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Un piano criminale. Ma quali reazioni?

Una prima panoramica delle reazioni ci aiuta a mettere in chiaro con chi si potrà camminare fianco a fianco e chi invece dovrà essere allontanato al solo tentativo di avvicinarsi. Il Pd, manco a dirlo, è in testa alla lista dei “falsi amici” che ti devono accoltellare alla schiena. E il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che rivela in modo forse definitivo quali siano i suoi riferimenti fondamentali. Non molto diversi da quelli che mossero “la politica dei sacrifici” a metà degli anni ’70.

 

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da Il Sole 24 Ore

Draghi: lettera a Ue passo importante, spostare peso tasse su proprietà e consumo

di Celestina Dominelli

Riforme strutturali ancora inattuate. Manovra di settembre da realizzare pienamente. Senza dimenticare la necessità di un convincente riassetto del fisco in cui si trasferisca il peso delle tasse su «proprietà e consumo». Intervenendo alla giornata del risparmio, il Governatore di Bankitalia e futuro presidente della Bce, Mario Draghi, indica la rotta per uscire dall’impasse, a cominciare dal delicato tema della riforma delle tasse. «La composizione del prelievo fiscale può essere modificata, trasferendone il peso dalle imposte e dai contributi che gravano sul lavoro e sull’attività produttiva all’imposizione sulla proprietà e sul consumo».

Lettera a Ue passo importante, sono misure coraggiose
Draghi alterna al discorso già preparato numerosi passaggi a braccio, uno dei quali è dedicato alla lettera del governo alla Ue, su cui il giudizio dell’inquilino di Palazzo Koch è molto chiaro. «È un passo importante, contiene un piano di riforme organiche dell’economia». Adesso occorre però «farle con rapidità e con concretezza» Non nascondiamoci, aggiunge Draghi, «che sono misure coraggiose, occorrerà tutelare le fasce deboli che saranno toccate».

Napolitano è il primo punto di forza dell’Italia
Tuttavia, rimarca Draghi, «termino il mio mandato in una situazione confusa e drammatica sul piano nazionale, internazionale, politico ed economico». L’Italia, osserva ancora il Governatore, «non aveva nulla da rimproverarsi» sulle ragioni della crisi «è stata travolta per le sue debolezze strutturali al punto da trovarsi essa stessa ragione della crisi generale». La gravità e la complessità della situazione, rammenta però il futuro presidente della Bce, «non devono farci dimenticare i nostri punti di forza e il primo è il nostro presidente della Repubblica», spiega Draghi parlando ancora a braccio interrotto da un lungo applauso della platea. «Desidero ringraziarlo come cittadino e come Governatore della Banca d’Italia: è un punto d’ispirazione e di esempio».

Crescita: servono riforme strutturali tuttora inattuate
Per poter ripartire, suggerisce quindi Draghi tornando al discorso preparato per la giornata del risparmio, la strada da percorrere è una sola. «Nel breve periodo un sostegno alla crescita può provenire da azioni di tipo macroeconomico». Draghi si incarica di precisare meglio il suo suggerimento. «Un rilancio duraturo della crescita sostenibile – aggiunge quindi il Governatore – passa soprattutto per le riforme strutturali da tempo invocate, in larga parte condivise ma tuttora inattuate: elevare la concorrenza nei mercati dei prodotti, in particolare nei servizi; costruire un contesto amministrativo e regolatorio più favorevole alle attività di impresa; sospingere l’accumulazione di capitale fisico e umano; innalzare i livelli di partecipazione al mercato del lavoro».

Crisi: vulnerabilità Italia ha radici nazionali
Nel suo discorso il Governatore di Bankitalia formula così una disamina lucidissima della crisi che investe l’Eurozona e il nostro Paese. «L’aggravarsi della crisi ha una dimensione mondiale ed europea, ma la particolare vulnerabilità dell’Italia ha radici nazionali». Ed eccoli i mali che impediscono al Paese di ripartire con celerità. «L’alto livello del debito pubblico, i dubbi sulle prospettive di crescita della nostra economia, le incertezze e i ritardi con cui si provvede alla correzione degli squilibri e alle misure di rilancio della crescita».

Dopo sei mesi di ristagno Pil è ripartito ma a ritmi molto modesti
Secondo il futuro presidente della Bce, «dopo sei mesi di sostanziale ristagno, nel secondo trimestre di quest’anno il prodotto in Italia è tornato a crescere ma a un ritmo molto modesto. Le vendite all’estero, che pur continuano a sostenere l’attività economica, risentono del minor vigore della domanda mondiale. Nei sondaggi», rileva ancora Draghi, «le imprese segnalano un indebolimento delle prospettive a breve termine e un deterioramento dei giudizi sulle condizioni per investire.

