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La stretta feroce su chi lavora

Anche perché, sul piano puramente tecnico, tutta la manovra è stata dimensionata in base a previsioni sull’andamento futuro dell’economia decisamente ottimistiche.

Ma intanto vediamone sia le analisi che i dettagli tecnici, perché all’ultimo momento – come sempre – son saltate fuori misure e furberie che danno la cifra politica, di classe ma anche di bassezza umana, della presente classe dirigente.

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da “il manifesto” dell’8 settembre 2011

Galapagos
MANOVRATORI DI CLASSE

La galera fa schifo, ma sicuramente nessun evasore fiscale ci finirà. Come nel 1982, quando fu varato un provvedimento definito «manette agli evasori» che da Andreotti, in televisione, fu commentato con un «ride bene chi ride ultimo». Affermazione che fa ancora «sganasciare» gli evasori. Oggi la storia si ripete. Parecchi media hanno definito il nuovo provvedimento «manette facili», ma non c’è rischio: di facile non c’è nulla e nessuno finirà in galera per fisco. E questo «grazie» a un avverbio – «congiuntamente» – che il governo ha inserito sul filo di lana (per favorire chi?) nel testo del decreto. Quel «congiuntamente» unisce, infatti, due condizioni: a)«l’imposta evasa sia superiore al 30% del volume d’affari»; b)«l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a 3 milioni di euro». Ma le due condizioni difficilmente si coniugano. Questo significa che la miriade di «piccoli» evasori (meno di 3 milioni di imposta evasa, ma centinaia di migliaia di euro di fatturato) la faranno franca e anche i grandi evasori non finiranno in carcere perché immaginare una evasione superiore ai 3 milioni non è difficile, ma è quasi impossibile che l’imposta evasa superi il 30% del fatturato.
Sul fronte fiscale siamo, dunque, alla pura demagogia, all’opportunismo più sfrenato. Come quello che nel 2008 portò Berlusconi e Tremonti ad abolire la tracciabilità dei pagamenti con il risultato che il cavaliere e il ministro l’hanno fatta franca sui soldi passati a Tarantini e Milanese. Ma questo non è l’unico punto indecente della manovra. In realtà tutta la manovra (arrivata alla quarta stesura in pochi giorni) lo è, anche se l’ammontare complessivo (60 miliardi – con molti dubbi – in tre anni) si avvicina a quanto da tempo si sosteneva fosse necessario per far uscire l’Italia dai guai. Con una aggravante: Berlusconi e Tremonti hanno negato fino a poco più di un mese fa la necessità di una manovra di questa entità. Con due motivazioni: l’Italia «sta meglio degli altri paesi» e «la Ue non ce la chiede». Ora che il governo è stato commissariato dalla Bce, Draghi e Napolitano la manovra è stata varata. Ovviamente con molte forzature: quasi inutile citare l’articolo 8 che smantella lo statuto dei lavoratori in base al principio che la libertà di licenziamento favorisce la crescita economica delle imprese. Naturalmente, non quella sociale dei lavoratori.
Ma dentro c’è molto altro: la «riforma» della previdenza delle lavoratrici private, i tagli alla spesa pubblica, la mazzata per le cooperative, i tagli per gli enti locali, il rinvio del pagamento del Tfr ai lavoratori pubblici, l’aumento dell’Iva. CONTINUA|PAGINA5
Secondo il Codacons, a regime, per una famiglia comporterà una maggiore spesa di 385 euro l’anno, oltre – e lo vedrete – un aumento dell’inflazione nettamente superiore a quell’1% di aumento delle aliquote Iva del 20% che si tradurrà in ulteriore taglio del potere d’acquisto delle famiglie che in dieci anni è già diminuito di sette punti percentuali.
Una manovra confusa, senza idee, improvvisata. Nulla in grado di dare ossigeno all’economia e al paese. Non a caso tutti gli organismi internazionali (Fmi, in testa) ma anche gli istituti nazionali di previsione, stanno rivedendo al ribasso le prospettive di crescita del Pil. E senza crescita l’occupazione rimarrà al palo e la domanda ristagnerà. Anche quella estera perché molti paesi hanno varato (o stanno per farlo) manovre restrittive per far quadrare i conti pubblici destabilizzati dalla crisi finanziaria e dai conseguenti salvataggi.
In una fase di crisi tutto è possibile, anche chiedere sacrifici. Ma occorre avere idee chiare e soprattutto confrontarsi con le parti sociali e non con le sole componenti «tappetino». La presunzione e l’egocentrismo di Berlusconi, Tremonti, Brunetta e Sacconi è di ostacolo a ogni trattativa. E così è stata partorita una manovra classista che bastona i ceti medi, i lavoratori, i giovani, che non troveranno lavoro, le donne, che andranno in pensione a 65 più avanti negli anni.
Una constatazione conclusiva: quando l’evasione fiscale è forte occorre colpire di meno il reddito (anche quello delle imprese oneste) e di più la ricchezza mobiliare e immobiliare. Perché la «robba», per dirla alla Verga, sfugge più difficilmente al fisco. Tremonti dovrebbe saperlo, ma quando si attua una politica economica di classe si fa finta di dimenticarlo.

