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Europa più centralizzata. E a guida tedesca

La situazione del resto è difficile e tirare in lungo su chi abbia titolo a guidare il convoglio rischia di produrre danni irreparabili.

A compensare questa “stretta” decisionale è arrivata anche la rassicurazione a chi è fuori dall’unione monetaria: prima di ogni vertice globale (come il G20 di questo fine settimana) ci sarà un nuovo Consiglio europeo, in modo da evitare ”scollamenti” tra le due aeree.

 

Nasce Mister Euro. Il compito di presiedere i prossimi summit dei Paesi dell’Eurozona è stato affidato ufficialmente dai leader dei 27 al presidente permanente del Consiglio Ue, il belga-fiammingo Herman Van Rompuy. Il quale non ha perso tempo. Forte del suo nuovo ruolo, ha subito chiesto all’Italia, senza mezzi termini, di attuare «tempestivamente» le misure «coraggiose» già decise, fissare scadenze precise e precisare i dettagli dei provvedimenti.

La nomina ‘pro-tempore’ di Van Rompuy è stata praticamente l’unica decisione operativa del Consiglio Europeo svoltosi oggi, che per il resto ha rinviato il varo del pacchetto anticrisi al prossimo summit, già convocato per mercoledì prossimo. Ma è stata anche l’occasione per tentare di sciogliere un altro nodo istituzionale sollevato da Paesi Ue fuori dall’eurozona, in primo luogo Svezia, Gran Bretagna e Polonia, preoccupati di un sempre maggiore scollamento tra i Paesi con e senza moneta unica e dagli effetti importanti che ne potrebbero derivare.

Londra, Varsavia e Stoccolma hanno puntato i piedi e hanno ottenuto più di un risultato. Innanzitutto, mercoledì prossimo, prima del summit dei leader dell’eurogruppo, si svolgerà anche un altro Consiglio Europeo. Perché «è bene – ha spiegato Van Rompuy – che uno scambio di opinioni a 27 avvenga sempre prima dei vertici dell’Eurogruppo».

Non solo. Nelle conclusioni è stato aggiunto che la Commissione europea avrà la «responsabilità» di assicurare il rispetto della legislazione comunitaria da parte di tutti i 27 Paesi membri – inclusa quella riguardante il mercato unico – e di garantire corrette «condizioni di gioco» anche per i Paesi che non fanno parte dell’Eurozona. In ogni caso, Mister euro dovrà svolgere la funzione di cerniera tra l’Ue e l’Eurozona. E questo anche e soprattutto in vista delle proposte per modifiche «limitate» da apportare ai Trattati necessarie per realizzare il rafforzamento della convergenza economica, della disciplina di bilancio e dell’unione economica a cui puntano ora i Paesi dell’Eurozona. Una questione che sarà affrontata a fine anno e che in ogni caso dovrà essere decisa – si ricorda nelle conclusioni del vertice – da tutti i 27 Paesi Ue.

 

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da Il Sole 24 Ore

Perché l’Italia è finita sotto tutela

di Isabella Bufacchi


Prima la lettera della Banca centrale europea inviata al Governo Berlusconi il 5 agosto scorso per sollecitare in forma scritta l’attuazione di una serie di riforme strutturali draconiane e urgenti per la crescita e un’ulteriore stretta sui conti pubblici. Poi il vigoroso pressing verbale dei vertici di tutte le istituzioni europee (Commissione, Consiglio Europeo, Eurogruppo ed Ecofin) esercitato sul premier Silvio Berlusconi e sul ministro dell’Economia Giulio Tremonti in questa tre-giorni (21-23 ottobre) di incontri a Bruxelles: sollecitazioni forti nei faccia a faccia, a cena, a colazione, nei corridoi, per telefono, nelle riunioni convocate appositamente. Infine questo crescendo di pressioni sull’Italia si è trasformato in un diktat vero e proprio: l’Italia deve assumersi le proprie responsabilità e dimostrare entro il prossimo mercoledì che è pronta ad impegnarsi e fare la sua parte per salvare l’euro, che intende fare sul serio nel rilanciare la crescita con riforme strutturali e rigore di bilancio tramite il contenimento della spesa pubblica. Nel momento in cui il doppio vertice del prossimo mercoledì dei capi di Stato e di Governo dei 27 e dei 17 porrà la firma al nuovo impianto di strumenti, controlli e regole per salvaguardare la stabilità dell’euro, Italia e anche Grecia dovranno dimostrare di meritarsi qualsiasi forma di aiuto o sostegno.

