Menu

Accordo del 28 giugno. La farsa del voto interno alla Cgil

“Come da mandato del Comitato Direttivo del 5 luglio, reiterato dal CD del 26 settembre – si legge- , il giorno 21 ottobre si sono concluse le assemblee delle iscritte e degli iscritti alla Cgil”.
“Il voto è stato espresso dalle iscritte e dagli iscritti dipendenti delle aziende afferenti al sistema confindustriale come segue: aventi diritto al voto: 1.070.557; votanti: 659.031; favorevoli: 526.447; contrari: 123.613; astenuti: 8.982”. E’ andata in scena la farsa della democrazia”, commenta Gianni Rinaldini, coordinatore dell’area programmatica “La Cgil che vogliamo”. Tre i motivi di base per i quali la consultazione non ha nessun valore: Perché non è stata la consultazione vincolante prevista dallo Statuto (la Cgil, infatti, ha già sottoscritto il testo dell’accordo con Cisl, Uil e Confindustria, e non si capisce quale vincolo possa esprimere il singolo lavoratore, cui il Direttivo con un voto a maggioranza ha cancellato il diritto ad esprimersi prima che l’Organizzazione firmi un accordo”); secondo, perché le assemblee non sono state programmate “secondo criteri unificanti e certificabili di trasparenza:a totale discrezione dei gruppi dirigenti chi, dove, come e quando consultare>; terzo “perché non ci risulta che sia né partita né arrivata una campagna di assemblee”. “In sintesi, per come si è svolta questa consultazione non è possibile nessuna verifica dei votanti e dei voti espressi”, ha proseguito Rinaldini.

*****

da “il manifesto”

Gianni Rinaldini
DEMOCRAZIA
L’accordo del 28 giugno è una brutta pagina nella storia della Cgil

La Cgil ha comunicato i dati della consultazione degli iscritti interessati sull’accordo Cgil, Cisl Uil e Confindustria del 28 giugno. Una consultazione su un accordo già firmato dalle parti sociali e quindi dalla stessa Cgil. Mi sono chiesto se nella situazione attuale, mentre si dispiega un disegno autoritario fondato sul massacro sociale, l’annullamento di diritti e tutele, la negazione di un contratto nazionale degno di questo nome, fosse il caso di intervenire su ciò che avviene nella vita democratica della Cgil. Una vecchia storia, una sorta di autocensura in nome di un problema più grande. Ho superato queste reticenze perché convinto che non stiamo ragionando di due mondi separati ma di processi pervasivi che attraversano l’insieme della società nelle sue stesse forme di rappresentanza sociale e politica. Mi riferisco alla democrazia, che è la condizione primaria del riconoscimento dell’autonomia della rappresentanza sociale, tanto più a fronte di posizioni diverse tra i sindacati.
Nel corso di questi anni il quotidiano smantellamento di ciò che conferisce al lavoro umano una condizione diversa da una merce è avvenuto attraverso l’incrocio tra accordi separati e atti legislativi, fino all’epilogo con l’approvazione dell’articolo 8 della manovra. Ciò è stato possibile con la negazione della democrazia, l’espropriazione del diritto delle lavoratrici e dei lavoratori del voto sui propri contratti. Le lavoratrici e i lavoratori, in quanto cittadini hanno potuto votare il referendum sull’acqua e contro il nucleare, mentre, come lavoratori non hanno potuto votare sul loro contratto e di conseguenza sulla propria condizione lavorativa. Il messaggio è chiaro: come lavoratori non esistete, non contate niente! Un’enormità, nel silenzio assordante di gran parte delle forze politiche d’opposizione e del mondo intellettuale.
Il modello Marchionne – con la legge diventato sistema generale – e la strage di Barletta, sono lì a indicarci le conseguenze devastanti della deregolazione del lavoro. La Cgil, invece di interrogarsi sulla radicalità di questi processi sociali che mettono in discussione la stessa esistenza di un sindacato autonomo e democratico, continua nell’ordinaria amministrazione. Nell’illusorio inseguimento delle scelte di Confindustria e delle altre organizzazioni sindacali, come dimostra l’accordo del 28 giugno che nulla prevede sulle forme di validazione dei Contratti nazionali ma definisce le forme di validazione ed esigibilità dei contratti aziendali, «modificativi» del contratto nazionale. Non a caso, l’art. 8 della manovra finanziaria stabilisce per legge che la contrattazione aziendale può intervenire su tutte le materie che riguardano la prestazione lavorativa, comprese le norme di legge.
È utile rammentare il percorso degli ultimi mesi. A luglio la Cgil ha spiegato l’utilità dell’accordo unitario del 28 in nome del contesto generale, perché si recuperava parte dello «strappo» dell’accordo separato del 2009 e si bloccava l’offensiva in atto; ad agosto il Parlamento, con il sostegno di Cisl, Uil e Confindustria ha approvato l’art.8; nel mese successivo la Cgil ha confermato l’accordo sindacale unitario perché «renderebbe inesigibile» la legge. La Confindustria ha ottenuto tutto, l’accordo e la legge. Nella lettera inviata il 6 ottobre 2011 dalla Marcegaglia alle strutture della Confindustria, dopo aver illustrato l’accordo sindacale del 28 afferma: «a ciò si aggiungono le opportunità che offre l’art.8 di derogare in azienda, attraverso accordi sindacali, anche disposizioni di legge che disciplinano varie materie, tra le quali le conseguenze del recesso del rapporto di lavoro. Oggi un imprenditore iscritto a Confindustria può quindi beneficiare di tutte le flessibilità dell’accordo del 28 giugno e dell’art.8».
Nello stesso tempo Cisl e Uil continuano a firmare accordi separati che estendono agli altri stabilimenti Fiat il modello Pomigliano fondato sulla discriminazione nei confronti dei delegati e iscritti alla Fiom-Cgil, ritenendolo compatibile con l’accordo di giugno. Non mi risulta che ci siano state richieste di chiarimento da parte della Cgil. Ma allora su che cosa si è svolta questa fantomatica consultazione degli iscritti della Cgil? Una consultazione su un accordo già firmato senza definizione di regole democratiche verificabili, né sui votanti né sull’espressione di voto, consegnate al totale arbitrio dei gruppi dirigenti. È una deriva pericolosa, tantopiù in una fase dove è il processo di ridefinizione dell’assetto sociale, istituzionale e politico del nostro paese e dell’Europa è fondato sulla riduzione e svuotamento degli spazi di democrazia.
Si è scritta in questo modo una brutta pagina della storia della Cgil e mi auguro che serva almeno ad aprire una riflessione a tutto campo e senza ipocrisie sulle nostre criticità, sulle nostre evidenti difficoltà. Questo deve essere fatto accompagnato da una forte iniziativa per l’abrogazione dell’art.8 anche utilizzando lo strumento del referendum.
* portavoce de «La Cgil che vogliamo»

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *