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Manovra in corso: governo diviso, ma pronto a far più male

Sì all’Iva al 21% ma riflettere sull’articolo 18

La Confindustria insiste: no al «contributo di solidarietà» previsto dalla manovra. «Sarebbe profondamente ingiusto», ha detto ieri il direttore generale Giampaolo Galli in audizione al Senato. «Meglio piuttosto alzare l’Iva ordinaria al 21% – ha continuato Galli – Questa misura darebbe un gettito aggiuntivo di circa 3,7 miliardi e permetterebbe di evitare la Robin tax (sulle società energetiche, ndr) e il contributo di solidarietà».
Più articolato il giudizio su un’altra norma «calda» della manovra, l’articolo 8 (quello che permette a un accordo aziendale di derogare a leggi, contratti e perfino all’articolo 18, e che dà retroattività all’accordo del 28 giugno): Confindustria non è esattamente contraria, dice anzi che «tende a favorire lo sviluppo e la diffusione della contrattazione di secondo livello in coerenza con quanto Confindustria ha concordato con i sindacati», ma nel contempo ritiene che sia «necessaria una riflessione con i sindacati che hanno sottoscritto l’accordo interconfederale del 28 giugno, perché le disposizioni si prestano a interpretazioni che potrebbero non essere coerenti con l’accordo stesso».
La Confindustria, insomma, sia per non deteriorare l’intesa faticosamente raggiunta con la Cgil (che chiede lo stralcio dell’articolo 8, a differenza di Cisl e Uil che invece lo accettano), sia per avere una maggiore certezza delle relazioni sindacali, richiama l’esigenza di un approfondimento. Galli sollecita quindi una riflessione comune «con particolare riferimento alla questione delle intese modificative»: «Siamo convinti che una materia complessa come quella delle intese modificative delle norme di legge e di contratto vada concordata con le organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo. È essenziale – conclude -un sistema di relazioni sindacali regolato, in grado di garantire certezze quanto all’efficacia dei contenuti della contrattazione collettiva».

Tradotto: nessun ricco dovrà pagare, ma vogliamo la libertà di licenziare chi lavora. Una brillante sintesi degli “Interessi di classe” i gioco dietro le parole.
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da La Stampa

Calderoli rilancia il nodo pensioni: “Toccare chi non ha mai lavorato”

Le pensioni di chi ha lavorato non si toccano, ma «bisogna andare ad interessarsi delle pensioni di chi non ha mai lavorato». Lo afferma il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli (Lega). «Bisogna andare ad interessarsi – spiega Calderoli – delle pensioni di chi non ha mai lavorato, che forse è davvero il caso di andare a rivedere. Per esempio, chi ha pensioni di reversibilità eccessivamente alte, oggi percepisce degli accompagnamenti che attualmente vengono dati indistintamente a tutti senza dei limiti legati al reddito». Quanto alla possibilità di intervenire sulle altre pensioni nell’ambito della manovra Calderoli puntualizza: «Il testo contenuto nella manovra è stato oggetto di una lunga trattativa, e nasce da un accordo tra Berlusconi e Bossi. Non è il testo di partenza: il decreto rappresenta il punto di approdo, e riteniamo che debba rimanere tale».

“Presto una tassa sull’evasione”
Una nuova tassa sull’evasione. La annuncia il ministro della Semplificazione normativa Roberto Calderoli nel corso del suo intervento al Meeting di Rimini precisando che si sta lavorando «un gruppo di tecnici della Lega» che sta raggiungendo Roma. Quel gruppo – aggiunge – «sta stendendo un testo, che presenteremo agli alleati della coalizione». «Lo strumento di questa tassa – spiega Calderoli – è la patrimoniale, ma l’oggetto a cui si riferisce è solo il patrimonio su cui non sono state pagate le tasse sotto altre forme. Non è una doppia imposizione, si tratta solo di usare il patrimonio come strumento di calcolo». Se passa questa «tassa sull’evasione – puntualizza l’esponente del Carroccio – il contributo di solidarietà non avrebbe più ragione di esistere».

