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Decreto sviluppo, una lunga lista di prese in giro

Difficile, ci capirete, illustrare qualcosa che non c’è. Possiamo solo racogliere i frammenti di informazione che trapelano qua e là  e provare a restituirvi un quadro. Desolante.

Dal Condiglio europeo, conoscendo il loro pollo, hanno dato un ulòtimatum abbastanza stretto. Bisogna infatti dare rassicurazioni ai mercati e agli stati membri «entro mercoledi»: questo il lavoro che «faremo insieme all’Italia». Lo ha detto il presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy nella conferenza stamoa conclusiva del vertice Ue. «All’Italia chiediamo uno sforzo che sembra pronta a compiere», ha detto.

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Francesco Piccioni
SVILUPPO Molta confusione e nessuna idea «in grande». Maggioranza divisa e nervosa
Un decreto di slogan e condono

La cosa che sconcerta di più è la facilità con cui uomini di governo buttano lì idee che una volta erano «pesanti». Per esempio. Sembra che Giulio Tremonti, ministro dell’economia, abbia parlato al telefono con José Barroso (presidente della Commissione Ue) di un «piano straordinario per lo sviluppo del Mezzogiorno» dal nome ferroviario – «Eurosud» – chiedendo che venga inserito (sulla parola) nel paragrafo destinato all’Italia nel testo delle Conclusioni del Consiglio Europeo.
Un «piano per il Mezzogiorno» evoca sforzi giganteschi e congiunti tra economisti, ingegneri, studiosi di storia e esperti di criminalità; insomma, anni di lavori per tirar fuori un’idea sensata e coerente. Qui, invece, detto-fatto: basterebbe una «revisione strategica dell’uso dei fondi strutturali europei». In pratica: per il periodo 2007-2013, il bilancio Ue ha messo a disposizione dell’Italia 28,8 miliardi, di cui 21,5 dedicati alle cinque regioni in ritardo economico (Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia). Si tratterebbe di poter utilizzare il residuo di questi fondi senza aggiungere la quota di fondi italiani.
Lo stesso Berlusconi, nelle indiscrezioni lasciate trapelare dai suoi collaboratori per dare l’idea di un premier «sempre sul pezzo», sarebbe alla «ricerca di un’idea forte» da spendere oggi al Consiglio europeo. Uno slogan pubbicitario, insomma, più che un piano d’azione. La cifra dell’intero «decreto sviluppo» – per quel poco che se ne capisce – sembra essere proprio questa.
Le semplificazioni normative, per esempio, possono «lubrificare» le procedure d’avvio delle grandi opere infrastrutturali tanto quanto le infiltrazioni mafiose negli appalti; ma in assenza di fondi per realizzarle, difficilmente andranno avanti. Incentivi fiscali e «decertificazione» hanno la stessa funzione. Mentre altri sgravi fiscali sull’apprendistato non servirebbero comunque a battere la concorrenza del «lavoro nero». Sarebbe infine facile ironizzare sulla «spinta alla crescita» fornita dalle pagelle o dai certificati medici on line… ma non c’è niente da ridere.
Nel vuoto di idee si infilano in tanti. la Coldiretti ha suggerito (ma guarda un po’…) di vendere i terreni demaniali. Sono valutati circa 6 miliardi, ma bisognerebbe vedere a che prezzo andrebbero via, se venduti tutti insieme (l’eccesso di offerta deprime le quotazioni, com’è noto). Una parte del Pdl è tornata alla carica per ottenere un nuovo condono fiscale. I «duri» della maggioranza (come l’ultralegalitario – contro i cortei – Gianni Alemanno) giurano che non si farà mai, ma magari un «concordato» può essere discusso. In attesa di conoscere la profonda differenza tra i due provvedimenti, i cicchittiani fanno balenare la cifra di 5 miliardi ricavabili.
Sorge il sospetto che lo stesso concetto di «sviluppo» sia un problema per la maggioranza. Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha cercato di disinnescare le «attese miracolistiche» per un decreto tutto ancora da «inventare», spiegando che «la crisi è mondiale, chi pensa che facendo un decreto la risolviamo, si illude». È persino vero, ma così «comunica» a Confindustria, alle Ue e ai mercati che il governo non ha alcun «decreto sviluppo» credibile sulla rampa di lancio.
Molto più muscolare, come al solito, il ministro dell’anti-lavoro, Maurizio Sacconi. Anche lui fa la sua lezione, addirittura ai piccoli industriali riuniti a Brescia. «Lo sviluppo non si fa per decreto, non si fa con iniezioni di spesa pubblica, ma liberando la vitalità del paese». Facce perplesse in sala, perché a molti – non solo a noi – questa sembra ideologia da quattro soldi. E quindi ha rincarato la dose: «se si pensa di poter crescere facendo trasferimenti statali, si sbaglia; se lo pensate ancora siete fuori dalla storia e condannati al declino».
Fatta la tara al millenarismo anti-statuale del ministro, e unendo le sue dichiarazioni a quelle dei suoi colleghi, ne vien fuori una sola conclusione: non c’è un soldo da investire. Il «decreto» (o «alcune misure», come dice sempre Sacconi) sarà a «costo zero». Al massimo qualche legge in meno per «liberare le energie bloccate». Ma di una politica industriale, magari persino sfacciatamente favorevole alle sole imprese, nemmeno l’ombra.