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da Il Sole 24 Ore

Dalle entrate il 65% della manovra

di Dino Pesole


ROMA. Il rafforzamento della «spending review», con annesso accorpamento degli enti previdenziali, è l’arma di riserva per far fronte a ulteriori squilibri dei conti pubblici. Una sorta di «salvadanaio» la cui dote al momento non è cifrata, ma che – come conferma la relazione tecnica al maxiemendamento alla manovra integrativa – avrà un «effetto rafforzativo», con l’obiettivo di individuare risparmi aggiuntivi per i ministeri rispetto a quanto previsto dal testo originario del decreto.

Stando alle stime circolate nei giorni scorsi, a regime si potrebbero spendere 5 miliardi in meno, che andrebbero in tal modo a integrare i 6 miliardi già previsti dalla manovra. Somme da verificare a consuntivo, come suggerisce la relazione tecnica che dà conto dei possibili effetti finanziari dell’emendamento di Enrico Morando (Pd) sostenuto dal governo, approvato dalla commissione Bilancio e ora inserito nel maxiemendamento su cui il governo ha ottenuto ieri sera la fiducia. La «revisione integrale della spesa pubblica» è l’unica novità di rilievo potenzialmente in grado di produrre risparmi futuri di una manovra che resta fortemente sbilanciata sul fronte delle entrate.

Ecco i dati. Nella versione originaria, la manovra integrativa di Ferragosto si basava su un aumento del gettito fiscale di 7,9 miliardi nel 2012 e di 17,7 miliardi nel 2013. Con il maxiemendamento in cui sono state accorpate tutte le modifiche al testo, il contributo delle maggiori entrate sale a 36 miliardi (14 miliardi nel 2012 e 22 miliardi nel 2013). Incremento che si deve per gran parte all’aumento dell’Iva, al gettito atteso dalla nuova stretta antievasione e al contributo di solidarietà del 3% sui redditi oltre 300mila euro l’anno.

Il capitolo dei tagli alla spesa è rimasto sostanzialmente invariato: 10,4 miliardi nel 2012 e 7,7 miliardi nel 2013. La conclusione è che nel passaggio al Senato la manovra correttiva complessiva per il biennio 2012-2013 sale nel suo effetto cumulato a circa 54,2 miliardi. Magna pars (oltre il 65%) è affidata dunque alle misure fiscali, che già prima del maxiemendamento (e dunque senza il ritocco dell’Iva) avrebbero comportato un aumento record della pressione fiscale: il 44,5% del Pil nel 2014, secondo le più recenti stime della Banca d’Italia.

Se si esaminano gli effetti congiunti della manovra di luglio e di quella in corso di approvazione da parte del Parlamento, a regime si sale a ben 59 miliardi. Correzione imponente, tra le più alte degli ultimi decenni, peraltro “tarata” su un tasso medio di crescita di circa l’1,5% nel prossimo triennio. Ogni significativa variazione al ribasso delle stime comporta evidentemente un incremento del deficit, da compensare con ulteriori correzioni in corso d’opera.

La relazione tecnica registra peraltro l’effetto della decisione di attribuire per intero agli enti locali il gettito della «Robin tax», pari a 1,8 miliardi nel 2012. Si riduce il taglio, ma a scapito dei ministeri cui era stato destinato in origine il 50% delle risorse derivanti dal prelievo. L’unico intervento strutturale sulla previdenza riguarda l’anticipo al 2014 del percorso per allineare a 65 anni l’età pensionabile delle donne del settore privato. Misura che non ha alcun impatto ai fini della riduzione del deficit da qui al 2013, anno del pareggio di bilancio, poiché comincerà a produrre i suoi effetti dal 2015, quando si risparmieranno 90 milioni. Poi si salirà progressivamente fino ai 720 milioni stimati nel 2021. Quanto alla riorganizzazione degli uffici giudiziari sul territorio, a consuntivo si possono stimare risparmi pari a 60 milioni, che tuttavia non compaiono nella tabella riassuntiva messa a punto dalla Ragioneria.