Alemanno: “Così com’è la manovra uccide il federalismo”
A giudizio di Alemanno, nel suo intervento ad un incontro a cui partecipano anche il sindaco di Torino, Piero Fassino, e il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, «il rischio che abbiamo di fronte è che mentre lavoriamo per costruire il federalismo si venga schiacciati dal peso di una manovra che si scarica in maniera intollerabile sui Comuni» che, secondo Alemanno, dopo la manovra di giugno e quella correttiva delle scorse settimane, si vedranno scaricati addosso «2,7 miliardi di euro di tagli» per il prossimo anno. Una riduzione pesante soprattutto perchè, sottolinea il sindaco di Roma, «i Comuni sono i primi erogatori di servizi sociali della Repubblica». A giudizio del sindaco di Roma, infine, «quando si fa una manovra non ci si chiude dentro i ministeri e – conclude – dagli stessi ministeri si fa sganciare la manovra» sulla società civile.

Confindustria: “Migliorare la manovra, i rischi restano alti”
«La manovra bis “va migliorata” per rafforzarne la credibilità internazionale, perchè i rischi per l’Italia sui mercati finanziari sono ancora alti». Lo ha affermato il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, secondo cui «lo spread sui titoli italiani rimane ancora elevato, attorno ai 290 punti base. Questo è un segnale che i rischi per il nostro Paese rimangono ancora elevati». «Occorre agire rapidamente – ha detto Galli in un’audizione in commissione Bilancio al Senato – per ristabilire la fiducia dei mercati nell’Italia. La manovra va migliorata per renderla più credibile e per rafforzare le misure a sostegno della crescita».

Tradotto: Calderoli vorrebe tagliare tutta l’assistenza sociale, dalle invalidità (vere e presunte, senza star lì a distinguere, che ci vuole tempo…) all’handica, al sostegno, ecc. Un piccolo genocidio sociale dei più deboli, perfettamente in linea con il critonazismo eugenetico che sta al fondo della mitologia leghista. Ma che adesso diventa “proposta” pratica che ha buone possibilità di “diventare legge dello stato”.
Mille e una manovra

STEFANO LEPRI Ancor più della certezza che dovremo pagare molte tasse in più, disturba la fervida inventiva che quasi ogni ora ci fa intravedere nuove varianti per pagarle. Già era arduo trovare una logica unitaria nella manovra di Ferragosto; ma si poteva accogliere la scusa della fretta. Ora i giorni passano, e la confusione cresce. SI, la manovra – a differenza di quella di luglio, approvata quasi a scatola chiusa – si può modificare, si può migliorare. Con quale disegno, però?

Né all’interno della maggioranza, né tra le principali forze di opposizione, si mette in dubbio che uno sforzo pesante si debba fare. Parrebbe il presupposto giusto per discutere in modo razionale. Invece sta accadendo tutt’altro. Ai livelli alti della coalizione di governo, si discute su quali misure possono far perdere meno voti alle prossime elezioni; con opinioni diverse tra la Lega e il Pdl, e disparate all’interno del Pdl stesso. Nelle file della maggioranza, si affaccendano tutti quelli che vogliono risparmiare oneri ai gruppi di interesse a cui sono legati, scaricandoli altrove.

Per nessuna delle due vie si giunge al disegno che, a parole, sarebbe condiviso da tutti: rimettere in equilibrio il bilancio dello Stato con il minor effetto possibile sulla crescita economica; e anzi rinnovando, aprendo nuove prospettive. Nel contrapporre una ipotesi a un’altra, per lo più si dimentica che la situazione è abbastanza grave da rendere necessari sacrifici ovunque. Non è possibile esentare né «i lavoratori» né «i ceti medi», categorie la cui estensione dipende dal significato che gli si vuole dare, tanto meno «le famiglie» perché siamo tutti noi; e così via.

