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La peggiore “manovra” di sempre

da Il Corriere della sera

Da lunedì il conto del ticket sale a 46 euro

Per alcuni esami più conveniente rivolgersi ai privati

Dieci euro in più sui ticket già previsti dalle Regioni. Da lunedì almeno 15 milioni di italiani (quelli senza esenzioni per età, malattie, reddito) pagheranno una sovrattassa sugli esami diagnostici e le visite specialistiche.

Regione per Regione. I ticket regionali s’aggirano sui 36 euro in tutta Italia, tranne che in Calabria e Sardegna, dove raggiungono i 46 euro. È la cosiddetta compartecipazione alla spesa sanitaria dei malati. Un esborso che ora aumenta di 10 euro. Il costo di una risonanza magnetica col servizio sanitario nazionale lieviterà a 46 euro (56 in Calabria e Sardegna). Lo stesso vale per tac, mammografie, colonscopie e per tutti gli accertamenti medici complessi per i quali la compartecipazione dei cittadini si fermava al massimo a 36/46 euro. E le tasche dei malati saranno colpite anche sulla lunga lista di prestazioni mediche che finora avevano prezzi inferiori: 22,50 euro per le prime visite cardiologiche, oculistiche, ginecologiche e dermatologiche; 17,50 euro per i controlli successivi; 4,05 euro per un esame del sangue base (emocromo); 2,30 euro per le urine; 15,65 per una radiografia al polso. Il ticket di 10 euro previsto dalla Finanziaria andrà, infatti, a sommarsi ai costi attuali indicati sopra (ripresi dal tariffario delle prestazioni sanitarie della Lombardia, ma simili in tutta Italia). L’effetto, soprattutto all’inizio, può rivelarsi paradossale: «Il malato che vorrà fare questi esami con il servizio sanitario nazionale – denuncia Sara Valmaggi del Pd lombardo – rischia di trovarsi a pagare di più di chi sceglie di rivolgersi ai laboratori privati». L’emocromo col servizio sanitario nazionale costerà 14,05 euro (4,05 più 10), quello negli ambulatori privati, al momento, resta di 4 euro o giù di lì (per essere competitivi i laboratori privati hanno allineato le tariffe agli ospedali). Certo, in futuro verosimilmente anche i privati aumenteranno i prezzi.

Stangata a macchia di leopardo. Tutti pagheranno di più insomma, ma restano significative differenze a livello regionale. Oltre agli abitanti della Calabria e della Sardegna, saranno particolarmente colpiti gli abitanti del Molise: già oggi pagano, infatti, in aggiunta ai 36 euro di ticket regionale, altri 15 euro di sovrattassa per le risonanze magnetiche e le Tac e 4 euro per specifici pacchetti ambulatoriali. In Campania c’è una quota fissa di 10 euro per ricetta.
Quello del superticket di 10 euro, comunque, è un ritorno. Il suo debutto fu nel 2007 sotto il governo di Romano Prodi. Ma dopo cinque mesi di polemiche ci fu una retromarcia: la copertura degli introiti che sarebbero dovuti pervenire alle Regioni con i 10 euro – pari complessivamente a 834 milioni annui – venne assicurata con fondi statali (la norma, però, non è mai stata cancellata). Si è sempre andati avanti così: con coperture statali stabilite di anno per anno. Fino ad oggi. Previsto dalla manovra Finanziaria, anche il ticket da 25 euro per chi si presenta al Pronto soccorso in codice bianco (i casi meno gravi): ma, in realtà, le Regioni lo incassano già da anni. Tranne la Basilicata.

Simona Ravizza

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Non coltiviamo troppe illusioni

