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Governo. La fiducia per un voto

La Camera ha confermato la fiducia al governo. I voti a favore sono stati 316, 301 i contrari. La maggioranza richiesta era di 309 voti. I votanti in tutto sono stati 617.

Per tutta la mattinata le telecamere e i giornalisti presenti hanno raccontato di un’autentica caccia all’ultimo voto. Con Sardelli, Destro,Versace e altri minori ma indispensabili pigiatori di tasti rincorsi da torme di fedelissimi o da Berlusconi medesimo.

L’opposizione ha puntato tutto sul non raggiungimento del numero legale (315 presenti che rispondono alla “prima chiamata”, altrimenti si rinvia ad altra data). Ma non è servita neppure la “disponibilità” dei sei-radicali-sei, vergognosamente pronti a far capolino capolino in aula per evitare “il fattaccio”. C’erano infatti 317 deputati della maggioranza in frantumi, anche se i voti a favore sono stati appunto solo 316. Tra i voti a favore anche quello di Scajola, che aveva preannunciato questo gesto dichiarando però che dopo avrebbe creato un proprio “movimento politico”.

Questo risultato non cambia affatto il quadro politico. Semmai lo fa marcire ancora un po’.

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Il riassunto della mattinata fatto dall’Ansa

Alla fine il tabellone segna 316 sì: la maggioranza assoluta. Ma Silvio Berlusconi e i suoi, nonostante l’ottimismo professato in pubblico, hanno tribolato parecchio prima di tirare un grosso sospiro di sollievo. Le assenze dell’ultima ora (gli scajoliani Destro e Gava e il ‘responsabile’ Sardelli) e la tattica dell’opposizione, facevano temere che mancasse addirittura il numero legale. Poi, alla fine della prima chiama, l’ingresso dei Radicali in Aula e il ripensamento di Michele Pisacane, dato per assente fino all’ultimo, sembrano aver fatto la differenza.

Le cose si mettono male per il governo circa un’ora prima del voto di fiducia. Viene messa a verbale l’assenza degli ‘scajolianì Giustina Destro e Fabio Gava («C’è bisogno di un grande cambiamento altrimenti questi casi si moltiplicheranno e andremo a sbattere», dice Claudio Scajola, che vota sì). Ma a sorpresa anche il ‘responsabile’ Luciano Sardelli, dopo un incontro con il segretario Udc Lorenzo Cesa, annuncia che non parteciperà al voto. Silvio Berlusconi gli parla, cerca di convincerlo, ma l’ex capogruppo ‘responsabile’ è irremovibile.

Intanto, l’opposizione annuncia che non si presenterà in Aula a votare fin quando la maggioranza non avrà dimostrato di avere il numero legale. Il che vuol dire che se al termine delle due chiame il governo non arrivasse a 315, il voto sarebbe nullo e il blocco dei lavori parlamentari sarebbe plateale. La tattica, concordata da Pd, Idv, Udc, Fli, Api, Mpa e Libdem, sembra a un certo punto in grado di far franare tutto. «Questa volta ci fregano», si sussurra tra i banchi della maggioranza. E il pressing sugli indecisi continua fino all’ultimo: a Montecitorio non si vede Michele Pisacane e Antonio Milo viene dato per indeciso. In forse anche Pippo Gianni. Ma Milo e Gianni rispondono alla prima chiama, portando la maggioranza (assenti Alfonso Papa, in carcere, e Pietro Franzoso, in ospedale) a 315.

Un vero e proprio caso lo scatenano invece i cinque Radicali, indecisi se entrare in Aula. Quando, verso la fine della prima chiama, spuntano nell’emiciclo, l’opposizione si rende conto che la sua tattica è fallita. Per il disappunto di Rosy Bindi che sbotta («gli stronzi sono stronzi…»). Alla seconda chiama arriva in Transatlantico anche il deputato ‘responsabilè Michele Pisacane: la maggioranza è a 316, l’opposizione si ferma a 301 (mancano Buonfiglio e Tremaglia di Fli, Mannino e Versace del Misto, Lo Monte dell’Mpa e la radicale Zamparutti). «Siamo a quota 316 perchè da 318 che eravamo, con 2 dei nostri impediti a venire (Papa e Franzoso, ndr), siamo a 316», esulta il presidente del Consiglio Berlusconi, che parla di una «figuraccia dell’opposizione che ha sbagliato i suoi calcoli mettendo in atto i vecchi trucchi del più bieco parlamentarismo». Il premier nel pomeriggio sarà al Quirinale, subito dopo una riunione del Consiglio dei ministri. Intanto, dall’opposizione Pier Luigi Bersani (Pd) afferma: «Il governo morirà di fiducia». E Pier Ferdinando Casini (Udc) parla di una «vittoria di Pirro» e dice che «il voto è vicino».

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il nostro testo prima del voto

Oggi Berlusconi chiederà un nuovo voto di fiducia. Ennesimo atto formale di un governo al capolinea evidenziato clamorosamente dagli sbadigli di Bossi durante il discorso del “suo Presidente”. Il Financial Times: “questa saga assomiglia ad una farsa”. Una buona parte del Pd si appresta a sacrificare il patto con Idv o Sel per allearsi con il Terzo Polo e preparare l’alternanza.

E’ un altro “giorno decisivo” per il governo di Silvio Berlusconi su cui la Camera si appresta a votare la fiducia dopo la clamorosa bocciatura del Bilancio dello Stato di mercoledì. “Non ci sono alternative a questo governo”, ha detto ieri il premier in un parlamento reso semivuoto dall’assenza dei partiti dell’opposizione, minacciando il voto anticipato se il governo dovesse cadere. Così nella maggioranza sono scattati da subito i conti per assicurare la maggioranza assoluta necessaria (316 voti a Montecitorio) dopo le divisioni all’interno del Pdl evidenziatesi nelle ultime settimane. Sulla carta il governo dovrebbe avere i numeri necessari ma le opposizioni, che ieri hanno disertato il discorso di Berlusconi, sperano in qualche assenza dell’ultimo minuto che faccia cadere a sorpresa l’esecutivo. La percezione che il governo sia al capolinea è ormai netta in Italia ma non solo. “Mal di testa: Berlusconi affronta l’ennesimo voto di fiducia”: una foto di Silvio Berlusconi con la testa fra le mani, accanto al ministro dell’Economia Giulio Tremonti, dopo l’intervento di ieri alla Camera campeggia oggi in prima pagina sul Financial Times sotto il titolo “Il Cavaliere deve scendere da cavallo”. “Quello di oggi – ricorda il foglio della City in didascalia – è il 51esimo voto di fiducia per l’attuale governo da quanto (il Cavaliere) è tornato al potere nel 2008”. L’analisi del corrispondente a Roma Guy Dinmore non è meno impietosa: “L’ultimo episodio della saga disperata di Berlusconi si avvicina alla farsa”.

A confortare però i calcoli e le illusioni del premier sono arrivate le parole di sostegno da parte di Claudio Scajola, che nelle ultime settimane ha raggruppato diversi deputati molto critici nei confronti dell’esecutivo. “Non pugnaliamo alle spalle”, ha fatto sapere l’ex ministro chiarendo che voterà a favore del governo. Nella giornata odierna il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare il rendiconto dello Stato respinto da Montecitorio per un voto. Parlando all’emiciclo semivuoto Berlusconi ha detto che “sul piano politico non c’è alternativa credibile a questo governo”. Il premier ha ribadito la proprio determinazione a non lasciare Palazzo Chigi: “A chi ci chiede un passo indietro rispondiamo chiaramente che mai come in questo momento sentiamo la responsabilità di non accondiscendere a questa richiesta. Non per preservare poteri, ma perché questo governo non ha alternative credibili”.

La questione decisiva appare proprio quest’ultima. La crisi del governo Berlusconi non diventerà tale fino a quando i poteri forti che lo hanno abbandonato (Confindustria, Abi, Vaticano etc.) non avranno messo in piedi un blocco politico-elettorale in grado di sostituirlo. Sembra questa la ragione dell’accelerazione di D’Alema e di gran parte del Pd di procedere ad una alleanza di ferro con il Terzo Polo facendo saltare il patto con l’IdV e Sel: “uno dei due deve essere sacrificato” sull’altare dell’alternanza, sembra dire il pidddino Boccia.

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