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Intanto la manovra cancella contratti e leggi

Per dei “cultori della legalità” ad esempio dovrebbe suonare come un insulto sangionoso che un contratto aziendale, che può esser sottoscritto in pratica in condizioni di pesantissima disparità tra datore di lavoro e lavoratori (si pensi a tutte le piccole e anche medie imprese), possa “derogare” ai contratti nazionali o addirittura alle leggi. E’ la consegna dei corpi e dei destini di ogni singolo lavoratore all’arbitrio e al capriccio dei singoli imprenditori. Un caporalato generale di massa, completamente “legalizzato”.

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Il rischio che l’Italia corre è grave e servono misure più incisive di quelle previste nella manovra correttiva dei conti pubblici. Se il governo non avrà la forza di adottare provvedimenti più incisivi e ridare credibilità al Paese dovrà trarne le conseguenze.

Non arriva a chiedere le dimissioni dell’attuale esecutivo, ma il senso delle parole della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, al forum Ambrosetti è chiaro. «Il sentimento è di forte preoccupazione e di richiesta alla politica di rendersi conto della gravità della situazione in cui ci troviamo e immediatamente agire perchè il nostro Paese rischia molto», afferma il numero uno degli industriali, dando voce alle preoccupazioni di imprenditori, in questi giorni riuniti a Cernobbio.

«Finchè c’è una maggioranza la discussione non c’è» e «non sta a Confindustria dire che bisogna cambiare il governo», sottolinea, aggiungendo però che «il governo o trova la forza di fare queste cose o ne tragga le conseguenze. Il paese così non può stare». «Qui c’è un problema di credibilità di questo Paese, di una manovra che deve avere i saldi certi e, soprattutto, c’è un problema di piano della crescita che manca completamente», aggiunge. Alla vigilia della riapertura dei mercati la Marcegaglia indica che «se la Bce smette di comprare titoli di stato gli spread tornano a livelli altissimi e ci saranno problemi molto forti». E «certamente non può comprare all’infinito».

Dall’intervento del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che ha concluso i lavori del workshop, «Non ho visto una chiusura ma ho visto la volontà di ragionare su questi punti che al momento non sono nella manovra», afferma l’imprenditrice. Al titolare del dicastero dell’Economia la Marcegaglia ha snocciolato le richieste emerse dal direttivo di Confindustria, che il primo settembre aveva bollato la manovra come «debole e inadeguata», invitando il governo a intervenire in modo più deciso su pensioni, privatizzazioni, vendita dei patrimoni immobiliari pubblici, investimenti nelle infrastrutture, liberalizzazioni, taglio dei costi della politica. Inoltre «bisogna ridurre da subito le imposte su lavoratori e imprese e alzarle su tutto il resto». «Il modo per recuperare c

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Svolta nella contrattazione, nella disciplina dei licenziamenti e dell’art.18. Con la manovra arriva la possibilità di derogare con i contratti aziendali e territoriali ai contratti nazionali ed alla legge. Anche sul licenziamento (ad eccezione per quello discriminatorio, per matrimonio o per gravidanza) e, quindi, all’art.18 dello Statuto dei lavoratori, la legge 300 del 1970 che impone, per le aziende sopra i 15 dipendenti, il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. Ora, con le modifiche apportate dalla maggioranza in commissione Bilancio al Senato all’art.8 del decreto, un accordo a livello aziendale o territoriale, raggiunto a maggioranza dai sindacati più rappresentativi, sarà sufficiente anche per licenziare. Attacca il leader della Cgil, Susanna Camusso: «Il governo autoritario annulla il contratto collettivo nazionale di lavoro e cancella lo Statuto dei lavoratori, e non solo l’art.18, in violazione dell’art.39 della Costituzione e di tutti i principi di uguaglianza sul lavoro che la Costituzione stessa richiama». Replica il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, secondo cui si danno «utilissimi elementi per la più certa interpretazione delle rilevanti novità» relative ai contratti aziendali e territoriali: «È inequivoco che non possono modificare le norme di rango superiore come i fondamentali principi costituzionale o di carattere comunitario e internazionale». Dunque, aggiunge, «non ha senso parlare di libertà di licenziare o usare altre semplificazioni che non corrispondono, neppure lontanamente, alla oggettività della norma». Perchè, spiega, le intese «possono solo preferire la sanzione del risarcimento a quella della reintegrazione per quelli cui non è stata riconosciuta la giusta causa». Cisl e Uil intervengono sottolineando il fatto che venga precisato che solo i sindacati comparativamente più rappresentativi possano siglare intese a livello aziendale, come stabilito nell’accordo interconfederale, unitario, del 28 giugno scorso, evitando la costituzione di sindacati di «comodo». La Cgil, invece, promette battaglia: «Non rinunceremo a nessuno strumento per cancellare l’articolo 8», dice Camusso, per la quale le ragioni dello sciopero contro la manovra di martedì prossimo «crescono di minuto in minuto». Le modifiche all’art.8 arrivano al termine di una giornata convulsa, in cui lo stesso ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha ammesso che la manovra fatta «in quattro giorni» può contenere «degli errori». Ma che, nonostante questo, i saldi sono coperti, ci sono più tagli che tasse e che, nell’impossibilità di avere a portata di mano «una bacchetta magica», servirebbe una maggiore armonia e «meno bacchettate» dall’esterno. Una risposta nemmeno troppo velata alle critiche arrivate, sempre dal palco di Cernobbio, dalla presidente degli industriali, Emma Marcegaglia, che ha parlato di «rischio grave» per l’Italia, di una manovra in cui «manca la crescita» e del rischio che la Bce «smetta di comprare titoli di stato» con conseguenti «problemi molto forti».