Infine, sempre sul versante delle economie di spesa, il testo che ora affronta l’esame da parte della Camera opera un taglio di 4 miliardi già nel 2012 alle agevolazioni assistenziali e alle «tax expenditures», che passa a 12 miliardi nel 2013. È la “prenotazione” dei risparmi attesi dalla futura riforma fiscale: con la clausola di salvaguardia, se tali economie non saranno rispettate scatterà il taglio lineare degli attuali sconti.

Per il resto, sul versante delle maggiori entrate, il maggior apporto alla manovra viene dall’aumento dal 20 al 21% dell’aliquota ordinaria Iva, che la relazione tecnica quantifica in 4,2 miliardi l’anno a partire dal 2012. La misura avrà effetti anche nell’anno in corso: la stima della Ragioneria è che da qui alla fine dell’anno affluiranno 700 milioni in più. Quanto alla nuova versione del contributo di solidarietà, la previsione riferita ai 34mila soggetti che dichiarano più di 300mila euro l’anno è di maggiori incassi pari a 54 milioni nel 2011 e 144 milioni nel 2013 e 2014.

Nessuna stima infine per il recupero delle somme del vecchio condono Iva del 2002.

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Ecco punto per punto le novità della manovra

http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2011-09-07/ecco-punto-punto-cosa-131858.shtml

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Conti al sicuro ora, ma resta l’incognita della crescita debole

di Dino Pesole

 

Alla fine, dopo quattro faticose riscritture, la manovra di Ferragosto, imposta dalla Bce e monitorata ad horas dalla Commissione Ue, oltre che dai mercati, ha una fisionomia definita. Dal punto di vista dei saldi, la correzione complessiva è ora anche nominalmente più imponente, per effetto dei 4,2 miliardi dell’aumento dell’Iva.

Per certi versi, essendo figlia dell’emergenza, era anche in qualche modo già scritto che la correzione avvenisse per buona parte sul fronte delle entrate. Tagliare le spese è operazione politicamente più costosa e complessa, soprattutto quando chi deve condurla in porto parla linguaggi diversi in casa propria. Basterà una manovra che in cifra assoluta è la più ingente degli ultimi decenni? Al momento appare francamente improbabile, oltre che non certo auspicabile, che dopo la manovra di luglio e la nuova correzione di agosto occorra intervenire nuovamente.

L’appuntamento, almeno per quel che ci riguarda, è con la legge di stabilità (l’ex Finanziaria) che farà il suo ingresso in Parlamento a metà ottobre. Legge tabellare, finora, cui è affidato il compito di recepire all’interno dei saldi di finanza pubblica gli effetti delle manovre già varate nel corso dell’anno. Quest’anno potrebbe andare diversamente, potenziando ad esempio lo strumento dei ddl collegati, cui la recente legge di riforma della contabilità pubblica attribuisce il compito, appunto, di introdurre le eventuali norme a carattere ordinamentale escluse dal “corpo” della ex finanziaria. ù

Ma prima di tutto, sono attese le nuove stime del governo, che aggiorneranno il quadro rispetto al «Def» di aprile. Ed eccoci al punto. Poichè le previsioni di rientro dal deficit, con annesso il pareggio di bilancio nel 2013, sono “tarate” su un percorso di crescita pari a circa l’1,5% nella media del quadriennio, una robusta revisione al ribasso delle stime (peraltro già data per scontata da diversi organismi internazionali) imporrebbe di intervenire nuovamente per riportare i conti sul tragitto delineato dalle due manovre correttive. Certo la congiuntura internazionale è una variabile sulla quale possiamo incidere ben poco, ma qui da noi dopo le manovre dell’emergenza forse è giunto il momento di affrontare di petto la vera questione: la bassa crescita. Rigore e sviluppo, in poche parole. Non è una mission impossible.