Ogni aggiustamento di bilancio per necessità mescola misure una tantum con misure di medio periodo. Nel discuterne il dosaggio, meglio non dimenticare che i provvedimenti capaci di assicurare un equilibrio duraturo nel tempo danno certezze con costi minori. Ad esempio, mandare la gente in pensione più tardi, modificando le norme sull’anzianità, assicura sulla sostenibilità del sistema previdenziale; vale assai più di un tributo una tantum di pari importo. Se le resistenze sono forti, si capisca perché: uno sguardo alla realtà – lavoratori manuali ansiosi di riposo già a 60 anni, lavoratori intellettuali attaccati al tavolo anche a 70 – suggerisce soluzioni flessibili.

Dato che la confusione c’è, inutile seguitare a deprecarla. Meglio cercare di cogliere le verità che ne sono emerse. L’aumento del-l’Iva era già nei piani del governo, implicito nella manovra di luglio; soltanto, lo si voleva rimandare a dopo le elezioni. Si può benissimo decidere di adottarlo subito, purché non serva a giustificare minori tagli di spesa in certi settori che protestano.

Siamo in un momento che impone scelte severe. Tuttavia le crisi economiche offrono alla politica anche un vantaggio, se vuole coglierlo: le ragioni dell’equità e quelle dell’efficienza, entrambe necessarie per governare, sono assai meno contrapposte rispetto ai tempi normali. Se si vuole fare ripartire l’eco- nomia, occorre mobilitare le risorse inutilizzate per privilegio di pochi: sfrondare gli sprechi pubblici, colpire rendite che intralciano il mercato, tassare patrimoni non impiegati per la produzione.

E’ ancor più utile dare questo segno in un Paese come l’Italia, che già da prima tendeva a rifugiarsi nella «roba» – nei soldi messi da parte, nelle case – di fronte ai figli precari, agli stipendi stagnanti, all’intraprendenza intralciata, al merito irriso dalle raccomandazioni. Tra l’altro, la «roba» di molti evasori è meno ignota al fisco dei loro redditi. Sta ai governanti essere meno pessimisti di Machiavelli, secondo il quale «li uomini sdimenticano piú presto la morte del padre che la perdita del patrimonio».

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dal Corriere della sera

Quei super dirigenti statali
pagati con un doppio stipendio

Lo scandalo dei «fuori ruolo». Solo i magistrati sono trecento

Il governatore Formigoni dice che i cittadini chiedono un segnale: vendere le Poste, la Rai, il patrimonio immobiliare. L’esperienza ha purtroppo insegnato che finora vendere significa svendere, o meglio, profitti privati e perdite pubbliche. Il ministro è sempre lo stesso, quello della cartolarizzazione più grande del mondo, ovvero la vendita degli immobili degli enti previdenziali, attraverso società di diritto lussemburghese, Scip 1, 2 e 3. Un fallimento pagato da noi e che qualcuno ha definito «romanzo criminale». Forse il cittadino avrebbe maggiore fiducia se a vendere fosse una nuova generazione politica. Certo è che il primo segnale che il cittadino, quello che deve continuare a tirarsi il collo, oggi chiede, è di farla finita almeno con privilegi che gridano vendetta e che si continua ad escludere dalla cura dimagrante.

Era l’inizio di dicembre 2010, era appena stata varata una manovra di correzione dei conti pubblici con i soliti tagli lineari, quando invitammo, senza essere degnati di cortese risposta, la presidenza del Consiglio e il ministro Tremonti a provvedere all’eliminazione di una norma che non ci risulta applicata in nessun altro paese civile: l’incasso di uno stipendio per un mestiere che non fai
( www.report.rai.it ). Quando un dipendente pubblico viene chiamato a svolgere un incarico presso un ministero, una commissione parlamentare, un’authority o un organismo internazionale, va in «fuori ruolo». Trattandosi di incarico temporaneo, conserva ovviamente il posto, l’anomalia è che conserva anche lo stipendio, a cui si aggiunge l’indennità per il nuovo incarico. In sostanza due stipendi per un periodo di tempo spesso illimitato. Nel 1994 il Csm lanciava l’allarme, segnalando «il numero crescente dei magistrati collocati fuori ruolo, la durata inaccettabile di alcune situazioni, alcune superano il ventennio, quando non il trentennio… la reiterazione degli incarichi… con la creazione di vere e proprie carriere parallele».