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da Il SOle 24 Ore

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Contratti aziendali e territoriali più forti: potranno derogare alle intese e alle leggi nazionali. Sì della Commissione all’emendamento

di Giovanni Parente

Contratti aziendali e territoriali più forti: potranno derogare alle intese e alle leggi nazionali

Si allarga la portata dei contratti di lavoro sottoscritti a livello territoriale. Saranno possibili deroghe alle leggi nazionali sul contratto di lavoro per gli accordi aziendali e territoriali, comprese quelle sui licenziamenti. È il contenuto dell’emendamento alla manovra approvato oggi pomeriggio dalla commissione Bilancio del Senato. L’emendamento della maggioranza riguarda anche il capitolo licenziamenti, quindi le deroghe all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. «Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonchè i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali di lavoro – si legge nel testo – le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali».
Inoltre un altro emendamento del relatore Antonio Azzollini approvato dalla Commissione Bilancio del Senato prevede che l’accordo interconfederale del 28 giugno tra le parti sociali venga recepito nell’articolo 8 della manovra. Pertanto l’efficacia delle intese sottoscritte a livello aziendale o territoriale riguarda «tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relative alle predette rappresentanze sindacali». Nelle intese aziendali o territoriali valide erga omnes, per misurare la rappresentatività del sindacato basta anche il criterio «territoriale». Si aggiunge la parola «territoriale» quando si parla delle «associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative»: viene così esplicitato «sul piano nazionale o territoriale».

Tutelate le neomamme
Più tutele anche per le neo mamme: entrano, infatti, nella platea dei soggetti che non possono essere licenziati in deroga alle leggi. È quanto prevede un emendamento della maggioranza alla manovra approvato dalla Commissione Bilancio del Senato. Le intese a livello aziendale o territoriale sottoscritte dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale possono decidere su diverse materie (mansioni, contratti a termine, orario di lavoro, tra le quali anche il «recesso dal rapporto di lavoro». Nel testo originario della manovra si faceva eccezione per il licenziamento discriminatorio. Con l’emendamento sono stati aggiunti, e dunque non rientrano nella disponibilità delle parti che fanno intese aziendali o territoriali: «il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonchè fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento».

L’autunno caldo dei rinnovi contrattuali
Norme che, se confermate nell’esame in Aula e poi alla Camera, arrivano a ridosso dell’apertura di una stagione di rinnovi contrattuali che si preannuncia non semplice. Sono circa 8,5 milioni, infatti, i dipendenti del settore privato e del settore pubblico che si presentano a settembre, con il contratto scaduto o in scadenza a dicembre 2011 e, quindi, ai nastri di partenza per un nuovo negoziato.
Tra chi è in attesa di un rinnovo contrattuale da almeno tre anni ci sono circa 430mila metalmeccanici artigiani (compresi orafi e argentieri) e 120mila addetti del trasporto ferroviario, mentre è scaduto nel 2010 l’accordo che regola il lavoro di 1 milione di dipendenti degli studi professionali. Nel solo settore culturale, i 7.500 addetti delle Fondazioni lirico sinfoniche sono senza contratto da 5 anni, mentre in attesa di rinnovo dal 2007 ci sono 20mila artisti a tempo determinato e 4.500 dipendenti dei teatri privati. Nel 2010 è scaduto l’accordo per i 10mila addetti del personale artistico dei teatri e dei 13mila lavoratori degli esercizi cinematografici.