I mercati non si sono tranquillizzati. Martedì pareva che si fossero un po’ calmati, ma solo perché la caduta dei prezzi era stata arrestata dall’intervento della Banca centrale europea che ha acquistato molti titoli pubblici italiani. Ma c’è un limite a quanto anche la Bce possa fare. Un’alternativa è che sia il Fondo europeo per la stabilità finanziaria ad acquistare titoli italiani, ma ciò significherebbe rendere ancor più trasparente il trasferimento fiscale dai contribuenti tedeschi a quelli italiani. Ma la riluttanza della Germania a farsi carico dei problemi di altri Paesi è sempre piu evidente. Ecco perché gli investitori si stanno chiedendo se l’Italia possa farcela da sola.
Da lunedì scorso la nostra posizione è cambiata: ora non stiamo più con Francia e Germania nel gruppo dei Paesi «sicuri», ma con la Spagna: il rendimento dei Btp italiani è ormai uguale a quello dei titoli spagnoli e lontano trecento punti dagli analoghi Bund tedeschi e dagli Oat francesi. Ciò significa che gli investitori non pensano più che un default dell’Italia (l’incapacità cioè di rimborsare i titoli di Stato) sia un evento con possibilità pressoché nulla. A questi prezzi, sui mercati si calcola che, in un orizzonte di cinque anni, la probabilità che l’Italia possa restituire solo 50 centesimi per ogni euro avuto in prestito è pari al 20%.
Un default italiano rimane comunque una possibilità molto remota, ma ciò che si sta facendo per evitarlo non basta. È per questo che la nuova manovra finanziaria non ha convinto i mercati. Per due motivi: le misure sono ancora troppo sbilanciate sul 2013 e 2014, cioè dopo le prossime elezioni. Nel 2011 la manovra sarà di tre miliardi, di sei nel 2012 su una dimensione totale di 79 miliardi. Si deve anticiparne e di molto l’impatto. È per di più troppo sbilanciata sul lato delle entrate e fa poco sul taglio delle spese.
L’annuncio che ripartiranno le privatizzazioni «nel 2013», cioè quando ci sarà un nuovo governo, anziché tranquillizzare i mercati li ha probabilmente preoccupati ancor di più, perché rende evidente che considerazioni elettorali prevalgono sulla gravità della situazione. Inoltre l’Italia paga il fatto che misure per la crescita, deregolamentazione di certe professioni, miglioramenti nel campo della giustizia civile e nei costi burocratici per le imprese, vengono annunciati all’ultima ora sull’orlo del tracollo invece che costruite con calma anni orsono. E anche questo i mercati lo capiscono benissimo: danno cioè l’impressione di essere scelte preterintenzionali e non meditate.
L’esperienza di altre crisi finanziarie insegna che la metà di agosto è un momento propizio per gli attacchi: i mercati sono poco liquidi e le decisioni di un piccolo numero di investitori sono facilmente amplificate. È accaduto nell’agosto del 1998 con il default della Russia e nell’agosto del 2007 quando scoppiò la crisi dei subprime americani.
Il governo ha poche settimane di tempo per evitarlo. Ma ciò non significa concentrarsi su misure contabili di breve periodo che aumentano una pressione fiscale già alta. Bisogna anche annunciare riforme credibili che accelerino la crescita. È vero che queste riforme strutturali non daranno risultati sullo sviluppo immediati, ma in questo momento l’effetto annuncio, se credibile, può molto aiutare. I mercati devono convincersi che l’Italia sta cambiando passo. Altrimenti chi vorrà continuare a investire in un Paese che non cresce?
Illudersi di avercela fatta solo perché stiamo per approvare questa manovra sarebbe un errore gravissimo.

Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

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Pensioni, 41 anni e tre mesi per lasciare il lavoro dal 2014

Tutti lasceranno il lavoro piu tardi; le pensioni, tranne quelle fino a tre volte il minimo, subiranno un taglio dell’adeguamento al costo della vita; e sui trattamenti superiori a 90 mila euro l’anno scatterà un prelievo straordinario. Queste le novità sulla previdenza.

Età. Resteranno più a lungo al lavoro anche coloro che, dal prossimo gennaio, raggiungeranno 40 anni di contributi.

Il tabù dell’intoccabilità dei 40 anni di lavoro, per cui si andava in pensione immediatamente dopo il raggiungimento del requisito contributivo indipendentemente dall’età anagrafica, era già stato intaccato l’anno scorso con la legge 122 che aveva introdotto la «finestra mobile» per tutti i lavoratori: 12 mesi di attesa tra la maturazione dei requisiti e la decorrenza della pensione per i lavoratori dipendenti e 18 mesi per gli autonomi. Nonostante le polemiche e le promesse fatte, la norma non esentò quelli con 40 anni di contributi, che quindi ora vanno in pensione a 41 o a 41 anni e mezzo, rimettendoci tra l’altro l’ultimo anno o anno e mezzo di contributi perché il massimo di anzianità utilizzabile per il calcolo della pensione è rimasto a 40 anni. Adesso l’emendamento al decreto stabilisce che chi va in pensione con 40 anni di contributi dovrà aspettare un altro mese in più rispetto alla finestra mobile nel 2012, due mesi nel 2013 e tre mesi nel 2014. Questo significa che un lavoratore dipendente nel 2014 potrà lasciare il lavoro senza il requisito dell’età solo dopo 41 anni e tre mesi. Vanno con la vecchia finestra mobile solo coloro che maturano i requisiti entro il 31 dicembre di quest’anno e i primi 5 mila lavoratori in mobilità che li matureranno nel 2012.

Anche tutti gli altri lavoratori, quelli che hanno bisogno del requisito d’età, dovranno però aspettare di più. Il decreto emendato prevede infatti che l’aggancio triennale dell’età pensionabile alla speranza di vita scatti già dal 2013 anziché dal 2014 come prevedeva il testo iniziale del decreto. Di scatto triennale in scatto triennale (3-4 mesi in più ogni volta), nel 2050, per andare in pensione di vecchiaia ci vorranno circa 70 anni.
Importi. Sulle pensioni più ricche scatta, dal primo agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, un prelievo straordinario: del 5% sugli importi superiori a 90 mila euro lordi l’anno e fino a 150 mila euro, del 10% per la parte eventualmente eccedente. A formare l’importo concorrono anche i trattamenti di pensione integrativa. Infine viene limitato per gli anni 2012 e 2013 l’adeguamento degli assegni al costo della vita, sia pure in maniera più lieve rispetto al testo iniziale. Si salvano solo le pensioni fino a tre volte il minimo, cioè non superiori a 1.402,29 euro al mese, per le quali resta l’indicizzazione al 100%, che invece scende al 70% sulle pensioni fra tre e cinque volte il minimo (cioè non superiori a 2.337,15 euro). Nessun adeguamento invece per gli importi maggiori.

