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La Lega verso l’implosione

La battaglia per nominare il segretario di Varese segna forse il punto di non ritorno che ha nel rapporto con il governo attuale il problema irrisolvibile. La Lega conta ancora qualcosa perché è nella maggioranza ed è riuscita a far passare una serie di proposte bislacche e criminogene utili soltanto a far sembrare “realtà” concetti funosi come “federalismo” (nel mentre si costruiva una comunità europea ovviamente federale, bisogna essere idioti per pensare possibile un movimento opposto, di frantumazione nazionale senza neppure basi linguistiche alle spalle), o addirittura “secessione”; più banalmente, “i soldi del Nord devono restare al Nord”.

La tenuta della Lega, come quella dei democristiani dentro il Pdl, è però una delle scommesse difficili su cui si gioca – dentro il parlamento, nel paese il problema sembra ormai superato – la tenuta o il crollo del governo.

E’ evidentre che dietro la sofferenza dei maroniani c’è la pressione della parte più “confindustriale” dell’imprenditoria locale che fin qui ha sostenuto e foraggiato la Lega. Ma che ora sta facendo i conti, come tutti gli imprenditori italiani, con un governo che non sa più cosa fare e resta pervicacemente attaccato alle poltrone ciontando sulla paura di un quota rilevante di parlamentari “miracolati” di tornare dei perfetti sconosciuti. Senza lavoro.

Confindustria ha staccato la spina. E la Lega è destinata a spaccarsi. Consegnando le molte anomalie del suo “grumo culturale” e sociale a una molteplicità di mostriciattoli poco significativi. Ma non per questo meno pericolosi, nel procedere di una crisi senza sbocchi.

Vi proponiamo qui un sintetico riassunto della giornata di ieri preso da L’Unità. Giornale che quando deve guardare a quello che avviene in casa propria (il Pd) riesce persino a dare qualche informazione. Per par condicio, anche dal Corriere della sera (più “vicino” a quel territorio).

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Varese, Lega contro di Bossi: «Vogliamo votare»

di Andrea Carugati 

Mentre i delegati sciamano fuori dal salone al pianterreno dell’Atahotel di Varese incazzati neri, vomitando frasi del tipo «è uno schifo», «il giorno più nero della Lega», Umberto Bossi si affaccia al plotone dei cronisti, marcato a uomo dal figlio Trota, dalla pretoriana Rosi Mauro e da un pallidissimo Maurilio Canton.

Il quale sarebbe il nuovo segretario uscito vincitore dal congresso di ieri, ma non ne ha proprio l’aria. «Tensioni? Due o tre fascisti in terza fila, me li ricordo dai tempi dell’Msi qui in città», sguscia via il Senatur. «Sono venuto a risolvere un pasticcio, le contestazioni erano organizzate, ma alla fine il bene trionfa: abbiamo portato aria nuova».

BREZNEV
però il Canton mica è stato votato dai 300 e passa delegati convocati ieri mattina in questo albergone con vista ippodromo. Il neosegretario è stato proclamato dal presidente dell’assemblea, Andrea Gibelli, che ha deciso di evitare la conta. E la formula usata, «per acclamazione», suona più ridicola che brezneviana, visto che nessuno ha acclamato, e persino il discorso con cui il Gran Capo ha benedetto il suo candidato è stato accolto dal gelo della platea, se non da mormorii di disapprovazione. Lo confermano i numeri del nuovo direttivo provinciale, quello sì regolarmente votato: sei dell’area «dissidente» contro tre fedeli a Canton. Eppure il sindaco di Cadrezzate era candidato unico, dopo che in un lungo vertice a via Bellerio venerdì sera i due sfidanti Castiglioni e Tarantino erano stati sovieticamente invitati a ritirarsi. Ma neppure questo è bastato. E Bossi ha dovuto venir qui di persona per tentare l’ennesimo «voto di fiducia» sulla sua persona, ormai l’unico strumento per far passare le sue decisioni. Ma Canton rischiava comunque di finire impallinato nel segreto dell’urna. Magari, come dicevano i rumors, da una valanga di schede con uno sberleffo: il nome di Bossi.

