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Una manovra al giorno?

Facile fare previsioni quando tutti gli elementi sono già squadernati sul tavolo. La manovra sanguinosa che il governo ha fatto passare in soli cinque giorni, grazie al pressing di Giorgio Napolitano e alla condiscendenza «temporale» del Pd, a tutto poteva servire tranne che a «tranquillizzare i mercati». Che infatti ieri si sono scatenati come se nulla fosse stato.

Piazza Affari ha perso un altro 3%, con tutto il settore bancario stracciato via (oltre il 6% in un solo giorno), nonostante tutti i giornali internazionali titolassero che «gli istituti italiani e spagnoli si sono rivelati i migliori alla prova degli stress test» (un discutibile esercizio contabile per stabilire la loro capacità teorica di resistere a una nuova crisi stile 2008-2009). Soprattutto i titoli di stato – italiani e iberici, ma persino quelli francesi e tedeschi – hanno ballato come non si vedeva da mesi la danza del deprezzamento. Il differenziale di rendimento tra i Btp caserecci e i mitici Bund germanici è di nuovo salito a 337 punti (il 3,37%); vuol dire che per rifinanziare il debito sul mercato è necessario offrire titoli con rendimenti più alti (o, che è lo stesso, prezzi più bassi).
Se si vuole un’immagine per descrivere la reazione dei mercati alla manovra, dunque, eccone una: un governo screditato e sotto pressione si è rivelato prontissimo a sacrificare le condizioni di vita dei suoi cittadini pur di «tranquillizzare noi mercati». Bene, allora «possiamo battere cassa» con ancora più convinzione, certi che faranno di tutto e di più per riempirci le tasche; basta insistere ancora un po’.
La vulgata confindustriale preferisce per ora suonare una canzone differente: «il giudizio dei mercati sembra essere una bocciatura». Che, tradotta in lingua italiana, suona: «facciamo di più» (ossia di peggio). Del resto questa richiesta esplicita è arrivata ieri da Goldman Sachs, una delle banche di investimento «troppo grandi per fallire» che ha inventato e detiene buona parte dei prodotti finanziari «derivati» che hanno sconvolto la finanza globale. In una sua nota dedicata al nostro paese, infatti, i suoi analisti hanno deciso che «alcuni fattori specifici italiani hanno probabilmente influito sul timing della recente ondata di vendite di mercato». Tra questi «la potenziale incapacità del governo a fare necessari tagli di bilancio ha aggiunto timori al peso delle misure di austerity». Il processo di «riforme» è stato ovviamente rallentato a causa dell’ingorgo politico», ma è «incoraggiante il fatto che Camera e Senato abbiano appoggiato i piani di budget del ministro Tremonti», un «segnale forte che l’Italia sta rispondendo ai timori di mercato». Gentili. In fondo ci dicono «grazie».
Ma è tutto il mondo che sta tremando. Gli occhi sono puntati su due appuntamenti chiave. Il più vicino è il vertice dei leader europei che si terrà giovedì a Bruxelles. Il portavoce del governo tedesco – perno di ogni decisione – ha promesso che lì si farà «un grosso passo avanti nella soluzione della crisi greca». In Germania si parla in effetti di una nuova tassa sulle banche per finanziare il piano di salvataggio; e le stesse banche private dovrebbero inoltre «contribuire a un riacquisto delle obbligazioni greche», per depotenziare la pressione sui titoli. Ma segnali opposti arrivano dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi), una parte del quale sarebbe contraria a partecipare a un nuovo piano di bailout. La stessa Bce non appare in sintonia con la politica continentale. Ha comunicato che nei giorni scorsi non ha acquistato bond pubblici sul mercato secondario, di fatto «aiutando» la pressione speculativa. Ed oggi «drenerà» 74 miliardi di euro di liquidità per «sterilizzare» gli acquisti fin qui fatti. Il contrario di quel che le viene chiesto e che anche la Fed americana sta facendo.
Il secondo pilastro dell’instabilità è infatti negli Usa. Il balletto infinito tra Obama e il Congresso – dove la maggioranza è repubblicana – non ha ancora portato a una decisione sull’innalzamento del «tetto» del debito pubblico, senza il quale – dal 2 agosto – gli States saranno in «default tecnico»: impossibilitati a pagare qualsiasi spesa federale. Più passano i giorni, più le preoccupazioni aumentano. L’agenzia di rating Moody’s (una delle tre che con i loro voti scatenano ondate mirate di panico) è arrivata ieri a consigliare di «togliere il tetto» (ci vuole ogni anno una legge per fissare la cifra limite), eliminando il problema alla radice. Insomma, consigliano Obama e il Congresso di non pensare ad agire come il liberismo prescrive, perché tanto gli Usa possono stampare ancora dollari a volontà, scaricando come sempre buona parte dei loro problemi sul resto del mondo).
Vista corta, anche da questo lato. Ogni soggetto forte del mercato chiede «sacrifici» a qualcun altro. Qualcuno li farà. Quando la manovra comincerà a dispiegare tutti i suoi effetti (ben al di là dei soli ticket, già operativi), ce ne accorgeremo meglio tutti.
da “il manifesto” del 19 luglio 2011
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