Che si tratti della riforma delle pensioni, del mercato del lavoro e della giustizia, che si realizzi la privatizzazione di asset pubblici non utili al bene pubblico e si liberalizzino servizi pubblici locali e professioni, che si arrivi a nuovi giri di vite sul pubblico impiego, sulla spesa pubblica, sulla lotta all’evasione fiscale, il fatto è che l’Italia si trova ora su un cammino a senso unico dove l’Eurozona interviene direttamente nell’impostazione, nei tempi e anche nei contenuti della politica fiscale ed economica. Un trasferimento di sovranità nazionale a Bruxelles che finora era stato solo abbozzato – per esempio con l’avvio quest’anno della Sessione di Bilancio europea – ma che con il Grand Plan salva-Stati e salva-euro viene inderogabilmente rafforzato.

L’alto debito pubblico italiano rispetto al Pil e la fiacca crescita dell’Italia sono vecchi problemi arcinoti ai partners europei, ai mercati finanziari, alle agenzie di rating e se ne discute da oltre un decennio senza grandi successi ma anche senza grandi ansietà. Il fattore scatenante della schiacciante pressione europea che si è riversata sull’Italia è accaduto questa estate, quando il contagio dalla crisi greca e una dilagante perdita di fiducia nei Paesi altamente indebitati ha portato al crollo dei prezzi dei BTp con conseguente rialzo dei rendimenti su livelli – nel lungo periodo – insostenibili per un debito/Pil al 120% e una crescita vicina allo zero. Se la sfuriata fosse stata temporanea, i partners europei, i mercati stessi e le agenzie di rating si sarebbero rasserenati. Ma invece il rendimento dei BTp ha preso la rincorsa per scavalcare il 6% e proiettarsi per il 6,5 per cento. È a quel punto che, sicuramente controvoglia ma senza alternative (non essendo il super-Efsf ancora pronto a operare con i nuovi poteri), dall’8 agosto la Banca centrale europea ha iniziato ad acquistare BTp e Bonos spagnoli sul mercato secondario: 22 miliardi la prima settimana, 16,5 la seconda e poi a calare fino a questa settimana quando ancora la Bce si è fatta vedere dai traders.

L’acquisto dei BTp da parte di Eurotower è stato l’evento straordinario che ha fatto in un certo senso precipitare e accelerare la stesura dei piani di salvataggio definitivi nell’Eurozona. Fino a quando gli interventi erano rimasti confinati su Grecia, Irlanda e Portogallo, gli Stati della zona dell’euro si erano illusi di avere la situazione sotto controllo. Gli importi in gioco erano inizialmente, tutto sommato, gestibili: un primo pacchetto di aiuti ad Atene da 110 miliardi (di cui 30 a carico dell’Fmi) spalmato lungo un arco temporale di tre anni, altri sostegni finanziari per Irlanda e Portogallo complessivamente attorno ai 100 miliardi sempre rateizzati in più anni. Ma i problemi si sono avvitati. Il buco della Grecia intanto si è allargato, raddoppiato e ora fors’anche triplicato. E la Bce è dovuta intervenire per frenare l’ascesa dei rendimenti dei BTp e dei Bonos.

Questo ultimo colpo di coda della crisi ha rimesso in discussione l’intero meccanismo dei salvataggi. Per prima cosa, la potenza di fuoco dell’Efsf (che in giugno era stata aumentata da 255 a 440 miliardi) alla luce degli acquisti dei BTp non è più sufficiente: la Bce ha acquistato quasi 100 miliardi di titoli italiani e spagnoli in poco più di due mesi, un’operazione di dimensioni tali – anche in prospettiva – da spiazzare l’Efsf così come è ora. Va inoltre ricordato che tutti gli Efsf-bond contribuiscono, in percentuale in base alla partecipazione alle garanzie del fondo salva-Stati, alla formazione del debito pubblico dei singoli stati garanti, come stabilito dai nuovi criteri contabili applicati da Eurostat: questo non avviene invece per gli acquisti dei titoli da parte della Bce, che non aumentano i fardelli dei debiti pubblici. Far lievitare a dismisura gli Efsf-bond non conviene a nessuno, dunque, compresa la Francia alle prese con un rating “AAA” traballante. A complicare il quadro è giunta poi la necessità di effettuare un nuovo giro di ricapitalizzazioni del sistema bancario europeo: per far fronte in via preventiva a un forte calo dei prezzi dei titoli di Stato dell’eurozona periferica e non, le banche europee dovranno cercare nuovi capitali per circa 100 miliardi. Se non li otterranno dai mercati e dalle casse pubbliche nazionali, dovranno bussare alla porta dell’Efsf. E anche in questo caso, l’Eurozona deve attrezzarsi per fare in modo che vi siano risorse sufficienti per gli esborsi.