Avanti senza fiducia
Quanto all’iter parlamentare della manovra c’è da segnalare la rassicurazione arrivata dal segretario Pdl, Angelino Alfano, sull’iporesi di ricorrere alla fiducia: «Intendiamo fare un ragionamento concreto e costruttivo con le opposizioni su due questioni: la spending review che é una modalità di controllo del funzionamento della spesa statale, proposto dal Pd in commissione al Senato, e le revisioni delle circoscrizioni giudiziarie su cui si potrebbe arrivare a un punto di intesa con l’Udc nel dibattito parlamentare che, peraltro, non prevede la fiducia». Parole che sembrano, quindi, chiudere gli spiragli aperti in precedenza dal ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani: «Se la fiducia é necessaria, come sempre può essere messa. Mi sembra che il percorso parlamentare sia tutto sommato abbastanza tranquillo».


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Il dilemma infernale della Bce e dell’Italia

 

di Luigi Zingales

Un mese fa lo spread tra i BTp italiani e i Bund tedeschi raggiunse i 413 punti base (ovvero il 4,13%). Senza un immediato intervento della Banca centrale europea il Governo italiano rischiava di perdere l’accesso al mercato e quindi di fare default.

 Per questo fu spedita la famosa lettera di Trichet a Berlusconi in cui – si dice – la Bce si impegnava ad acquistare titoli italiani in cambio di una manovra del nostro Governo che anticipasse il pareggio di bilancio al 2013 e rilanciasse la crescita.
L’intervento della Bce si basava sulla presunzione che il mercato fosse eccessivamente pessimista sulle capacità del Governo italiano di ripagare il debito e promuovere la crescita. La lettera di intenti serviva a rendere più credibile l’azione del Governo italiano. Combinata con alcuni acquisti strategici sul mercato secondario, poteva stabilizzare la situazione.

 La condizione necessaria per il successo di questo intervento, però, era la capacità del Governo italiano di approvare in tempi rapidi una manovra adeguata. Per quanto elevati, gli acquisti dei nostri titoli da parte della Bce erano solo un palliativo. Nel corso di una giornata, acquisti concentrati possono temporaneamente elevare i prezzi. Questi temporanei rialzi generano perdite (temporanee) a chi specula al ribasso. Il rischio di queste perdite (anche se temporanee) può dissuadere degli speculatori da assumere posizioni molto aggressive. In altri termini, la Bce, spaventando gli speculatori, può ridurne la pressione. Anche questi benefici, però, sono temporanei. Se la situazione reale sottostante non cambia, gli effetti dell’intervento svaniscono quasi subito.
E così è stato. L’intervento della Banca centrale europea e l’immediata presentazione di una nuova, più ambiziosa, manovra da parte del nostro Governo hanno temporaneamente ridotto lo spread al di sotto dei 300 punti. Ma era solo una pausa, non una svolta. Il mercato aspettava di vedere se poteva ancora credere nella nuova manovra del Governo italiano.

 Purtroppo, le lotte intestine nel Governo hanno avuto un effetto negativo. Perfino il Wall Street Journal, uno dei pochi giornali internazionali che ha sempre mostrato un occhio di riguardo verso il nostro presidente del Consiglio, ha scritto un articolo molto critico in cui si sottolineava che le recenti proposte di Silvio Berlusconi avevano «seminato confusione sia tra i suoi alleati che tra i suoi critici».
La speranza della Banca centrale europea era che bastasse dettare delle condizioni per indurre il Governo italiano a fare quello che avrebbe dovuto fare già dai primi di luglio. Purtroppo si è rivelata una pia illusione. Rassicurato dalla riduzione degli spread, il Governo italiano ha cominciato lentamente a fare marcia indietro. I tagli delle Province sono stati aboliti, il “contributo di solidarietà” eliminato, tutta la manovra fortemente annacquata.