CLIMA ROVENTE

Il clima lo riassume un veterano come Speroni, che allarga le braccia: «Almeno alle mani non si è arrivati!». Ma le urla si sono sentite, eccome, dal corridoio antistante la sala «Arco di Trionfo», dove la Lega ieri ha celebrato una delle tappe del suo Calvario. Corridoio dal quale i giornalisti sono stati allontanati con modi bruschi dalla sorveglianza. «Voto Voto», e poi «Maroni Maroni», erano le urla nettissime, e via a litigare sulla cronologia della mattinata. «Vogliamo votare», «No prima parla Bossi». È finita che il Senatur è rimasto prigioniero in una stanzina per una mezz’ora, prima di entrare nella sala delle assise: «congelato» fino a quando la tensione non è scesa sotto i livelli di guardia. Ma il clima era così rovente che i due (ex) sfidanti del novello segretario venivano scortati anche a fare pipì dai bodyguard, per evitare che venissero intercettati dai cronisti. Così anche le sciure coi fazzoletti verdi che uscivano per una sigaretta, marcate dalla secutiry per evitare che parlassero dei tanti nervi scoperti della Lega: da Berlusconi fino alle liti para-condominiali e alle ruggini di un partito di provincia. Maroni, vincitore dell’ultima serie di congressi, da Brescia a Verona alla Valcamonica, ma stavolta prono ai diktat dell’Umberto, non ha detto una parola per tutta la mattinata, ed è uscito di nascosto per non farsi vedere. «Capisco, lui vuole bene al Capo, ma se non si dà una mossa qui la Lega affonda», commenta un sindaco della provincia.

Tra i maroniani
Mentre tra i capannelli dei maroniani il terrore si accompagna alla voglia di rivolta. Tra chi si prepara a fare ricorso contro «un segretario che non è stato eletto» e chi si interroga sul futuro: «Nel giro di qualche settimana ci sbattono fuori tutti». «Non mi faccia parlare», sorride tirato il maroniano Dario Galli, presidente della Provincia. «Una tragedia», si sfoga il segretario uscente Stefano Candiani, bastonato da Bossi per la sua gestione (gli è stato persino impedito di tenere la relazione di fine mandato) in un modo così brutale da spingerlo quasi alle lacrime: «Bossi oggi non parlava della Lega a Varese, ma sulla Luna. È stato informato male». Gli fa eco un altro maroniano: «Il Capo ormai è ostaggio dei suoi pretoriani, ha perso completamente il contatto con la base». «Nessuna tensione, ve le inventate voi giornalisti», ha tagliato corto Reguzzoni davanti alle tv, con la stessa espressione «alla Capezzone» con cui giustifica ogni voto pro Berlusconi. «La Lega è unita attorno a Bossi». Peccato che ieri pomeriggio, il Carroccio abbia vissuto altre ore di guerriglia in quel di Padova, dove il direttivo regionale è stato convocato dal segretario Gobbo per commissariare la sede provinciale di Verona, guidata da un uomo molto vicino al sindaco ribelle Flavio Tosi, Paolo Paternoster, eletto solo 5 mesi fa da un regolare congresso. Ma Tosi l’ha spuntata anche ieri: dopo ore di summit, nessun provvedimento è stato preso.

10 ottobre 2011

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Spintoni e tessere strappate
Critiche al leader: basta capetti

Malumori e forti tensioni all’assise E il capo: ho portato i figli nella Lega e hanno avuto gravi difficoltà nella vita

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
VARESE – «Per il bene della Lega, dichiaro Maurilio Canton segretario…». Andrea Gibelli, negli scomodissimi panni di presidente dell’assemblea, non riesce a finire la frase. Perché la platea del congresso varesino esplode in un coro duro, insistito: «Voto, voto, voto». L’inimmaginabile accade, l’inaudito si verifica: Umberto Bossi è contestato apertamente nella sua Varese, culla del movimento e cuore di Padania. Il capo minimizza: «Ho visto in seconda, terza fila dei fascisti…». Ma difficilmente ricorderà il congresso provinciale di ieri come una tra le pagine migliori del Carroccio: addirittura, tra alcuni militanti si arriva al contatto fisico. E se la rissa, sfiorata, non esplode, di certo un partito sotto choc ha poco da festeggiare.

Sono in molti coloro che sottoscriverebbero l’amarezza del sindaco di Castronno varesino, Mario De Micheli, all’uscita dal congresso: «È il giorno più brutto da quando sono in Lega». Un delegato esce a grandi passi dal congresso: «La tessera, questa volta, la brucio».
Alla fine, certo, Umberto Bossi porta a casa il risultato. Riesce a far nominare il segretario da lui prescelto per Varese. Eppure, non può farlo votare: Maurilio Canton viene «dichiarato». Perché è Bossi il primo a rendersi conto dei rischi e chiede a Gibelli, appunto, di non mettere ai voti l’indicazione. Non solo. Il «non eletto», come già lo chiamano gli avversari, si aggiudica un record: è probabilmente il primo segretario politico nella storia dell’Occidente a non pronunciare nemmeno una sillaba durante il congresso che lo elegge. Troppo alto il rischio di nuove contestazioni. Non avrà di che annoiarsi. Per il consiglio direttivo, infatti, il voto c’è stato: il suo gruppo, quello dei vicini a Marco Reguzzoni, si aggiudica soltanto tre dei nove eletti (tra cui la sorella del capo dei deputati).