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Sul fondo europeo salva-Stati progressi lenti

dal nostro inviato Beda Romano

BRUXELLES – A piccoli passi i paesi della zona euro si stanno avvicinando a un sofferto accordo su un pacchetto di misure per salvare la zona euro e risolvere lo sconquasso debitorio. L’obiettivo è di trovare un’intesa entro il consiglio europeo fissato per mercoledì. Il confronto tra Francia e Germania è accesissimo, nonostante le cortesie di rito. L’aspetto probabilmente più controverso è il potenziamento del fondo di stabilità Efsf.

Sono due almeno le opzioni sul tavolo. La prima prevede la trasformazione del fondo in assicuratore, incitando gli obbligazionisti ad acquistare titoli di debito pubblico sul mercato primario nella zona euro sapendo che una parte del valore è comunque garantito. La seconda invece consiste nella nascita di un veicolo speciale, dotato di denaro pubblico e privato, con il compito di acquistare obbligazioni sul mercato secondario.

Nei due casi il tentativo è di rafforzare l’Efsf, che con i suoi attuali 440 miliardi di euro non ha una dotazione sufficiente per aiutare la Grecia e altri paesi in difficoltà. I francesi vorrebbero trasformarlo in banca, dandogli accesso alla Banca centrale europea, ma i tedeschi sono perentori su questo aspetto. Temono una violazione dei trattati e in ultima analisi una monetizzazione del debito.
La Francia non ha abbandonato l’idea del tutto, ma ha capito che l’urgenza del momento richiede una soluzione meno ambiziosa. La speranza francese è che la Bce possa comunque impegnarsi nell’acquisto di titoli obbligazionari sul mercato. Per ora l’attuale presidente Jean-Claude Trichet si è rifiutato. L’augurio è che il nuovo presidente Mario Draghi abbia una posizione in qualche modo più accomodante.

Le due opzioni relative all’Efsf non si autoescludono. Potrebbero in realtà convivere. Quella che prevede la nascita di un veicolo speciale si fonda sulla possibilità che il denaro provenga anche dai paesi emergenti. Alcuni paesi sono freddi all’idea che la Cina venga in aiuto all’Europa in modo così plateale. Oltre che sul fondo, i 17 devono accordarsi sulla ricapitalizzazione delle banche e sulla ristrutturazione del debito greco.
Sul fronte bancario, l’accordo c’è. Potrà essere però formalizzato solo quando l’intero pacchetto verrà messo a punto. Infatti nel testo delle conclusioni si legge: ” Il consiglio europeo accoglie con favore i progressi fatti sulla questione bancaria (…) Queste misure saranno una componente essenziale di un pacchetto più ampio che verrà messo a punto nel vertice della zona euro del 26 ottobre”.
Questa frase è stata voluta in particolare da italiani, spagnoli e portoghesi, convinti che un core tier one troppo alto (al 9%), se non è compensato da altre misure che offrano ai mercati un pacchetto globale, avrebbe messo in difficoltà sia gli istituti di credito che gli eventuali governi chiamati a ricapitalizzare gli istituti di credito. L’operazione comunque dovrebbe costare intorno ai 100 miliardi di euro.
Per quanto riguarda direttamente la Grecia, si discute sempre animatamente. L’accordo del 21 luglio, con il quale la zona euro ha messo a punto un secondo piano di aiuti al paese mediterraneo, prevedeva una decurtazione del debito in possesso delle banche del 21%. Oggi si discute di portarlo come minimo al 50%. Le trattative si stanno svolgendo in queste ore, in vista sempre del consiglio europeo di mercoledì.
L’obiettivo è di trovare una “soluzione globale” alla crisi debitoria entro 72 ore, ha detto il presidente della Commissione, José Manuel Barroso. Le trattative sono estenuanti, e non solo perché tecnicamente complesse. Il rapporto tra Francia e Germania è a fior di pelle per il semplice fatto che ormai la crisi sta sfiorando anche la Francia, modificando alla radice le priorità nazionali e gli equilibri franco-tedeschi.
Per i tedeschi la partita è delicatissima: sono consapevoli che in gioco è il destino della zona euro, ma possono affermare di essere al riparo dalle tensioni finanziarie. Ma per i francesi la situazione è molto più grave. Sanno perfettamente che dietro al caso Italia si nasconde il caso Francia, che i prossimi a subire la furia dei mercati potrebbero essere loro. In gioco ormai non è la periferia della zona euro, ma il suo cuore.