 A questo punto la Banca centrale europea si trova di fronte a una scelta difficilissima. Se vuole favorire il processo di integrazione europea, deve punire l’Italia o per lo meno il suo Governo che non ha mantenuto i patti. La fattibilità di un’unione fiscale, con i trasferimenti che essa comporta, si basa sulla capacità delle istituzioni europee di controllare i Governi nazionali eccessivamente prodighi. Senza questa capacità di controllo i trasferimenti avrebbero solo l’effetto di prolungare il dissesto finanziario dei Governi nazionali, non di risolverlo. Continuare a sostenere l’Italia nonostante la violazione della promessa fatta, distrugge la credibilità di ogni condizione futura e quindi il futuro dell’Unione Europea.

 Tuttavia, la Bce è consapevole che abbandonare adesso l’Italia al suo destino equivarrebbe alla fine dell’euro. Spingendo il Governo a fare il suo dovere, la Bce ne ha messo a nudo l’inaffidabilità, paradossalmente peggiorandone l’immagine. Per questo motivo è possibile che domani, anche in presenza di acquisti della Bce, gli spread schizzino al rialzo. È certo però che in assenza del sostegno della Bce la situazione sarebbe di gran lunga peggiore a quella del 5 agosto. Anche se l’European Financial Stability Facility (Efsf) volesse intervenire, non avrebbe sufficienti risorse per farlo. D’altra parte non ci sarebbe il tempo per far votare a tutti i Parlamenti europei un aumento della dotazione dell’Efsf, anche se ci fosse la volontà politica di farlo.

 L’abbandono dell’Italia da parte della Bce porterebbe quasi inevitabilmente a un default del Paese (e quindi delle banche italiane che detengono grosse quantità di titoli pubblici). Facilmente questi default si propagherebbero alle banche francesi e tedesche, con conseguenze inimmaginabili. Difficilmente l’euro sopravvivrebbe a questo scenario.
In altre parole, punire il Governo italiano avrebbe effetti così catastrofici che la Banca centrale europea non può credibilmente minacciarlo. Non potendo farlo, manca di credibilità. Pensava di poter facilmente controllare il Governo italiano. Ora invece, paradossalmente, ne è vittima.

 Quale via di uscita? Che sia il nostro Parlamento a punire il Governo per la sua inettitudine. Non è tanto un problema di maggioranza quanto di capacità e credibilità dell’azione di governo: o si cambia o si esce dall’Europa


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Via il contributo di solidarietà, tagli più leggeri per gli enti territoriali, giro di vite sull’evasione fiscale. Ma salta l’obbligo di indicare in dichiarazione il nome della banca. E ancora: salve le feste laiche e la 13/a degli statali. Contratti aziendali in deroga alle leggi e recupero delle somme non pagate del vecchio condono tombale. Restano anche i mini-enti della ricerca e cultura. Sono alcune delle novità introdotte nella manovra nel passaggio alla Commissione Bilancio del Senato. Martedì il decreto arriverà in Aula praticamente blindato, anche se sulla eventuale fiducia ancora nulla è stato deciso. Ma ecco le novità del primo giro di boa parlamentare della manovra di Ferragosto. –

VIA IL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETÀ. Salve le buste paga dei manager privati e dei calciatori, mentre il taglio agli stipendi (5% oltre i 90.000 euro e 10% oltre i 150.000) resta per pubblici dipendenti e pensionati. – SALVE FESTE LAICHE. Il Primo Maggio, il 25 aprile e il 2 giugno non verranno accorpate alla domenica. Niente da fare invece per le feste patronali: resta solo quella di Roma. –

MENO TAGLI A ENTI LOCALI, DI PIÙ AI MINISTERI. Il gettito, circa 1,8 mld, atteso dalla cosiddetta ‘Robin Hood Tax’, l’addizionale sulle imprese energetiche andranno a alleggerire integralmente i tagli agli enti territoriali, e non più per metà a loro e per metà ai ministeri. –

MANETTE AI GRANDI EVASORI. Niente sospensione condizionale della pena se sono stati evasi oltre 3 milioni di euro.