Urge governance che combini disciplina di bilancio e solidarietà
Sulla domanda interna pesano poi, rimarca poi Draghi, «la debolezza del reddito disponibile delle famiglie, la lenta ripresa dell’occupazione, la stessa incertezza sulle prospettive dell’economia». Anche in Europa la frenata è evidente. «I rischi di un indebolimento ulteriore delle prospettive di crescita», avverte il governatore, «sono significativi, in un contesto di forte incertezza». E secondo il futuro numero uno dell’Eurotower, «è urgente darsi una governance in cui disciplina di bilancio e solidarietà trovino reciproco supporto». È necessaria inoltre «l’immediata attuazione degli strumenti di sostegno finanziario per la gestione della crisi». E tuttavia tutto ciò sarà inutile «senza una risposta risolutiva e duratura che venga da adeguate politiche nazionali, che promuovendo la crescita
rimuovano gli squilibri delle finanze pubbliche».

Le nostre banche in grado di rispondere a sfidasu aumenti di capitale
Draghi è altresì convinto che il nostro sistema bancario sia sufficientemente solido per rispondere alle prossime sfide che attendono i mercati. «Le banche devono essere pronte ad aumenti di capitale anche in futuro», osserva il Governatore secondo cui «elevate dotazioni di capitale permettono di fronteggiare il peggioramento ciclico, di contenere il costo della raccolta sui mercati». In più occasioni, ribadisce il prossimo presidente della Bce, «abbiamo insistito affinchè le banche realizzassero aumenti di capitale. La risposta è stata finora pronta e confidiamo che così sarà anche in futuro».

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dal Corriere della sera

Napolitano: «Chi governa deve saper prendere decisioni impopolari»

«Se l’Italia è cosciente delle sfide che ha davanti, deve essere capace di dare le risposte necessarie». Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano inaugurando a Bruges l’anno accademico del College d’Europe. Ma a quanti gli chiedevano se avesse letto la lettera che il governo consegnerà ai leader Ue, il capo dello Stato ha risposto: «Non sono il messaggero dei dispacci del governo, non spetta a me esaminare i loro messaggi».

L’IMPEGNO – Il presidente ha parlato dell’impegno a cui sono chiamati i leader europei in tempi di recessione e ha sottolineato che «nessuna forza politica italiana può continuare a governare, o può candidarsi a governare, senza mostrarsi consapevole delle decisioni, anche impopolari, da prendere ora nell’interesse nazionale e nell’interesse europeo. L’impegno di quanti credono nel progetto europeo come scelta irrinunciabile guardando al futuro, deve farsi esigente. Ebbene, in quegli anni, con il Trattato di Maastricht e con l’Euro, un salto di qualità venne compiuto. È tempo ora di compierne un altro, ancor più deciso».

«BASTA TERGIVERSARE» – Il presidente della Repubblica ha evidenziato che «non possiamo più tergiversare di fronte all’imperativo categorico di uno sforzo consistente e costante di abbattimento del nostro debito pubblico, nè restare incerti dinanzi a riforme strutturali da adottare – avverte – per rendere possibile una nuova, più intensa crescita economica e sociale». Napolitano ribadisce che «si tratta di prove di indubbia durezza con cui dobbiamo cimentarci» per osservare: «Abbiamo in questi mesi cominciato a farlo ma molto resta ancora da fare, senza indugio». E qui c’è il passaggio relativo a ciò che compete a chi altrimenti non «può continuare a governare» nè «può candidarsi a governare». Inoltre, ha puntualizzato Napolitano, di fronte alla crisi dell’euro «ciascuno Stato deve fare la sua parte, assumersi fino in fondo le sue responsabilità. Tra essi certamente l’Italia».

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da “il manifesto”

Daniela Preziosi “segue” professionalmente il Pd fino a rendersi indistinguibile da quel partito. Proprio per questo, stavolta, il suo articolo – di solito di nessun interesse per noi – assume stavolta un valore. Ci informa “da dentro” quel mondo, che noi intuiamo (senza sbagliare di molto, per la verità) sulla base delle grandi scelte ufficili.

Daniela Preziosi ROMA
Democrack /CASINI: GOVERNO-PONTE, ULTIMA CHANCE
Udc: Bce è la base programmatica Ma su questo il Pd litiga ancora
Scontro Renzi-Fassina: «Rabbrividisco per le idee di chi non prende voti nel suo condominio» «Matteo rimpacchetta ricette economiche già fallite da vent’anni»

ROMA
«Siamo in zona Cesarini, per un governo di responsabilità nazionale abbiamo ancora poche ore, pochi giorni per capire se è realistico ipotizzarlo oppure andare alle elezioni». Ma se gli eventi precipitano verso un voto anticipato, l’unica base di un’alleanza elettorale fra le opposizioni «deve essere la lettera della Bce e il documento delle parti sociali». Pier Ferdinando Casini mette un paletto serio sulla coalizione con il centrosinistra. Serissimo, e infatti servito su piatto d’argento dal Colle: «Nessuna forza politica può continuare a governare, o può candidarsi a governare senza mostrarsi consapevole delle decisioni, anche impopolari, da prendere ora», dice in mattinata il presidente della Repubblica Napolitano inaugurando l’anno accademico del College d’Europe. L’ennesimo monito stavolta suona come un avviso al Pd. Per governare bisogna rendersi disponibili a decisioni «impopolari». O i democratici imboccano una strada netta sulle ricette anticrisi della Bce, o il Pd finirà per non avere le carte in regola per «candidarsi a governare».
Casini coglie al balzo l’assist del presidentissimo. Il voto anticipato, anzi anticipatissimo «a dicembre» come ipotizza Bersani, sembra ormai la strada su cui si avvia il paese. E per il leader Udc «Bersani di solito dice cose sagge, abbiamo pochissimi giorni per dare risposte credibili oppure le elezioni sono ineludibili». Il governo-ponte ha le ore contate. «Le votazioni di oggi (ieri, alle camere il governo è andato sotto quattro volte, ndr), sono il segno che la maggioranza è allo sbando, che sta maturando anche nel Pdl la consapevolezza che una fase di responsabilità nazionale si impone».
Ma, per quanto fra le file Pdl tiri aria nuova, Casini non crede all’eventualità del passo indietro di Berlusconi. Tanto vale prepararsi al voto. E organizzarsi per lasciare in mano al Pd la responsabilità del fallimento dell’alleanza di tutte le opposizioni. La lettera della Bce, con la sua ricetta economica lacrime e sangue, è perfetta. A un mese dalla sua pubblicazione sul Corriere (era il 29 settembre), nel Pd siamo ancora al lancio degli stracci. Giovani ‘turchi’ bersaniani, difensori dell’autonomia della politica dagli organismi economici, contro giovani ‘curdi’ neoliberal radicali. Stefano Fassina, responsabile economico del partito, contro tutta l’ala Modem, quella che, per dirla con Paolo Gentiloni, «non è tollerabile che fra noi ci sia chi pensi che la Bce sia il nostro nemico». A cui si aggiunge il vice di Bersani Enrico Letta, e un pezzo dell’area franceschiniana. Al partito pro Bce, e quindi pro riforma radicale delle pensioni, ieri si è aggiunto un pezzo da novanta: Matteo Renzi, che nel week end terrà la sua kermesse a Firenze. Ieri dalle colonne del Sole 24 Ore snocciolava la ‘sua’ ricetta economica: riforma delle pensioni, abolizione dei vitalizi dei parlamentari, accantonamento dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori a favore – secondo lo schema di Pietro Ichino – dei diritti dei precari. «La sinistra deve innovare. Rabbrividisco a sentire certe posizioni contro la lettera Bce lanciate da chi non prenderebbe i voti nemmeno nel suo condominio».
Allusione esplicita a Fassina. Che non gliela manda a dire: «Renzi rimpacchetta ricette dell’ortodossia economica fallita negli ultimi 20 anni. Ma gli va riconosciuta la virtù della chiarezza: finalmente è evidente che il rinnovamento, generazionale o meno, non è neutro: c’è il rinnovamento progressivo che valorizza la persona che lavora ed il rinnovamento regressivo che segue Marchionne e mette padri sfigati contro figli ancora più sfigati; c’è il rinnovamento progressivo che intende ricostruire una politica autonoma per regolare l’economia, e quello regressivo che si rassegna ad una politica ancella dell’economia; c’è il rinnovamento progressivo che vuole più Europa per rivitalizzare la democrazia delle classi medie e quello regressivo che assume l’Europa dei conservatori come dato immodificabile». Il dibattito nel Pd è apertissimo. Bersani se ne tiene alla larga, cercando di fare il punto di equilibrio e per ora lasciando che le truppe si scontrino. Ma dall’esito della battaglia interna uscirà l’indicazione per l’alleanza elettorale. E con ogni probabilità anche per la fisionomia finale del partito.