Enrico Marro

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Che cosa cambia per le famiglie con il decreto che scatta lunedì?

I tagli alle detrazioni costeranno mille euro

Dagli sconti fiscali per i figli a carico agli asili e agli interessi sui mutui

Mille euro di tasse in più in due anni. Tanto potrebbe costare a una famiglia media il taglio delle deduzioni, detrazioni e sconti fiscali previsto nel 2013 e nel 2014 dalla manovra per la correzione dei conti pubblici. Gli sconti fiscali appena censiti dal governo sono la bellezza di 483 e valgono nel complesso 161,2 miliardi di euro: il taglio lineare del 5% previsto nel 2010 farebbe risparmiare 8 miliardi, che l’anno successivo, quando è prevista un’altra sforbiciata del 15%, salirebbero a 32. Sempreché non scatti prima la riforma dell’assistenza, che scongiurerebbe l’aumento delle imposte, ma finirebbe per scaricare i tagli sulle prestazioni sociali.

Se non si arrivasse al riordino dell’assistenza entro il 30 settembre 2013, il taglio delle agevolazioni fiscali sarebbe automatico, e colpirebbe pesantemente e senza scrupoli famiglie, lavoratori dipendenti, autonomi, pensionati, imprese, risparmiatori. A pagare il conto più salato sarebbero le persone fisiche che beneficiano attualmente di 103 miliardi di euro di agevolazioni fiscali a vario titolo. E per la famiglia media italiana sarebbero dolori. Per un contribuente sposato, con figli e coniuge a carico e una casa di proprietà sulla quale pagare il mutuo, la batosta potrebbe arrivare a quasi mille euro nei due anni.

La deduzione della rendita catastale della prima casa oggi consente un beneficio in media di 126,8 euro, che scenderebbero nel 2014 a poco più di 100 mentre la detrazione degli interessi del mutuo diminuirebbe dagli attuali 328 euro annui a 264 euro. Le detrazioni per i figli ed il coniuge a carico, che oggi valgono in media 829 euro per gli 11,8 milioni di contribuenti che ne usufruiscono, con il taglio del 20% scenderebbero a 665 euro. La detrazione da lavoro dipendente, che vale in media 1.332 euro scenderebbe a poco più di mille euro l’anno. Poi si ridurrebbero in proporzione anche le detrazioni per le spese mediche, per i contributi previdenziali e assistenziali, per l’assicurazione sulla vita. Con un aumento delle tasse di 190 euro nel 2013 e di 750 nel 2014.
Di fatto, la detrazione del 19% delle spese mediche sostenute, diverrebbe nel 2013 una detrazione del 18% (-5%) e nel 2014 scenderebbe a poco più del 15%. Così le agevolazioni fiscali sulle ristrutturazioni edilizie: oggi sono pari al 36% della spesa (con un limite di 48 mila euro), nel 2013 la detrazione scenderebbe al 34% e nel 2014 a poco meno del 29%.

Nel complesso, la fetta maggiore delle agevolazioni è assorbita dagli sconti fiscali sui redditi da lavoro dipendente e pensione, che valgono 56,8 miliardi di euro l’anno. Le detrazioni, da sole, valgono 37,7 miliardi e riguardano 28,3 milioni di italiani (1.332 euro a testa) seguite dagli sconti sui contributi (9 miliardi), e dalla tassazione separata del Tfr e della liquidazione (4,6 miliardi). Le agevolazioni sulla famiglia valgono 21,4 miliardi e sono assorbite per quasi la metà dalle detrazioni per i familiari a carico (10,5 miliardi per 11,7 milioni di beneficiari). Poi ci sono gli sconti fiscali sulla casa, che pesano 9 miliardi di euro, quelli concessi sulle imposte dirette dovute dalle imprese (10,3 miliardi di euro), tra i quali il cuneo fiscale (4,4 miliardi per 1,1 milioni di soggetti Irap), le agevolazioni sull’accisa, che assorbono 3,7 miliardi l’anno. Per completare il quadro delle 483 agevolazioni esistenti vanno messi in conto l’Iva agevolata (al 10 e al 4%), che si porta via 38,7 miliardi l’anno, le agevolazioni sulle imposte catastali e di registro (4,7 miliardi), e quelle sugli strumenti finanziari (15 miliardi di euro).

L’alternativa, come detto, è quella di recuperare i soldi (in questo caso basterebbero 24 miliardi) dal riordino dell’assistenza. Un serbatoio che vale nominalmente 38 miliardi l’anno, ma che viene alimentato anche dal fisco, che svolge funzioni assistenziali indirette. La razionalizzazione, in questo caso, partirebbe con la costruzione di un nuovo indice di bisogno che sostituirà l’Isee dell’Inps, il che significa avere parametri reddituali più stretti per godere delle prestazioni assistenziali. Ci sarà poi la revisione dei criteri per le invalidità (giunte a costare 16 miliardi di euro l’anno) e per le pensioni di reversibilità, che si mangiano ogni anno circa 34 miliardi di euro. Con un problema evidente, perché le pensioni di reversibilità pagate oggi dall’Inps e dall’Inpdap valgono, in media ed in proporzione, tre volte quelle olandesi e due volte quelle concesse da Francia e Germania.

Mario Sensini

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Da La Stampa

La manovra per i prossimi tre anni: 87.700.000.000

Tagliate le detrazioni su asili nido, spese sanitarie, mutui casa, assicurazioni e ristrutturazioni

PAOLO BARONI

Col rush finale Senato-Camera (ieri il primo sì, oggi pomeriggio il voto di fiducia finale a Montecitorio) la manovra cresce ancora sino a toccare un valore cumulato di 87,7 miliardi. «A regime» la legge taglia-deficit in effetti «vale» meno, circa 47 miliardi di euro, ovvero la cifra che serve per portare in pareggio i nostri conti entro il 2014. Rispetto alla correzione iniziale (2 miliardi quest’anno, 6 il prossimo, 17,8 nel 2013 e 25,3 l’anno successivo), con il passaggio in Senato ieri si sono aggiunti interventi per altri 2 miliardi quest’anno, 5,5 per il 2012, 6,5 per il 2013 e 22,6 miliardi per il 2014, importi che fanno lievitare il totale grezzo della manovra sin quasi a quota 90 miliardi. Molti tagli e, potenzialmente, anche nuove tasse. Ogni famiglia, stima la Cgil, perderà tra i 1200 ed i 1800 euro l’anno per effetto della tagliola su bonus e detrazioni che in assenza della riforma fiscale scatterà nel 2013.

L’effetto «salvaguardia»
Dal punto di vista contabile di tratta di un risultato certamente molto significativo, è il cosiddetto «segnale» che l’Italia doveva mandare ai mercati internazionale ed ai nostri partner europei. Dal punto di vista sociale la manovra rappresenta invece un vero e proprio sacrificio. Perché oltre alle misure sulle pensioni, sui ticket sanitari, e alla tassazione dei depositi, la quadra si ottiene inserendo nel decreto che verrà approvato stasera dalla Camera quella «clausola di salvaguardia» che Tremonti in un primo momento aveva previsto per la legge delega di riforma fiscale-assistenziale. Per rafforzare la manovra il governo ha infatti deciso di far entrare subito nel decreto il taglio di tutte le agevolazioni fiscali con l’obiettivo di recuperare un gettito a regime pari a 20 miliardi (di cui 4 già nel 2013). Per la Cgil la stima è nettamente superiore: 8 miliardi nel 2013 col primo taglio del 5% e addirittura 32,2 l’anno seguente. Il problema è che a differenza di quanto aveva spiegato mercoledì il relatore di maggioranza Gilberto Pichetto Fratin i tagli non saranno più selettivi, in maniera tale da poter distinguere una voce dall’altra, ma lineari.

Ovvero uguali su tutte le voci. Per cui, se entro il 30 settembre del 2013 il Parlamento non avrà licenziato la delega, scatterà una vera e propria stretta che colpirà 483 tra bonus ed agevolazioni. Un «tesoro» che vale oltre 160 miliardi di euro e che va dalle detrazioni a favore delle famiglie, comprese quelle con famigliari a carico, agli asili nido, dagli sgravi per gli studenti universitari a quelli dei lavoratori dipendenti. Verranno ridotte le deduzioni Irpef sulla previdenza complementare, sugli assegni destinati al coniuge, e sui contributi ai domestici, come le spese mediche per i portatori di handicap. Quindi verranno sforbiciate le detrazioni Irpef sulle spese sanitarie, anche quelle destinate ai portatori di handicap, sui mutui casa, sulle assicurazioni vita ed infortuni, sui corsi di istruzione e le spese funebri, sulle attività sportive e gli studenti fuori sede. Tra le altre detrazioni e deduzioni che subiranno il taglio lineare anche quelle per il risparmio energetico, le ristrutturazioni edilizie, il terzo settore e le Onlus. Il salasso colpirà anche le imprese, piccole o grandi che siano, perché la scure calerà anche sulle agevolazioni Iva, sulle agevolazioni legate alle accise, sugli sconti legati ai redditi di impresa e gli enti non commerciali.

Più tasse per tutti
Aumenteranno insomma le tasse per tutti. Come aveva preannunciato l’altro giorno il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, che come misura alternativa indicava la possibilità di aumentare i tagli alle spese. A regime, nel 2014, l’abbattimento dei bonus vale 20 miliardi, quindi, fanno presente fonti tecniche del Senato, circa 1,2% del pil. Di conseguenza la pressione fiscale raggiungerà la non invidiabile quota 43,7%. Nel passaggio passaggio notturno tra la Commissione bilancio e l’aula del Senato sono spuntate nella notte altri ritocchi ed altre novità.

Le ultime novità
Innanzitutto è sparito il tetto dell’1% per la deducibilità degli ammortamenti dei beni devolvibili per tutti i concessionari, duramente contestato da Confindustria, l’associazione degli industriali. Al suo posto viene aumentata dello 0,3% l’aliquota Irap per i concessionari non autostradali, che sale quindi dal 3,9% al 4,2%. I comuni, invece, hanno ottenuto a loro volta un ammorbidimento del patto di stabilità interno e quindi molti comuni ora potranno spendere quegli avanzi di bilancio che finora non potevano usare per gli investimenti.

Liberalizzazioni
Rinvio ai confronti con le categorie
Su privatizzazioni e liberalizzazioni (temi che dovevano essere il piatto forte del governo più liberale della Repubblica) si è deciso di rinviare tutto. Nello specifico, entro il 2013 arriverà il via libera a uno o più piani di privatizzazioni per la dismissione di partecipazioni azionarie dello Stato e di enti pubblici non territoriali. Quanto alla liberalizzazione delle professioni, alle quali in una prima stesura della manovra era stato dedicato un ampio articolato, il governo ha deciso di fare marcia indietro dopo la levata di scudi degli avvocati e dei notai. Per ora tutta la materia è demandata al confronto con le categorie, ma – in ogni caso – gli ordini professionali non verranno aboliti. Dopo 8 mesi tutto ciò che non sarà regolamentato sarà libero.

Comuni
Arriva il nuovo patto di stabilità
Per gli enti locali sono confermati i tagli di 3,2 miliardi per il 2013 e 6,4 dal 2014. E’ stato tuttavia introdotto un nuovo patto di stabilità interno che serve a premiare i comuni (o le provincie) che siano stati particolarmente attenti alle gestione delle risorse. I tagli, dunque, saranno più severi per i comuni spendaccioni e premieranno invece quelli oculati. Si è stabilito, però, che i parametri per la valutazione dei bilanci comunali si applichino solo dall’inizio del mandato di un sindaco (o di un presidente di provincia) in maniera che una amministrazione non venga penalizzata per i comportamenti poco virtuosi di quella precedente. In questo modo, però, un sindaco, nell’ultimo anno di amministrazione, può fare quello che vuole, perché intanto non pagherà né lui (in scadenza) né il suo successore.

Costi della politica
Nessun ritocco per chi è in carica
Grandiosa furbata sui costi della politica. Mentre, per esempio, i ticket sui farmaci entreranno in vigore da lunedì prossimo, i tagli alla politica saranno irrisori e, per giunta, entreranno in vigore dalla prossima legislatura, per cui i politici oggi in carica non se ne accorgeranno nemmeno. Una commissione dovrà valutare la congruità delle retribuzioni dei nostri parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e comunali, con quelli delle analoghe cariche negli altri paesi europei. A quel punto ci si adeguerà alla media (sempre dalla prossima legislatura). E’ previsto anche un taglio del 10% dei rimborsi elettorali (ancora e sempre per il futuro). E nel presente? Solo una stretta (ma di quanto?) sull’uso delle auto blu e dei voli di Stato, consentiti soltanto alle più alte cariche o per motivi di sicurezza.

Partite Iva
Agevolazioni per chi estingue
Nella manovra sono previste anche agevolazioni per le partite Iva inutilizzate, che altrimenti rischierebbero pesanti sanzioni. I titolari di una partita Iva che non svolgano alcuna attività o abbiano omesso di presentare la relativa dichiarazione da almeno tre anni possono chiudere la propria posizione pagando una sanzione minima. La posizione dovrà essere regolarizzata entro 90 giorni a partire dal 6 luglio, a condizione che la violazione non sia stata già contestata. Nell’ottica della semplificazione l’Agenzia delle entrate provvederà a chiudere la pratica senza che venga presentata dal contribuente la dichiarazione di cessazione attività. Chi non si avvale di questa misura rischia sanzioni fino a 2.065 euro e la chiusura forzata della partita Iva.

Sanità
Torna il ticket su visite e analisi
Torna, da subito, il ticket sulla sanità da 10 euro su visite specialistiche e analisi. E viene introdotto un ticket da 25 euro sui «codici bianchi»,ovvero gli interventi non urgenti, presso tutte le strutture di pronto soccorso. La copertura finanziaria che doveva garantire la sospensione del ticket fino al 31 dicembre 2011 viene ridotta da 486,5 milioni di euro a 105 milioni. In questo modo, stima la Cgil, un’ecografia al seno arriverà a costare oltre 45 euro. Il costo di un’ecografia addominale inferiore, invece, si aggirerà oltre i 40 euro. La Fp-Cgil ha poi calcolato che, con il ticket da 10 euro, il costo di un elettrocardiogramma passerà da 11,65 a 21,65 euro, un fundus oculi da 7,75 a 17,75 euro, un esame rx al torace da 15,50 a 25,50 euro, un esame allergologico strumentale da 6,04 a 16,04 euro e l’emocultura da 26,45 a 36,45 euro. «L’introduzione da subito dei ticket sanitari riguarda quelli previsti dal 2007 per cui ci sono categorie esenti. Non sono spalmati su tutta la popolazione sono esenti» ha precisato ieri il ministro della Salute, Ferruccio Fazio.

Bollo depositi
Resta l’aumento ma è graduale
Confermata la rimodulazione dell’imposta di bollo sui depositi titoli. Rispetto all’idea di innalzare questa tassa da subito a quota 120 euro il Senato ha votato una nuova graduazione del prelievo: il bollo, con periodicità annuale, sarà di 34,20 euro per gli importi inferiori ai 50mila euro, di 70 euro per quelli pari o superiori ai 50mila euro e inferiori ai 150mila euro; di 240 euro per importi pari o superiori ai 150mila euro e inferiori ai 500mila euro; di 680 euro per importi pari o superiori a 500mila euro. Dal 2013 l’imposta con periodicità annuale sarà di 230 euro per gli importi pari o superiori ai 50mila euro e inferiori a 150 mila; di 780 euro per importi pari o superiori a 150mila euro e inferiori a 500mila euro e di 1.100 euro per importi pari o superiori a 500mila euro. Per i manager, invece, aumenta l’imponibile delle stock option e bonus, su cui viene applicata un’aliquota addizionale del 10%. L’aliquota, finora applicata per la quota che supera il triplo della parte fissa della retribuzione, sarà ora applicata per l’intero importo che eccede la parte fissa della retribuzione.

Pensioni
Stretta “morbida” sulle rivalutazioni
Nonostante abbia suscitato molte perplessità, resta la stretta sulla rivalutazione delle pensioni per il biennio 2012-2013, anche se viene ammorbidita. A quelle superiori a 5 volte il trattamento minimo, ossia a 2.341 euro lordi al mese (1.600-1.700 netti), non si applica la rivalutazione. Per la quota tra tre volte e cinque volte il minimo (quindi tra 1.428 e 2.341 euro lordi) la rivalutazione scatta al 70% (contro il 45% previsto in un primo momento). Gli importi sotto i 1.428 euro non subiscono invece penalizzazioni. Nel pacchetto anche l’anticipo al 2013 dell’adeguamento triennale dell’età di pensionamento all’aspettativa di vita media calcolata dall’Istat. Dal 2013 ci vorranno 3 mesi in più per ottenere il pensionamento di vecchiaia, dal 2016 al 2030 ne serviranno quattro, dal 2030 al 2050 si scende di nuovo a 3 mesi. Per coloro coloro che maturano 40 anni di contributi (indipendentemente dall’età) si parte invece già l’anno prossimo quando la decorrenza del pensionamento verrà posticipata di un mese. Il posticipo è di due mesi per coloro che maturano il requisito nel 2013 e di 3 mesi se i 40 anni di contributi si raggiungono a decorrere dal primo gennaio 2014. Tutto resta invariato per chi matura il requisito entro il 2011. Confermata la partenza nel 2020 dell’aumento dell’età per la pensione di vecchiaia delle donne nel settore privato. Il meccanismo è graduale e si arriva a 65 anni nel 2032.

Giovani under 35
C’è più tempo per avere i bonus
Vengono aumentati i limiti temporali per le agevolazioni fiscali previste a favore di giovani, disoccupati e titolari di partita Iva che abbiano avviato un’attività di impresa dopo il 2007. L’emendamento all’articolo 27 del decreto taglia-deficit, in materia di «regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità» presentato dal ministro Meloni e inserito nella manovra economica, allungherà fino al trentacinquesimo anno di età la possibilità di poter usufruire dell’imposta forfettaria per le nuove imprese, calcolata al 5% per i cinque anni successivi all’avvio dell’attività. Chi ha meno di 35 anni potrà quindi usufruire del regime fiscale agevolato fino al limite d’età introdotto dalla modifica. Per chi ha invece superato tale limite, il regime fiscale sostitutivo dell’imposta sul reddito si applicherà comunque per il periodo d’imposta in cui l’attività è stata avviata e rimarrà in vigore per i quattro anni successivi. Per poter ottenere i benefici previsti dal decreto di legge l’attività non dovrà configurarsi come prosecuzione di una attività precedente, fatta eccezione per il periodo di praticantato previsto dagli ordini professionali. Il contribuente non dovrà inoltre aver esercitato, nei tre anni precedenti l’inizio della medesima, alcun tipo di attività.

 

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Da IlSole24Ore

Il «surplus» dal taglio delle agevolazioni

di Dino Pesole

 

Il rafforzamento della manovra nel passaggio al Senato è evidente, ed equivale a 22,6 miliardi. Per gran parte si tratta delle maggiori entrate attese dalla riduzione ‘orizzontale’ delle agevolazioni fiscali. Nel testo originario, la manovra assicurava alla riduzione del deficit nell’anno finale, il 2014, solo 25,3 miliardi, poiché i restanti 16,7 miliardi erano affidati alla futura riforma fiscale, ma senza che la clausola di salvaguardia fosse esplicitata già nel testo del decreto legge. Si rinviava in sostanza questa parte tutt’altro che secondaria alla legge di stabilità.

Ora, la decisione di inserire nel corpo della manovra il meccanismo di salvaguardia, per di più rovesciato rispetto all’impostazione originaria, porta direttamente a un valore totale a regime dell’intera correzione sul deficit, dunque dal 2014, a quota 47,9 miliardi (si supera i 50 miliardi se si somma il totale delle risorse che vengono mobilitate). Il taglio delle agevolazioni non si applicherà se dal settembre 2013 verranno eliminati o ridotti gli attuali regimi di «esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali». Nell’un caso come nell’altro, il maggior gettito dovrà essere assicurato. Dal punto di vista dei saldi, cambia poco.