Domanda: è ammissibile che un soggetto che non lavora per un’amministrazione, ma lavora per un’altra, venga pagato anche dall’amministrazione per la quale non lavora? Sono bravi dirigenti dello Stato, sicuramente i migliori, visto che sono sempre gli stessi a passare cronicamente da un fuori ruolo ad un altro, lasciando sguarnito il posto d’origine perché non possono essere sostituiti, e i loro colleghi che restano in servizio si devono far carico anche del loro lavoro. E poi c’è il danno, il magistrato fuori ruolo percepisce anche l’indennità di malattia, mentre quelli in servizio la perdono. Per arrivare alla beffa, e cioè possono essere promossi, ovvero avanzare di carriera mentre sono fuori ruolo. Ad esempio Antonio Catricalà è fuori ruolo dal Consiglio di Stato da sempre, è stato capo gabinetto di vari ministri di schieramenti opposti, poi all’Agcom, fino al 2005 segretario della presidenza del Consiglio con Berlusconi, quindi nominato presidente dell’Antitrust. Non ricopre la carica in Consiglio di Stato, ma ciononostante nel 2006 da consigliere diventa presidente di sezione, e senza ricoprire quel ruolo incassa uno stipendio di 9.000 euro netti al mese che si aggiungono ai 528.492,67 annui dell’Antitrust.

A fare carriera senza ricoprire la carica è anche Salvatore Sechi, distaccato alla presidenza del Consiglio con un’indennità di 232.413,18, e Franco Frattini, nominato presidente di sezione del Consiglio di Stato il 7 ottobre del 2009 mentre è ministro della Repubblica (che però risulta in aspettativa per mandato parlamentare). Consigliere di Stato è anche Donato Marra: percepisce 189.926,38, più un’indennità di funzione di 352.513,23 perché è alla presidenza della Repubblica. Il dottor Paolo Maria Napolitano oltre allo stipendio di consigliere di Stato in fuori ruolo, prende 440.410,49 come giudice della Corte costituzionale. Anche Lamberto Cardia, magistrato della Corte dei conti fuori ruolo, è stato 13 anni alla Consob, ma il 16 ottobre del 2002 è stato nominato presidente di sezione, «durante il periodo in cui è stato collocato fuori ruolo», specifica l’ufficio stampa della Corte dei conti, «ha percepito il trattamento economico di magistrato, avendo l’emolumento di 430.000 euro corrisposto dalla Consob, natura di indennità».

Tra Consiglio di Stato, Tar, Corte dei conti, Avvocatura dello Stato e magistratura ordinaria, sono fuori ruolo circa 300 magistrati che mantengono il loro trattamento economico percependo un’indennità di funzione che a volte supera lo stipendio. Il commissario dell’Agcom Nicola D’Angelo ha sentito la necessità di rinunciare all’assegno e mettersi in aspettativa. Dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni riceve un’indennità di 440.410,49 annui, dall’agosto del 2010, dopo la manovra che tagliava gli insegnanti di sostegno nelle scuole per i disabili e gli stipendi dei dirigenti pubblici del 10%, ha rinunciato ai 7.000 euro al mese che prendeva da consigliere del Tar fuori ruolo. Una scelta personale, visto che non ci ha pensato Tremonti. D’Angelo dice di essere l’unico a porsi un problema etico, in effetti gli altri, ad esempio Alessandro Botto, consigliere di Stato fuori ruolo e componente dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, con doppio stipendio, ha dichiarato di non sapere che si potesse rinunciare al doppio assegno. La giustificazione è che lo stipendio da magistrato serve ad integrare quello per la carica da dirigente perché non abbastanza remunerata.