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Una giornata alle prese con la nuova Iva

di Mauro Meazza e Gianpaolo Tosoni 

 

Cosa significa nella vita di tutti i giorni un punto in più nell’aliquota Iva? Per orientarsi, vi proponiamo una “giornata dell’Iva”, nella quale si passano in rassegna attività e beni con cui veniamo a contatto tutti i giorni per evidenziare quali subiranno l’aumento.

Da quando?
L’aumento dell’aliquota ordinaria Iva dal 20 al 21% scatterà dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge che convertirà definitivamente il decreto legge 138 del 13 agosto scorso (la Manovra di Ferragosto). Quindi, gli aumenti potranno scattare solo quando ci saranno i voti di Camera e Senato sul decreto legge e solo quando quanto votato dal Parlamento uscira’ sulla Gazzetta Ufficiale. Aumenti prima di questa data NON sono giustificati e non c’entrano con l’Iva.

Cosa?
Non tutti i beni né tutti i servizi vengono colpiti dall’aumento. L’Iva prevede infatti un’aliquota ridotta al 10% che si applica a molti beni alimentari, alle ristrutturazioni edilizie e ad altro ancora. Prevede poi un’aliquota ultraridotta al 4%, per i generi di prima necessità (pane, latte ecc).
La legge (il Dpr 633/72) dispone espressamente su quali beni e servizi si applicano le aliquote del 4 e del 10. Quel che non e’ compreso in questi elenchi va all’aliquota ordinaria del 20, in futuro 21.

La giornata
L’elenco che proponiamo va quindi letto tenendo conto di queste avvertenze. Evidenziamo i prodotti prossimi al rialzo dell’aliquota. Le aliquote ridotte non sono invece interessate dal rincaro.

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L’Iva al 21% rifà il conto della spesa

 

di Renato Portale

Elevata al 21% l’aliquota ordinaria dell’Iva per le cessioni di beni e le prestazioni di servizio effettuate nel territorio nazionale, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del Dl 138/2011. Restano invariate, invece, le aliquote ridotte del 4 e del 10 per cento. I dettaglianti nelle liquidazioni periodiche e annuali, per determinare l’Iva incorporata nei corrispettivi, dovranno applicare solo il “metodo matematico” e non più quello “percentuale” di scorporo.

 

Queste le novità più rilevanti, in materia Iva, contenute nel maxiemendamento al Dl 138, approvato ieri dal Senato. Le modifiche contengono anche una precisazione e una restrizione in merito alle forniture di beni e servizi effettuate nei confronti degli enti pubblici, fatturare fino il giorno precedente all’entrata in vigore delle nuove regole: nessun aumento di aliquota se a tale giorno il corrispettivo non sia stato ancora pagato dagli enti e la fattura sia stata non solo emessa ma anche annotata nei registri di cui all’articolo 23 e 24 del Dpr 633/72 (decreto Iva) da parte del fornitore. Infine, il comma 36-vicies ter introdotto all’articolo 2 del Dl contiene una norma restrittiva per l’estrazione dei beni dai depositi Iva.

 

Le aliquote
L’aumento di un punto dell’aliquota Iva ordinaria si ripercuote sulla stragrande maggioranza delle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi effettuate dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. Si va dall’abbigliamento ai giocattoli, dai mobili ai computer, dagli articoli ottici ai petroliferi, dalle telecomunicazioni agli utensili, dalle bevande ai servizi di professionisti, artigiani, artisti e via di seguito. Secondo le norme comunitarie (articoli da 93 a 130 della direttiva Iva 2006/112) le aliquote sono strutturate su un’aliquota normale che è fissata, fino al 31 dicembre 2015, e che non può essere inferiore al 15%, ma gli Stati possono applicare una o due aliquote ridotte, comunque non inferiori al 5 per cento. Le aliquote ridotte si applicano esclusivamente alle cessioni di beni e prestazioni di servizi di prima necessità indicate all’allegato III della direttiva. In deroga alle regole normali, alcuni Stati sono stati autorizzati a mantenere l’aliquota ridotta inferiore al 5% e tra queste l’Italia che ha potuto conservare il 4.

 

L’articolo 16 del Dpr 633/1972 prevede un’aliquota ordinaria fissata nella misura del 20%o e due aliquote ridotte del 4 e del 10%, cui vanno aggiunte alcune aliquote forfetarie di compensazione nel settore agricolo.
La legge di conversione del Dl 138 interviene proprio sull’articolo 16 del decreto Iva, elevando l’aliquota ordinaria dal 20 al 21 per cento.