da “il manifesto” del 23 ottobre 2011
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da Il Sole 24 Ore
Non si sa se avere più pena per una giornalista molto competente costretta a riportare le sciocchezze che scappano dalla bocca di Berlusconi o pe un paese disgraziatissimo che lo deve subire. Certo, il secondo termine è molto più grave, ma  aquanto pare ci siamo tutti abituati…

Merkel: l’Italia faccia di più. Berlusconi: le ho parlato, credo di averla convinta


Silvio Berlusconi vola a Bruxelles con l’obiettivo di rassicurare l’Unione europea sulle misure italiane per lo sviluppo. L’incertezza sui tempi e la discussione aperta all’interno del governo su quali siano i provvedimenti da adottare preoccupano i “grandi” dell’Unione europea ed in particolare la Cancelliera Angela Merkel che non ne ha fatto mistero in una telefonata con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Berlusconi in serata ha detto : «Ne ho parlato a lungo con lei», rispondendo a chi gli chiedeva se avesse parlato delle misure italiane con la cancelliera tedesca. Alla domanda se fosse riuscito a convincerla della loro bontá, la risposta è stata «penso di sì».

La situazione però è tutt’altro che semplice per il capo del governo che oltre ai pressing di Berlino e Parigi (insieme al dl sviluppo c’è sempre la questione aperta con la Francia in attesa delle dimissioni di Bini Smaghi dal board Bce, sulla quale il premier in serata ha detto «spero che si dimetta per il bene del Paese) deve fare i conti con l’affondo di Emma Marcegaglia («ad oggi il decreto è deludente», attacca la leader degli industriali) e con i nodi tutti interni alla maggioranza, primo fra tutti il braccio di ferro con Giulio Tremonti.

Il ministro dell’Economia ha preceduto di qualche ora l’arrivo del Cavaliere nella capitale belga per prendere parte alla riunione dell’Ecofin annunciando, dopo un colloquio telefonico con il presidente della Commissione Ue Barroso, il varo di un piano di sviluppo per il Sud che conterrà la «revisione strategica dei fondi strutturali per il Mezzogiorno». Un’iniziativa autonoma, quella del ministro dell’Economia che avrebbe mandato su tutte le furie il Cavaliere.

«E’ la dimostrazione – spiega un ministro – della partita in solitario che ormai gioca Tremonti». Il gelo tra i due è ormai cosa nota e la messa a punto delle misure per lo sviluppo ne è la dimostrazione. A gestire il pacchetto di proposte è Paolo Romani, titolare dello Sviluppo Economico che ieri ha illustrato una prima bozza di interventi al Capo dello Stato, ma a ‘pesarè è però proprio il silenzio del superministro contrario ad interventi che non siano a costo zero. Tra l’altro l’annuncio di un piano per il Sud è la dimostrazione, a sentire chi nella maggioranza è in contatto con il ministro dell’Economia, che un ‘tesorettò per le misure già c’è.

L’obiettivo del capo del governo però sarà quello di riguadagnare la scena con i grandi dell’Europa. L’intenzione di Berlusconi è quella di garantire personalmente l’approvazione entro tempi brevi delle misure per lo sviluppo mostrando nei dettagli le proposte fino ad ora elaborate. Diverse le ipotesi allo studio per fare cassa e finanziare le misure per la crescita. Oltre al concordato fiscale sul tavolo resta sempre la possibilità della vendita dei beni dello Stato tra cui i terreni del demanio (tema, questo, discusso in mattinata con il ministro Saverio Romano). Una serie di argomenti che il Cavaliere potrebbe riaffrontare con i leader europei già mercoledì quando, salvo sorprese dell’ultima ora, si terrà una nuova riunione dell’Eurogruppo.

Oltre allo scetticismo di Bruxelles però il capo del governo deve fare i conti con le fibrillazioni dentro la maggioranza e le minacce, diverse, di non votare il testo. Che la coperta sia corta lo mette in chiaro il segretario del Pdl Angelino Alfano: «È illusorio pensare che il decreto risolva la crisi». Non nasconde le difficoltà nemmeno il presidente del Senato Renato Schifani che parla di «scelte dolorose» ma chiede all’esecutivo di «fare presto nella presentazione del testo».