Il rafforzamento dell’impianto della correzione è comunque di tutto rispetto. Lo chiarisce la tabella riassuntiva elaborata dalla Ragioneria, laddove si quantifica in 2,1 miliardi l’impatto sul 2011 in termini di indebitamento netto (il deficit nella versione ‘europea’), che salgono a 5,4 nel 2012, a 6,5 nel 2013 e appunto a 22,6 miliardi nel 2014. Magna pars della correzione aggiuntiva è affidata per 4 miliardi nel 2013 alla riduzione delle agevolazioni fiscali, per 20 miliardi nel 2014 (dunque alla clausola di salvaguardia). Per fare chiarezza sul balletto delle cifre che continua a replicarsi quotidianamente, si può dunque concludere che a regime, vale a dire nel 2014, anno terminale della correzione in cui è previsto realizzarsi l’obiettivo del quasi pareggio di bilancio, la manovra vale 47,9 miliardi.

A quel punto, e solo dopo aver portato a casa le correzioni previste negli anni precedenti (2011-2013-2013), il totale della manovra comincerà a esplicare a pieno i suoi effetti. Fino ad allora, opereranno le correzioni annuali. La somma dei vari interventi annuali però rischia di essere fuorviante: poiché per gran parte le misure messe in campo avranno effetti strutturali, secondo le regole della contabilità pubblica l’impatto annuale si trasferisce sugli esercizi successivi. L’effetto dunque è incrementale non aritmetico. La somma aritmetica degli effetti finanziari, distinti anno per anno, porterebbe viceversa a un totale non molto lontano dagli 80 miliardi.

L’occasione è propizia per rifare bene i conti, anche per le possibili sorprese (per una volta in positivo che potrebbero determinarsi). Eccone una. Stando alle cifre, se il percorso di riduzione del deficit contenuto nella manovra verrà attuato a pieno (e se il Pil si manterrà nella progressione annuale stimata dal governo) nel 2014 potrebbe andare anche meglio rispetto al valore programmatico previsto dal Governo. Nel Documento di economia e finanza, in cui per inciso c’era scritto che la manovra si sarebbe fatta integralmente sulla spesa, si ipotizza che il deficit scenda allo 0,2% del Pil: close to balance, vicino al pareggio, dunque. In realtà, probabilmente si potrebbe chiudere addirittura in leggero avanzo.

Non è facilissimo prevederlo fin d’ora, perché alcune partite sono sottostimate e altre sovrastimate, e poi pare arduo stimare se la variabile fondamentale, vale a dire il Pil, si attesterà effettivamente all’1,3% nel 2012, all’1,5% nel 2013 e all’1,6% nel 2013. Se andasse veramente così (e sarebbe naturalmente un’ottima notizia), si aprirebbero dal 2014 scenari inediti per la finanza pubblica, anche con riguardo all’evoluzione degli altri due, fondamentali indicatori: l’avanzo primario e il debito pubblico.

Fin qui la manovra. E la delega fiscale/assistenziale? La novità intervenuta in questo (unico di fatto) passaggio parlamentare è che il Ddl servirà a produrre maggiori entrate a beneficio della correzione complessiva del deficit. Resta formalmente fuori tutta la partita relativa all’atteso taglio delle tasse. Se ne parlerà certamente quando, una volta approvata la delega, verranno definiti i relativi decreti legislativi. La domanda è d’obbligo: con quel che è accaduto da venerdì scorso sui mercati, si può ancora ipotizzare che entro la fine della legislatura (dunque nel 2013) si realizzi una prima, significativa tranche di riduzione delle imposte? È ancora in piedi l’opzione meno imposizione sui redditi, maggiore tassazione sulle ‘cose’?

 

Ecco tutte le agevolazioni a rischio

di Marco Mobili all’interno il blog di Jacopo Giliberto

 

Sono complessivamente 483 le agevolazioni fiscali che oggi costano allo Stato più di 161 miliardi di euro. Ed è da questo enorme bacino che il Governo ha deciso – con la manovra approvata oggi al Senato e che nelle prossime 24 ore verrà licenziata definitivamente alla Camera – di recuperare i 20 miliardi di euro che dovranno portare l’Italia nel 2014 al pareggio di bilancio.

Così come prevede una delle modifiche apportate al decreto legge n. 98, il Governo procederà prima nel 2013 con un taglio lineare del 5% e poi con una sforbiciata del 20% per l’anno successivo. Con il primo intervento l’Economia stima di recupare 4 miliardi, con il secondo i citati 20 miliardi. Un taglio che dovrà essere necessariamente indirizzato dal ministero, il quale con uno o più decreti definirà le modalità di intervento, soprattutto se la riduzione non sarà di immediata applicazione.

La tabella con i bonus da tagliare
Infatti, occorre tenere presente che nella tabella allegata alla manovra di pareggio – frutto del lavoro condotto dal tavolo di studio sulla riforma fiscale presieduto da Vieri Ceriani (responsabile fiscale di BankItalia) – le agevolazioni a rischio sono riportate suddivise per grandi voci come la casa, la famiglia, gli enti no profit, le imprese e per tipologie di imposta, come nella sezione dedicata alle aliquote agevolate Iva, piutttosto che tutti glia ltri sconti conxcessi per le imposte indirette.