È proprio vero che all’ingordigia non c’è fine: il presidente della Consob spagnola prende 162.000 euro l’anno, quello delle telecomunicazioni 146.000, non un euro in più, e nessun magistrato prestato ad altre funzioni mantiene il posto e tantomeno lo stipendio. Le nostre associazioni dei magistrati hanno chiesto più volte di limitare l’uso dei magistrati fuori ruolo ai casi strettamente necessari, perché si può creare una pericolosa commistione tra ordine giudiziario e potere politico, oltre a quello di sottrarre centinaia di magistrati al lavoro di giudici per svolgere il quale sono stati selezionati e vengono pagati. Ma sicuramente alla politica che sceglie, dai capi gabinetto ai membri delle Authority, fa sempre comodo «valorizzare» i magistrati, sia penali che amministrativi, perché in atti dove si deve forzare un po’ la mano, possono dare utili consigli. Allora, visto che in questi giorni ai cittadini verranno imposte lacrime e sangue, cominciamo ad eliminare elargizioni e benefici il cui accumulo rende impossibile perfino la quantificazione. Non sono questi i numeri che porteranno al pareggio di bilancio, ma certamente hanno contribuito a far sballare i conti e alla formazione di una cultura arraffona e irresponsabile. Una classe politica che non sa essere «giusta» incattivisce i suoi cittadini, e alla fine verrà condannata dalla storia.

Milena Gabanelli e Bernardo Iovene
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da La Stampa
Confindustria. Aumentare l’Iva
RAFFAELLO MASCI

ROMA
Il governo compia un gesto di coraggio e rimetta mano all’Iva: un punto ulteriore – dopo quello dello scorso luglio – fino a salire al 21%. In questo modo l’effetto-manovra sarà più spalmato e meno doloroso per tutti. E’ questa la proposta che Confindustria ha fatto ieri mattina alla Commissione Bilancio del Senato, davanti a cui si è stato «audito» (si dice così) il direttore generale della massima organizzazione imprenditoriale, Giampaolo Galli. L’istanza suggerita dagli industriali, dovrebbe essere uno dei pilastri della manovra e, associata ad una attenta lotta all’evasione (tracciabilità dei pagamenti a iniziare da 500 euro) e ad alcuni ritocchi alla spesa pensionistica (superando le pensioni di anzianità e innalzando l’età per le donne dal 2012), «avrebbe effetti molto rilevanti per la finanza pubblica con risparmi a regime superiori ai 15 miliardi di euro».

La ricetta è dunque chiara: Iva, lotta all’evasione, revisione della materia pensionistica. Il tutto per «ristabilire la fiducia dei mercati» e rendere la manovra «più credibile», obiettivo che, evidentemente, così com’è non ha raggiunto, tant’è che «se i mercati credessero al pareggio nel 2013 o 2014 lo spread sarebbe a 100», invece di 290 circa. Questo il ragionamento di Galli. Confindustria ha poi ripetuto alla Commissione – e quindi al governo, indirettamente – di essere favorevole ad una riduzione dei costi della politica e al varo di un piano serio di liberalizzazioni. Ma ha anche suggerito una linea più decisa sulle province, proponendone l’abolizione generale, mentre «gli Enti locali devono essere incentivati a dismettere le proprietà immobiliari e le società di servizi consentendo loro di utilizzarne i proventi per spese di investimento superando gli attuali vincoli del Patto di stabilità».

Un netto no, invece, alla Robin Hood Tax ma anche al contributo di solidarietà proposto dal governo e ritenuto «profondamente ingiusto perché incide solo su coloro che dichiarano tutti i propri redditi e già contribuiscono sostanzialmente al benessere del Paese», senza dire che si tratterebbe di una misura non strutturale e che colpirebbe solo 520 mila contribuenti, pari all’1,24% della platea. Inoltre, sulle norme per il lavoro e la contrattazione aziendale, in deroga al contratto nazionale, ha detto Galli, «è necessaria una riflessione con i sindacati che hanno sottoscritto l’accordo interconfederale del 28 giugno perché le disposizioni si prestano ad interpretazioni che potrebbero non essere coerenti con l’accordo stesso».

Il riferimento è all’articolo 8 della manovra con cui il governo ha definito la derogabilità del contratto nazionale anche sotto il profilo delle conseguenze del licenziamento del lavoratore senza giusta causa e cha ha già diviso Cgil, Cisl e Uil. «Siamo convinti – ha aggiunto il Dg di viale dell’Astronomia – che una materia complessa come quella delle intese modificative delle norme di legge e di contratto vada concordata con le organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo. È essenziale un sistema di relazioni sindacali regolato, in grado di garantire certezze quanto all’efficacia dei contenuti della contrattazione collettiva». Per Confindustria, infine, bisogna accelerare sulla delega assistenziale e fiscale, e serve un ulteriore «impegno sulla via del rilancio del Mezzogiorno».

