valligiani over40 ben muniti di occhialini e mascherine per alleviare l’effetto dei gas. Alcune signore sui 45 anni distribuiscono a chi va verso l’alto le pasticche di Malox che se sciolte nell’acqua e versate sugli occhi fanno diminuire il bruciore.

Non appena i due cortei si muovono inizia un lancio impressionante di lacrimogeni (video). Tutta la vallata sotto l’autostrada è una nube continua di lacrimogeni. Anche perchè la polizia è posizionata almeno 20 metri sopra (video) i manifestanti ed è gioco facile seguire ogni movimento e sparare(video). Ma non finisce qui. Il vantaggio di altezza viene trasformato in un tiro al piccione. La polizia dal ponte autostradale mira ad altezza d’uomo (audio) le centinaia di persone avanzano a piedi. Il primo a farne le spese è un cinquantenne valsusino che camminava qualche metro avanti a me. Colpito pieno alla coscia da un lacrimogeno dovrà essere portato via con l’elisoccorso perche la profonda ferita rischiava di aver preso l’arteria femorale. Dopo di lui saranno molti a cadere sotto i colpi dei cecchini. Ma dopo il suo ferimento si capisce che l’accerchiamento del cantiere non sarà come nel 2005. Questa volta la polizia è pronta a tutto e i manifestanti allora rispondono con gli unici mezzi a disposizione: i sassi. Alcuni giovani per avvininarsi alle recinzioni si inventano una specie di testuggine romana fatta con dei pannelli di legno che coprivano l’avanzamento fino alle reti. Con questa tecnica i lacrimogeni rimbalzavano sugli “scudi” e poi un paio raccoglievano i lacrimogeni e li spengevano in una cariola piena d’acqua. Grazie a questa tecnica questi ragazzi sono riusciti a fare un buco nella rete, che non è servito a niente concretamente ma che ha avuto un grosso significato simbolico salutato da urla e applausi di coloro che erano scesi in basso e da coloro che stavano alla baita.

Leggo ora sui siti web nazionali il consueto e consolidato schema dei buoni e dei cattivi. Niente di più falso. Ogni volta che dall’alto scendeva qualche giovane ferito portato a braccia, le ali di folla si aprivano verso l’infermeria e la gente che era rimasta alla baita applaudiva lo sfortunato giovane. La “battaglia” è andata avanti per alcune ore fino a quando stremati dai lacrimogeni e dalla stanchezza abbiamo iniziato a risalire i sentieri verso Giaglione. Il numero dei poliziotti feriti penso sia in maggior parte una statistica Inail e un pretesto per una ferie estiva che altro, erano talmente posizionati in alto e super attrezzati che penso che difficilmente potessero essere feriti. Sul percorso di ritorno invece si poteva riscontrare la presenza di feriti fra i manifestanti, in particolare alcuni colpiti dai lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo.

L’ultima foto di questa giornata valsusina è un ciclista sulla sessantina che, mentre stremati da un’altra ora almeno di sentieri di ritorno, ci ha guardato e ci ha chiesto da dove venivamo. Noi gli abbiamo risposto: “Da Livorno”. Lui ci ha detto: “Grazie”.

Uno che è andato. Uno che ha visto

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