Dalla tabella delle cosiddette tax expenditures emerge, dunque, quanto lo Stato oggi paga per le deduzioni Irpef prima casa o per gli sconti Irpef del 36 o 55% per ristrutturazioni e riqualificazioni di beni immobili. O ancora quanto valgono le detrazioni per lavoro dipendente o per i familiari a carico, per le spese mediche o per il diritto allo studio. Ci sono poi i regimi agevolati e le aliquote ridotte per gli sconti alle imprese, all’agricoltura o all’autotrasporto.

L’incognita della delega fiscale e assistenziale
Su questo variegato mondo di agevolazioni, esenzioni e regimi di favore, dunque il Governo procederà al taglio del 5 e del 20%. A patto però che il Governo e il Parlamento approvino e procedano all’attuazione delle delega fiscale e assistenziale. Infatti se entro il 30 settembre 2013 i decreti attuativi del nuovo fisco e del nuovo welfare produrranno effetti positivi per 4 miliardi nel 2013 e per 20 miliardi nel 2014, il taglio lineare non ci sarà. Almeno questo dispone oggi la manovra di pareggio.

 

 

Taglio più soft alle rivalutazioni

articoli di Giampiero Falasca, Andrea Carli, Marco Mobili e Dino Pesole e all’interno un commento di Elsa Fornero

 

Gli emendamenti in materia previdenziale approvati dal Senato si concentrano su poche ma importanti modifiche. Viene ammorbidito il blocco della perequazione automatica, si anticipa al 2013 il meccanismo che lega i requisiti anagrafici ai fini previdenziali alla speranza di vita, viene introdotto un contributo di solidarietà per le pensioni più alte e, infine, si introduce una mini finestra per i soggetti che vanno in pensione con 40 anni di contribuzione.

Perequazione automatica
Vengono smentite le ipotesi, circolate nei giorni scorsi, di innalzamento delle soglie di pensione colpite dal blocco della perequazione, e resta confermato l’impianto che ruota sugli scaglioni di pensione fino a 1.428, fino a 2.300 e oltre 2.300 euro. Per ciascuna quota di pensione rientrante in questi scaglioni, viene confermato il meccanismo di limitazione crescente della perequazione. La limitazione non tocca le pensioni che arrivano fino a 1.428 euro, mentre viene riconosciuto solo il 70% della rivalutazione alle pensioni della fascia intermedia; rispetto al Dl 98 si registra quindi un aumento della quota di rivalutazione (nella precedente disciplina era fissata al 45%). Oltre i 2.300 euro, viene confermato il blocco totale della perequazione. Dal 1° gennaio 2014, salvo ulteriori interventi futuri, riprenderà la disciplina ordinaria, senza alcun diritto di recuperare gli importi bloccati nel biennio 2012-2013.

La speranza di vita
Il sistema introdotto dalla manovra d’estate dello scorso anno (legge 122/2010) garantisce un adeguamento permanente dei requisiti pensionistici: ogni tre anni l’Istat certifica le speranze di vita e, se queste crescono, automaticamente crescono i requisiti anagrafici per le pensioni di vecchiaia e di anzianità. Questo sistema doveva entrare in vigore nel 2015, il Dl 98 lo ha anticipato al 2014 e in sede di conversione si profila un’altra anticipazione, al 1 gennaio 2013. Da tale data, quindi, si verificherà una crescita secca di 3 mesi dei requisiti anagrafici di tutte le pensioni, di vecchiaia e di anzianità, e con cadenza triennale tali requisiti potranno ancora crescere.

Contributo di solidarietà
La legge di conversione riporta in vita uno degli istituti più controversi del sistema previdenziale, il contributo di solidarietà. Si tratta di una trattenuta secca che si applica sulle pensioni più alte, che trova l’unica (ed esplicita) giustificazione nelle esigenze di finanza pubblica. La nuova disciplina prevede tre scaglioni di pensione. Fino a 90 mila euro lordi, non si applica alcuna trattenuta. Per lo scaglione di pensione compreso tra 90 mila e 150 mila euro lordi, si applica una trattenuta del 5%; per lo scaglione successivo, la trattenuta cresce al 10%.

I 40 anni di contributi
Ultima novità di rilievo riguarda i soggetti che vanno in pensione con 40 anni di contributi, e quindi non sono soggetti ad alcun requisito anagrafico. Per queste persone si introducono delle mini finestre che avranno l’effetto di ritardare il godimento della pensione (che oggi non era soggetto a limiti). Per chi matura i requisiti nel 2012, la pensione slitta di un mese; i mesi salgono a due per chi matura il diritto nel 2013, e arrivano a tre per le pensioni maturate a partire dal 1° gennaio 2014. Sono esclusi dalle regole tutto coloro i quali maturano la pensione entro il 31 dicembre 2011, oltre a un gruppo predefinito di 5mila persone, da selezionare tra quelle che matureranno il diritto dopo tale data e che abbiano determinate caratteristiche (lavoratori in mobilità, titolari di prestazioni a carico dei fondi di solidarietà).

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