Il congresso parte subito in salita.Domenica scorsa, Umberto Bossi aveva indicato come segretario in pectore Maurilio Canton, il sindaco di Cadrezzate. Venerdì scorso, il segretario lombardo Giancarlo Giorgetti era riuscito a persuadere i due candidati alternativi a ritirarsi. Ma il movimento, persino nella sua culla, è troppo diviso. E allora, i primi interventi al congresso sono di fuoco. Stefano Gualandris, capogruppo in Provincia, distingue tra autorità e autorevolezza. Certo, quella di Umberto Bossi è pacifica: «Sei il capo indiscusso e lo sei sempre stato. Oggi però in questo congresso quell’aura del Bossi autorevole non l’ho percepita». Poi tocca a un altro militante: «In questo congresso c’è qualcosa che non quadra. Questa non è la Lega». Troppi «nepotismi», troppi «amici degli amici». Ma il più duro di tutti è un sindaco. Richiama un ricorrente discorso di Bossi sulle «tre “c” necessarie alla politica: cervello, cuore e cogl…». Eppure, prosegue, «non vedo nessuno di questi elementi. Vedo piccole lobby interne che portano avanti interessi di bottega». Il sindaco osa ancora di più: «Non ho capito perché sia Canton il candidato. Tutti in giro dicono «Canton chi?». Sempre più spietato: «Bossi ci ha insegnato la distinzione tra capi e capetti. I capi uniscono, i capetti dividono. Secondo me, Bossi ha intorno troppi capetti». Poi, un invito pesante. Quello che probabilmente spinge Bossi a rinunciare a far votare il suo candidato: «Scrivete Umberto Bossi sulla scheda. Perché è per lui che si fa questo». Gran finale con citazione di Jim Morrison: «Meglio alzarsi e morire che vivere strisciando».

Gibelli vede la mala parata, chiude le iscrizioni a parlare, e mette al voto il direttivo tra le proteste dei delegati che vogliono votare anche il segretario. Come peraltro prevede una risoluzione del consiglio federale del marzo scorso. Ma finalmente, il vicepresidente della Lombardia può asciugarsi il sudore, tocca a Umberto Bossi. «I maroniani non ci sono, aveva ragione Roberto – esordisce -. La verità è che i burattinai di tutto questo casino sono i giornalisti». Poi, il leader spiega le ragioni di una scelta: «Meno male che alla fine si è trovata una via. Canton non era nel vecchio gruppo di Varese, è come spalancare la finestra per fare entrare aria fresca». Di più: «Il nuovo segretario deve far entrare le associazioni nelle sezioni, rompere la continuità, dare nuove energie». Poi, il mea culpa: «Si doveva intervenire prima, non lasciar peggiorare la situazione come è peggiorata». Quindi, partono le accuse alla precedente gestione: «Pensate che i miei figli non ottenevano la tessera della Lega. Io li ho allevati per essere leghisti, li portavo con me alle feste. Anche se, per questo, loro hanno avuto gravi difficoltà nella vita». Arriva l’appello a stare con i militanti: «Voglio i parlamentari tutti i lunedì nelle sedi della Lega». Bossi torna su Maroni: «Leggevo sui giornali dei maroniani, ma io sapevo che non ci sono. Io e lui siamo amici. Lui era uno di quelli che c’era all’inizio. In consiglio dei ministri ci basta un’occhiata».
In chiusura, però, arrivano le turbolenze. «Spero che voterete Canton…». I militanti lo prendono in parola e cominciano a scandire «vo-to, vo-to, vo-to». Bossi se ne va, qualcuno giura che avesse le lacrime agli occhi per il clima dell’assemblea. La parola torna a Gibelli, che cerca l’acclamazione. Ma il coro non cambia: «Vo-to, vo-to, vo-to». È il manicomio, la sala ribolle. Un delegato fa per fotografare la scena, il presidente s’infuria: «Vedete, dove sono i problemi? La gente viene qui a registrare…». Meglio chiudere e in fretta: «Per il bene della Lega, dichiaro Maurilio Canton segretario…».

Marco Cremonesi

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