Nota redazionale: dio confonde coloro che vuole perdere, si dice. Gli “industriali” italiani, se fosse vero, sarebbero maledetti anche da dio. Chiusi nel loro bunker reddituale (“non pagheremo un euro di tasse in più”) sono disposti a sponsorizzare un’idea (l’aumento dell’Iva) che sarebbe per loro catastrofica: si tradurrebbe infatti immediatamente in un aumento dei prezzo e in una proporzionale caduta dei consumi; osia, dal loro punto di vista “produttivo”, in un ulteriore calo delle vendite, quindi dei profitti, e infine persino dei loro redditi. Eccezionali! Se tutti i capitalisti fossero così, avremmo già cambiato modo di produzione…
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da Il Sole 24 Ore

Dino Pesole

Un pacchetto di misure che vale 15 miliardi, da ottenere attraverso una serie di interventi che spaziano dall’aumento di un punto dell’aliquota ordinaria Iva del 20% al rafforzamento delle misure antievasione, dall’attuazione di un «grande piano di privatizzazioni e liberalizzazioni» al superamento delle pensioni di anzianità, con contestuale elevazione già dal 2012 dell’età pensionabile delle donne del settore privato. Si conseguirebbero in tal modo risparmi a regime con «effetti molto rilevanti» per la finanza pubblica, aprendo così lo spazio per incentivare l’occupazione e lo sviluppo e «riducendo gradualmente il cuneo contributivo e fiscale su lavoratori e imprese». Il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, ha esposto ieri alle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato la ricetta dell’organizzazione degli imprenditori per modificare la manovra aggiuntiva in discussionea palazzo Madama, così da renderla «più credibile» rafforzando al tempo stesso le misure a sostegno della crescita. La premessa è che la solidità dei conti pubblici va accompagnata con misure concrete proprio per sostenere lo sviluppo. «Diamo atto al governo di aver avuto la forza di reagire proponendo una manovra aggiuntiva molto complessa, sia pure a seguito del forte richiamo del 5 agosto da parte della Bce». Lo spread sui titoli italiani resta però ancora elevato, attorno ai 290 punti base, segno che i rischi per il nostro paese «rimangono ancora elevati». Gli interventi proposti da Con-fmdustria partono dalla constatazione che i costi della politica e degli apparati amministrativi vanno affrontati «con maggiore determinazione». E dunque il dispositivo introdotto nel decreto, che alla scadenza del mandato amministrativo in corso prevede la soppressione delle province con popolazione inferiore o uguale a 3oomila abitanti, andrebbe rafforzato attraverso l’abolizione tout court delle province. In attesa della necessaria riforma costituzionale, si potrebbe procedere alla soppressione del criterio dell’estensione territoriale, e all’eliminazione delle province nella cui circoscrizione siano presenti città metropolitane. Per quel che riguarda la lotta all’evasione, la soglia dei 2.500 euro per i trasferimenti in contante andrebbe ridotta a 5oo euro. Occorre puntare al tempo stesso sul rafforzamento dei meccanismi di accertamento della situazione patrimoniale complessiva del contribuente, da inserire nella dichiarazione dei redditi. Andrebbe contestualmente accelerata l’approvazione dei provvedimenti inseriti nel disegno di legge delega fiscale e assistenziale, con l’obiettivo di eliminare abusi e ridurre le agevolazioni. L’aumento di un punto dell’Iva, dal 20 al 21%, propizierebbe un maggior gettito di 3,7 miliardi: le relative risorse compenserebbero la soppressione della «Robin tax» sul settore energetico. La tassazione aggiuntiva Irpef del 5% sui redditi che superano i 9omila euro annui e del 10% oltre i 15omila euro è giudicata dalla Confmdustria «profondamente ingiusta perché incide solo su coloro che dichiarano tutti i propri redditi». Meno iniqua sarebbe un’imposta ordinaria progressiva sui grandi patrimoni immobiliari. Quanto alla previdenza, a regime – ha osservato Galli – l’anticipo del pensionamento dovrebbe essere consentito solo per coloro in possesso di 4o annidi anzianità contributiva. Sull’articolo 8 del decreto (so- stegno alla contrattazione collettiva di prossimità), la posizione di Confindustria è che la fmalità della norma tenda a «favorire lo sviluppo e la diffusione della contrattazione di secondo livello, in coerenza con quanto Confindustria ha concordato con le organizzazioni sindacali nell’accordo interconfederale del 28 giugno». Sul tema della rappresentanza, Galli ha chiarito che la posizione di Confindustria è che «non vi sia una non coerenza con l’accordo stesso». Per Rete Imprese, la manovra presenta diverse criticità, tra cui la mancanza di spinta alla crescita. Invece di intervenire sull’Iva, sarebbe preferibile la tassazione progressiva sui grandi patrimoni.