 

Gli effetti della variazione
A seguito della maggiorazione dell’aliquota, le operazioni che si considereranno effettuate dalla data di entrata in vigore della legge di conversione dovranno rispettare la nuova percentuale, mentre per le operazioni che non si sono ancora concluse sarà necessario far riferimento al momento impositivo, determinato a norma dell’articolo 6 del decreto Iva. Sugli acconti pagati prima dell’entrata in vigore della maggiorazione, si applicherà il 20% vigente alla data del pagamento, mentre la maggiorazione riguarderà solo le fatture a saldo.
Se una fattura ha preceduto la consegna del bene o il pagamento del corrispettivo, sull’importo fatturato si applicherà l’aliquota del 20% vigente alla data di emissione della fattura. Per la consegna di beni con fattura differita (articolo 21, comma 4 del decreto Iva) è rilevante la data della consegna del bene per cui anche la successiva fattura, emessa entro il 15 del mese successivo, segue la vecchia aliquota del 20% esistente alla data della consegna. Per eventuali note di credito emesse facoltativamente (articolo 26, comma 2) si segue l’aliquota vigente alla data dell’operazione cui si riferisce la variazione.

 

Enti pubblici
Per le cessioni di beni o le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato e degli enti e istituti indicati nel comma 5 dell’articolo 6 del decreto Iva (Regione, Provincia, Comuni, Asl, istituti universitari eccetera), in base al comma 2-quater aggiunto all’articolo 2 del Dl 138, se la fattura è stata emessa e contemporaneamente registrata dal fornitore fino al giorno precedente alla data di entrata in vigore della maggiorazione, si mantiene l’aliquota del 20% anche se il corrispettivo non sia stato ancora pagato.

 

La novità consiste nel fatto che il fornitore non soltanto potrà essere chiamato a dimostrare di avere emesso – cioè consegnato o spedito – la fattura in data anteriore all’entrata in vigore dell’aliquota maggiorata, ma dovrà anche dimostrare di aver annotato il documento stesso nel proprio registro delle fatture emesse (articolo 23 del decreto Iva) o nel registro dei corrispettivi (articolo 24 dello stesso decreto).

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Roma rassicura i mercati (per ora)

 

di Walter Riolfi

Se fino a giugno la crisi dei debiti sovrani in Europa, e la conseguente bufera che s’è scaricata sui mercati finanziari, era stata originata dalla Grecia e poi da Irlanda e Portogallo, quello che è avvenuto in seguito ha come principale responsabile l’Italia. Fino a tre mesi fa il differenziale di rendimento dei Btp sul Bund tedesco s’aggirava attorno alla soglia, ancora gestibile dei 160 punti e il nostro decennale offriva il non proibitivo rendimento del 4,6%.

 

Dopo le esitanti manovre fiscali, lo spread è volato fino a sfiorare i 400 punti e i rendimenti dei Btp hanno toccato il 6,23%. Ancor più grave, e oneroso per il Tesoro (quindi per le tasche dei contribuenti), il balzo dei rendimenti di breve periodo: quelli a un anno sono quasi raddoppiati passando dal 2 fino al 3,6%. Allo stesso modo il rimbalzo segnato ieri da tutti i mercati europei si spiega in buona parte con la più convincente risposta arrivata martedì da Roma.

 

Se a inizio luglio poteva bastare una seria manovra da 45 miliardi, come sembrava prospettarsi allora, adesso può non essere sufficiente quella da circa 55 votata ieri sera al Senato. Forse ci vorrà un altro aggiustamento fra 3-4 settimane, ha dichiarato il presidente della commissione Finanze del Senato Mario Baldassarri, per dare una vera risposta alle autorità politiche e monetarie europee e ai mercati. Baldassarri è consapevole delle indicazioni arrivate da Bruxelles e da Francoforte, così come delle pressioni degli investitori internazionali. Valgano, fra tutte, quelle pacate di Barclays Capital. «Anche il probabile avanzo nel bilancio primario (al netto degli oneri finanziari), non sarà sufficiente a far apparire solvibile il debito pubblico e, di conseguenza, a mettere al riparo l’Italia da una possibile e ulteriore crisi di fiducia tra gli investitori», ha dichiarato ieri l’economista della banca britannica.