CONTO CORRENTE SU UNICO. Salta la norma che obbligava a indicare il nome della banca. –

LISTE NERE CONTRIBUENTI. L’Agenzia delle Entrate potrà attraverso gli intermediari finanziari stilare liste di contribuenti da mettere sotto controllo in via preventiva. –

DICHIARAZIONI ON LINE. I Comuni potranno pubblicare sui loro siti i dati relativi alle dichiarazioni ma solo in forma aggregata, per categorie. –

LOTTA EVASIONE COMUNI. Passa dal 50% al 100% l’incasso dei frutti della lotta all’evasione messa in campo con la collaborazione del Comune. –

STRETTA SULLE COOP. Si alleggeriscono le agevolazioni e gli utili peseranno di più sulla base imponibile. –

PIÙ TASSE A SOCIETÀ DI COMODO. Arriva un’addizionale del 10,5% e una serie di norme restrittive. –

BARCA SOCIETÀ ENTRA IN REDDITOMETRO. Più controlli sui beni delle società usati da soci o familiari. Dalle barche alle auto entreranno nel ‘redditometrò. –

CONTRATTO AZIENDALE DEROGA LEGGE, ANCHE LICENZIAMENTO. I contratti di lavoro aziendali o territoriali operano anche in deroga alle leggi (vale anche per l’articolo 18) e ai contratti collettivi nazionali. L’accordo interconfederale del 28 giugno viene recepito in manovra. –

SINDACATI TERRITORIALI. Nelle intese aziendali o territoriali valide ‘erga omnes’, per misurare la rappresentatività del sindacato basta anche il criterio «territoriale». –

MAMME PIÙ TUTELATE. Si amplia alle neo mamme la platea dei soggetti che non possono essere licenziati in deroga alle leggi. –

RIFORMA UFFICI GIUDIZIARI. Vengono riorganizzati i tribunali. –

PICCOLI COMUNI, VERSO UNIONI. Niente giunte per i Comuni sotto i 1.000 abitanti e accorpamenti attraverso le Unioni. Meno assessori anche nei Comuni oltre questa soglia ma sempre di piccola taglia. Riunioni, «preferibilmente» di sera. –

PROVINCE, RINVIATO TAGLIO, DIMEZZATI CONSIGLIERI. Salta il taglio delle Province con meno di 300.000 abitanti; la partita è rinviata ad un ddl costituzionale. Confermato invece il dimezzamento dei consiglieri provinciali. –

INCOMPATIBILITÀ, VALE ANCHE PER PARLAMENTO UE. Cambia la norma sulle incompatibilità tra carica parlamentare e altre cariche elettive. Si estende anche ai parlamentari europei in quota italiana. –

SALVI FAS REGIONALI. Esclusi dalla clausola di salvaguardia che prevedeva un loro taglio se i ministeri non raggiungeranno nel 2012 i 6 miliardi di euro di risparmi. –

SALVA 13/A STATALI. Come clausola di salvaguardia, in caso di mancati risparmi da parte ei ministeri, ci sarà il taglio del 30% dei premi di produzione dei dirigenti responsabili. –

SALVI MINI-ENTI RICERCA E CULTURA. Non verranno soppressi con le istituzioni con meno di 70 dipendenti. –

BOLLO MONEY TRANSFER. L’imposta è pari al 2% trasferito con ogni singola operazione, con un minimo di prelievo pari a 3 euro. Sono esenti dall’imposta i trasferimenti effettuati da persone fisiche munite di matricola Inps e codice fiscale. –

RECUPERO CONDONO 2002. Il Fisco potrà recuperare coattivamente le somme non riscosse dal condono tombale del 2002, entro il termine perentorio del 31 dicembre 2011. –

FARMACIE. La manovra economica salva il numero chiuso per le farmacie, limitando per questo settore la liberalizzazione. –

LOTTA EVASIONE PER CALO TASSE. Le maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione a partire dal 2015 saranno destinate alla riduzione della pressione fiscale. –

SPENDING REVIEW. Via libera alla revisione della spesa pubblica. La norma impegna il ministro dell’Economia a presentare al Parlamento entro il 30 novembre 2011 un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica. –

SUPER-INPS. Tra gli obiettivi di revisione della spesa c’è l’accorpamento degli enti della previdenza pubblica, andando così verso un ‘super-Inps’. –

SISTRI. Salvato il Sistri, il sistema di tracciabilità dei rifiuti industriali.


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