*** Le proposte delle imprese

ABBASSARE LA SOGLIA DI CONTANTE A 500 Rafforzare gli strumenti di contrasto all’evasione limitando l’uso del contante: la soglia dei 2.500 euro peri trasferimenti si può abbassare a 500 euro. Si possono altresì realizzare meccanismi di accertamento del patrimonio delle persone fisiche da inserire nella dichiarazione annuale

ENTI LOCALI, PIANO DI DISMISSIONE IMMOBILI Attuare un grande piano di privatizzazioni e liberalizzazioni. Avviare la dismissione del patrimonio pubblico. Incentivare gli Enti locali a dismettere le proprietà immobiliari e le società di servizi consentendo loro di utilizzarne i proventi perinvestimenti superando i vincoli del patto di stabilità

AUMENTO DELL’ALIQUOTA IVA DAL 20 AL 21% Accelerare l’approvazione dei provvedimenti previsti dalla delega assistenziale e fiscale eliminando gli abusi e ridurre, laddove non &iustificate, le agevolazioni fiscali. E necessario anticipare la clausola di salvaguardia prevedendo un aumento dell’aliquota Iva da 20 a 21%con un gettito di 3,7 miliardi

DARE RAPIDA ATTUAZIONE ALLE MISURE DEL PIANO SUD Per quanto riguarda il Sud, la manovra rischia di comportare un’ulteriore riduzione delle risorse perii Fondo aree sottoutilizzate. Occorre che si proceda con impegno sulla via del rilancio del Mezzogiorno e dell’uso più efficace delle risorse dando rapida attuazione alle misure del Piano Sud

PENSIONI, INTERVENIRE SU ANZIANITÀ E DONNE Nella prospettiva di una revisione del sistema di welfare si ritiene ineludibile un intervento volto al superamento delle pensioni di anzianità e all’elevazione dell’età pensionabile delle donne nel settore privato a partire dal 2012. Una parte delle risorse dovrebbe essere usata per alleggerireil fisco sul lavoro

ELIMINARE LA ROBIN TAX La cosiddetta Robin tax sul settore energetico rischia di incrementare ulteriormente i costi dell’energia che già pesano enormemente sulla competitività delle imprese italiane. Confindustria ritiene che questa tassa vada eliminata ed è anche contraria all’ipotesi che venga estesa ad altri settori

ABOLIRE TUTTE LE PROVINCE Agire sui costi della politica. Riteniamo che le province debbano essere abolite. In attesa di una riforma costituzionale, proponiamo l’eliminazione del criterio dell’estensione territoriale e la soppressione delle province nella cui circoscrizione siano presenti città metropolitane

SUPER IRPEF DA SOSTITUIRE CON TASSA SUGLI IMMOBILI Il contributo di solidarietà è ingiusto perché incide solo su coloro che dichiara no tutti i propri redditi egià contribuiscono al benessere del Paese. Meno iniqua sarebbe, se necessaria, un’imposta ordinaria progressiva sui grandi patrimoni immobiliari

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