 

Se due mesi fa poteva appagare i mercati il pareggio di bilancio, adesso si pretende una significativa riduzione del debito, attraverso ulteriori tagli di spesa (e forse nuove entrate straordinarie) e riforme che possano rilanciare l’economia. È quello che chiede anche Angela Merkel, che ieri ha ammonito gli Stati deboli a non cercare scorciatoie, affidandosi agli eurobond o a ristrutturazioni del debito o, peggio, agli interventi tampone della Bce.

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da La Stampa

 

Superata la stangata di Amato

È la misura più pesante degli ultimi vent’anni: ma è costruita su stime di crescita ottimistiche

TONIA MASTROBUONI

ROMA
Incassata la 49esima fiducia dall’inizio della legislatura, il governo ha licenziato ieri la manovra di agosto al Senato. Con i ritocchi dell’ultima ora il quarto provvedimento correttivo dell’anno approda alla Camera con una cornice finanziaria impressionante. Ammonta a 54,265 miliardi di euro l’impatto previsto per il 2013, l’anno dell’agognato pareggio di bilancio.

In teoria si tratta della correzione più pesante degli ultimi vent’anni, superiore anche alla stangata da oltre 96 mila miliardi di lire (48 miliardi di euro) del governo Amato del ‘92. Ma va considerato che fino a questa legislatura i provvedimenti correttivi dei conti, le famose finanziarie, non solo erano disegni di legge e mai decreti ma quantificavano soltanto le correzioni necessarie per l’anno successivo, non si spingevano oltre. È stato Tremonti a inaugurare le manovre triennali. E l’effetto sul 2013 somma l’impatto di questo ma anche delle precedenti. Le novità giunte ieri hanno influito molto positivamente sui saldi, migliorandoli di 700 milioni di euro già quest’anno (l’effetto dell’aumento dell’Iva al 21% è infatti immediato), di 4,342 miliardi nel 2013, di 4,399 nel 2013 e 4,389 nel 2014.

Gran parte di quella correzione viene dall’imposta sul valore aggiunto: secondo la relazione tecnica della Ragioneria generale dello Stato vale 4,236 miliardi all’anno. Una delle voci, tra l’altro, che ha ulteriormente squilibrato il rapporto tra tagli alla spesa e nuove entrate. Secondo l’economista della Bocconi Tito Boeri il contributo delle tasse all’aggiustamento del deficit nel 2012 è salito alla bellezza del 73 per cento e la pressione fiscale aumenta così al 44,5 per cento. Nel maxiemendamento è contenuto anche l’anticipo al 2014 dell’aumento dell’età pensionabile delle lavoratrici del settore privato per allinearle ai 65 anni che l’Europa ci ha già imposto per il settore pubblico. Un effetto trascurabile nel primo anno, quando la correzione sarà di un solo mese, ma che a partire dal 2015 crescerà da 90 a 720 milioni di euro nel 2021. La terza novità del maxiemendamento riguarda l’introduzione del contributo del 3 per cento per i redditi oltre i 300 mila euro. Ma vale appena 53,8 milioni nel 2012 e poi 144,2 milioni all’anno. Per fare un paragone: il vecchio contributo del 5 per cento sopra i redditi da 90mila euro e raddoppiava sopra i 150 mila, valeva oltre dieci volte tanto: un miliardo e mezzo.

Poi, grazie alla Ragioneria siamo anche in grado di capire che prima del maxiemendamento le micromodifiche del fine settimana avevano mosso ben poco i bilanci. La spending review, la colossale operazione di classificazione della spesa pubblica, è calcolata per ora avere «zero» impatto sui bilanci. Idem, «prudentemente» il tanto strombazzato bollo sulle rimesse degli immigrati. Ma anche l’ennesima furbata dell’ultima ora, il recupero sulle rate mai pagate del condono del 2002, per citare la Ragioneria, «si ritiene in ogni caso prudenziale non considerare maggiori introiti». Mirevole cautela, si direbbe. Salvo che nelle poste resta misteriosamente salva la tabella che mette in conto rilevanti somme di gettito dalle liste di contribuenti che l’Erario potrà chiedere alle banche: addirittura 665,4 milioni nel 2014.

Infine, ieri l’Fmi ha rivisto le stime di crescita a ribasso, un po’ come tutti compresa la Banca d’Italia, allo 0,8 per cento per il 2011. Per il governo cresceremo dell’1,1. Ed è su stime altrettanto ottimistiche per i prossimi anni che è costruita la manovra quater. Ora sembra poco più di un’illusione ottica, ma nei prossimi mesi potrebbe diventare una bomba ad orologeria.


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