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Eppur l’Eurozona si muove

di Enrico Brivio

Un sardonico adagio circolante tra i più convinti europeisti recita che, per rendersi conto se l’integrazione europea sta realmente avanzando, basta vedere se gli inglesi sono scontenti. Se sono arrabbiati, vuol dire che si stanno facendo, o tentando di fare, reali passi avanti. Così fu con Margareth Thatcher infuriata, messa all’angolo al vertice dell’ottobre ’90 a Roma da Giulio Andreotti, al Consiglio che avrebbe aperto la strada al Trattato di Maastricht e alla moneta unica; o con Tony Blair, irritato quando nel 2000 a Feira, in Portogallo, i partner europei volevano convincerlo a far avanzare la cooperazione fiscale. In quest’ottica, è forse un buon segno il malumore del premier britannico David Cameron per il maggiore peso istituzionale che si vuole dare all’Eurogruppo e per la richiesta tedesca di modificare i Trattati europei al fine di migliorare la governance economica dell’area euro.

“Dobbiamo salvaguardare l’interesse dei Paesi che vogliono stare al di fuori dell’euro, in particolare riguardo all’integrità del mercato unico a 27”, è sbottato Cameron, in tensione con il presidente francese Nicolas Sarkozy, per assicurare che, al vertice di mercoledì prossimo, sia tenuto in debito conto il parere dei Paesi fuori dall’eurozona sull’operazione di salvataggio della Grecia. Anche polacchi e svedesi hanno insistito perché sia l’Ecofin a 27 a precedere la riunione dei leader dei 17 Paesi dell’Eurozona il 26 ottobre, e non viceversa, ed espresso qualche malumore per la formalizzazione di Herman Van Rompuy presidente dell’Eurogruppo, che dà ulteriore status ufficiale a un organo che un tempo era solo informale. Proprio le obiezioni di Gran Bretagna, Polonia, Svezia e altri Paesi fuori dall’euro hanno ritardato per più di un’ora le due attesissime conferenze stampa conclusive del vertice, quella congiunta Merkel-Sarkozy e quella, tradizionale, di Van Rompuy col presidente della Commissione José Manuel Barroso, e hanno portato a una modifica delle conclusioni del summit, rispetto alla bozza circolata precedentemente.

L’accordo completo sul soccorso alla Grecia e sul fondo salva-Stati Ue (Efsf) non c’è ancora. Qualche giorno in più sarà necessario, anche per permettere alla cancelliera tedesca Angela Merkel di conferire con il Bundestag. C’è però convergenza sull’esigenza di ricapitalizzare con 108 miliardi le grandi banche europee, di far accettare perdite alle banche creditrici della Grecia di almeno il 50% e restano sul tavolo due opzioni sull’Efsf (in un caso agirebbe da assicuratore per quote parziale di emissioni di Paesi sovrani, nell’altro agirebbe attraverso un veicolo esterno speciale o Spv); ma prende quota l’ipotesi che la soluzione finale sarà una combinazione delle due rimaste aperte. L’impietoso giudizio dei mercati e gli impegni presi dagli europei con il G-20 del 3-4 novembre a Cannes non lasciano del resto spazio a ulteriori esitazioni.

A Merkel ha fatto capire che la Germania è pronta a pagare un prezzo per la salvezza dell’euro, ma vuole che si facciano progressi sulla governance dell’area euro e che ci sia maggiore controllo da parte di Bruxelles sui conti pubblici dei Paesi dell’Eurozona. Di questo sviluppo, che condurrà a una maggiore integrazione dell’Eurozona, i politici inglesi, sebbene irati, dovranno farsene una ragione e, per altri motivi, pure gli italiani che dovranno sbrigarsi ad adottare riforme che aiutino il risanamento e stimolino la crescita, se non vorranno veder avanzare l’ombra del commissariamento da parte di Bruxelles.

 

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