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da La Stampa

Licenziamenti possibili se l’azienda va in crisi

ROBERTO GIOVANNINI

In Italia sta per finire l’era dei licenziamenti difficili. Se quanto scritto nella lettera consegnata ieri da Berlusconi alla Ue diventerà legge si entrerà in un regime all’anglosassone, in cui si potrà allontanare un dipendente senza particolari complicazioni a fronte di situazioni di difficoltà economica dell’impresa per la quale si lavora. Probabilmente, così come avviene già oggi nelle piccole imprese, anche nelle aziende con più di 15 dipendenti sarà sufficiente versare un’indennità monetaria. Addio alle protezioni garantite dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, pure parzialmente – ma non abbastanza a quanto pare – indebolito dalla riforma varata nel decreto di Ferragosto. E via libera alla possibilità per le imprese di attuare «licenziamenti economici».

Una riforma davvero drastica, quella indicata dal governo e promessa entro il maggio del 2012. Certamente perché divenga legge bisognerà fare i conti con la fragilità della maggioranza. I licenziamenti sono materia politicamente esplosiva, e certo non fatta su misura per conquistare consensi elettorali. Una riforma simile fu tentata già nel 2001-2002 dal secondo governo Berlusconi, e finì come sappiamo. Sicuramente l’operazione susciterà proteste sociali molto dure, e già nei primi commenti a caldo tutti i sindacati confederali – comprese Cisl e Uil, e persino l’Ugl – si parla apertamente di manifestazioni e scioperi.

Nel testo della lettera, oltre alla «nuova regolazione dei licenziamenti» – definita come «funzionale» a maggiori assunzioni da parte delle imprese – ci sono anche altre indicazioni e impegni. Sarà più facile licenziare, ma si promette che per via legislativa si renderà più difficile fare contratti di collaborazione e in generale «parasubordinati», che «oggi sono spesso utilizzati per lavoratori formalmente qualificati come indipendenti ma sostanzialmente impiegati in una posizione di lavoro subordinato».

Ma oltre ai licenziamenti nel settore privato, si parla di interventi pesanti anche nel pubblico impiego. L’obiettivo è quello di «rendere più efficiente, trasparente, flessibile e meno costosa la pubblica amministrazione» al centro e in periferia. Per questo, con «meccanismi cogenti», si imporrà la mobilità obbligatoria dei dipendenti pubblici, la «messa a disposizione» e il superamento delle dotazioni organiche. In altre parole, si potranno chiudere e accorpare uffici, e spostare il personale anche in altri uffici, anche in città diverse. Chi non accetterà perderà il posto; chi verrà «messo a disposizione» finirà in una specie di Cassa integrazione a salario ridotto. Infine, entro il 2011 verranno approvate le misure (già presenti nella bozza del decreto sviluppo) per favorire i contratti di apprendistato per i giovani (anch’essi «terminabili» nell’arco di tre anni da parte dell’azienda) e le assunzioni part-time delle donne.

Immediata, e durissima, la reazione dei sindacati. Il primo ad attaccare in ordine di tempo è il segretario della Cisl Raffaele Bonanni: «così facendo si attaccano solo i più deboli, reagiremo subito perché non siamo d’accordo». «Permettere i licenziamenti per motivi economici – dice Bonanni – è solo uno specchietto per le allodole per le imprese. Il risultato è istigare le persone alla ribellione». La leader della Cgil Susanna Camusso afferma che «lo spirito riformatore del governo si traduce in un ennesimo attacco, sui licenziamenti, sul lavoro precario, sulle pensioni. Abbiamo visto le dichiarazioni di altre organizzazioni sindacali e siamo per proporre a tutti un’ iniziativa di mobilitazione unitaria che rimetta al centro le ragioni del lavoro e della crescita ancora una volta negate da questo governo». Paolo Pirani, numero due Uil, spiega che il governo «fa pagare dipendenti e pensionati, senza dire nulla su evasione fiscale, sprechi e privilegi. La Uil non ci sta e la nostra reazione ci sarà e sarà assolutamente ferma». Infine, il numero uno dell’Ugl Giovanni Centrella dice che «la misura è colma. Ora siamo liberi di agire».

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