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da Repubblica

L’ultima pensata è far fuori le pensioni

Per Berlusconi è la riforma delle pensioni l’ultima spiaggia. Il Consiglio europeo che si apre oggi, ufficialmente dedicato al fondo Efsf, avrà infatti un altro grande tema sul tavolo. Ovvero la malattia italiana. Ieri, alla vigilia dell’incontro, lo ha scritto impietosamente il Suddeutsche Zeitung, quotidiano bavarese – “il vero tema del vertice è l’Italia” – chiedendosi come potrà Roma e soprattutto il governo Berlusconi, che finora “in modo quasi criminale” non ha fatto nulla per la crescita, “resistere alla prossima ondata della speculazione”. Sul banco degli imputati per la sua inazione, terrorizzato per un attacco speculativo all’Italia di portata devastante, il premier è dunque deciso a uno scatto improvviso, andando a recuperare l’unico vero dossier che potrebbe rassicurare le cancellerie europee e i mercati sulla buona volontà dell’Italia: la riforma previdenziale. “Solo se ce lo chiede l’Europa possiamo farla. Altrimenti la Lega – ha spiegato il premier prima di partire per Bruxelles – su due piedi è capace di mettere in crisi il governo”.

E’ proprio questo, a quanto si apprende, l’asso nella manica che il premier intende giocarsi al tavolo del vertice. L’avrebbe voluto fare già ieri sera veramente, in un colloquio cercato a tutti i costi con la Merkel al castello di Meise, a margine della cena per i leader del Ppe. Ma nonostante i tentativi di approccio del Cavaliere, la Cancelliera si è ben guardata dal concedere

udienza. Con i giornalisti italiani il premier si è vantato di averci parlato 1addirittura “a lungo”, mentre fonti di Berlino ci tengono a precisare che “non c’è stato alcun colloquio bilaterale, solo un incontro collegiale”. Purtroppo per il capo del governo italiano ancora pesa l’eco di quelle indiscrezioni di stampa su quegli apprezzamenti infelici che il nostro avrebbe (avrebbe) rivolto alla Cancelliera in una presunta telefonata intercettata.

Tuttavia Berlusconi non demorde. La speranza, l’ultimo appiglio per il Cavaliere, è infatti l’Europa. Il premier lo disse apertamente a un attonito presidente Van Rompuy a metà settembre, invocando un “vincolo esterno” europeo per costringere i governi nazionali a fare quello che non avrebbero mai da soli la forza di portare a termine. L’idea è sempre quella, resa oggi impellente dallo stallo totale in cui si è nel frattempo avvitata la maggioranza. Sul decreto sviluppo infatti, al di là della propaganda sulle “100 agevolazioni”, non c’è ancora nulla. Nulla di decisivo s’intende. A parte il piano EuroSud, annunciato da Tremonti mettendo il cappello sul lavoro di Raffaele Fitto. Ma si tratta dei vecchi fondi Fas. “Sembra che tutto dipenda da noi!”, è sbottato il Cavaliere di fronte all’ennesima rampogna di Confindustria. Insomma, per trovare risorse da destinare alla crescita restano davanti al governo soltanto due strade. Quella del condono fiscale (ribattezzato “concordato” per renderlo più sexy), che però non sarebbe accettata dall’Europa in quanto misura una tantum.

Un provvedimento impresentabile politicamente e non strutturale, soprattutto perché monco di quella riforma fiscale che sola potrebbe, al limite, giustificarlo. L’altra strada, l’unica possibile a questo punto, è la riforma delle pensioni. Per farla digerire a Bossi, Berlusconi ha studiato un piano. L’operazione prevede che il Consiglio europeo di domani, o al limite quello di mercoledì, si concluda con una dichiarazione che contenga una forte sollecitazione agli Stati membri a “uniformare i criteri della spesa sociale”. “Uniformare”, verbo apparentemente neutro, ma che in italiano verrebbe tradotto come abolizione delle pensioni d’anzianità. Di un intervento del genere, del resto, già si discusse in gran segreto a metà agosto al ministero dell’Economia. L’idea era quella di inserirlo nel decretone, ma alla fine l’opposizione invalicabile di Bossi fece saltare tutto. Il progetto, allora, era di intervenire sul meccanismo delle quote, per arrivare entro il 2015 a un vero e proprio blocco dei ritiri anticipati, con l’allineamento dell’età ai 65 anni necessari per la vecchiaia. E risparmi calcolati in poco meno di 2 miliardi di euro all’anno.

 

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