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Attacco finale al lavoro. Da respingere subito

La parola “sciopero generale” corre un po’ dappertutto. Declinata al solito un po’ diversamente. Cgil, Cgil e Uil alzano la voce, ma appaiono “sintonici” con quanti chiedono di buttar giù Berlusconi… e basta. La loro opposizione alla “lettera europea” si concentra infatti quasi soltanto sul fatto che le misure lì previste siano state pensate e decise “senza concertazione”. Ma se ci fosse un governo più dialogante se ne potrebbe benissimo parlare. L’Usb chiama oggi ad una riunione unitaria tutto il sindacalismo conflittuale (quello di base ma anche la Fiom) per discutere di sciopero generale.

Una sponda politica per buttar giù di sella il Cavaliere sembra essersi aperta anche nel Pdl. Ma i congiurati della prossima ordalia già negano di essere loro nella parte di Bruto.Il Pd, dopo aver minimizzato il contenuto delle “riforme” berlusconiane  facendo capire, insieme a Repubblica, che loro pensano di fare anche peggio, hanno preso a cavalcare le proteste sindacali e quelle spontanee dei lavoratori. Pronti a mollarli di nuovo non appena si dovessero aprire le porte di palazzo Chigi a un “governo di responsabiltà nazionale”. Con o senza Scilipoti.

La solita schifezza. Che richiede una risposta alta, possente, coordinata e chiara negli obietivi: nessun peggioramento su contratti, salari, tutele e diritti è più possibile. Ma anchedeve essere una risposta anche rapida.

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Galapagos
CACCIA GROSSA A CHI LAVORA

Partiamo da un numero: 1000 miliardi di euro, una cifra stratosferica, quasi 4 volte il debito pubblico greco. Mille miliardi è la somma che il Consiglio d’Europa ha deciso di impegnare per la salvezza del sistema finanziario europeo. Non c’è da stupirsi che ieri le borse abbiano fatto baldoria con guadagni clamorosi in una fase della congiuntura mondiale che non spinge di certo all’ottimismo. Il sistema è salvo, scrivono i commentatori. Ma quale sistema? Ieri il manifesto ha pubblicato con grande rilievo una notizia di fonte Credit Suisse, una della banche più accreditate del sistema finanziario: nell’ultimo anno meno dell’1% della popolazione mondiale ha «arraffato» il 39% della ricchezza globale, quasi il 4% in appena dodici mesi. Se non bastasse, l’Ufficio del bilancio del Congresso Usa ci ha fatto sapere che negli ultimi 28 anni il reddito dell’1% della popolazione più ricca è salito, in termini reali, del 275%, mentre quello del 20% della popolazione più povera di appena il 18%. Insomma , la forbice della distribuzione dei redditi si sta allargando.
Questi numeri (uniti ai 1000 miliardi) sono la conferma che il bailout, cioè la ciambella di salvataggio ha funzionato a senso unico salvando (quasi banale ripeterlo) chi la crisi del 2008 aveva provocato. Anzi, rendendolo più ricco. Ma c’è un altro aspetto niente affatto secondario: questi numeri smentiscono la vulgata che indicano nella globalizzazione la soluzione di ogni problema. Al contrario è «questa» globalizzazione che ha portato al trionfo della finanza e allo schiacciamento dei diritti delle persone. Ieri Gianni Rinaldini ha scritto che «in questi anni c’è stato un quotidiano smantellamento di ciò che conferisce al lavoro umano una condizione diversa da una merce». La lettera spedita da Berlusconi al Consiglio d’Europa ne è la conferma.
Con una premessa: in quella lettera poteva esserci scritto qualsiasi cosa: i 27 avrebbero dato in ogni caso la loro benedizione (perché cane non morde cane e quei 27 capi di stato e di governo dovevano salvare se stessi) anche in presenza di impegni evanescenti, coerenti unicamente con la peggiore ideologia liberista. Tipo quella, tanto cara a Sacconi, che solo diminuendo i diritti del lavoro con la libertà di licenziamento, si potrà garantire una maggiore occupazione.
Nella lettera spedita a inizio agosto da Trichet e Draghi a Berlusconi era scritto: «Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento». La replica del governo italiano non si è fatta attendere: «Entro il maggio 2012 l’esecutivo approverà una riforma della legislazione del lavoro funzionale alla maggiore propensione ad assumere e alle esigenza di efficienza dell’impresa anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici». Attenzione, per motivi economici anche oggi i licenziamenti, anche di massa, si possono attuare. Basta seguire le regole che prevedono prima la Cig e poi la mobilità. I motivi economici evocati nella lettera sono altri. Significa potersi liberare di un lavorare anziano che guadagna molto di più dei giovani che potrebbero essere assunti al suo posto. Il lavoratore è sempre più «merce» e come tale viene trattato: se viene giudicata troppo cara non lo si compra più e la si allontana dalla produzione e dalla vita.
Nella lettera d’intenti di Berlusconi c’è anche molto altro. A volte grottesco. Tipo: «Il governo trasformerà le aree di crisi in aree di sviluppo». Lo vadano a dire ai lavoratori di Termini Imerese per i quali non è ancora stata trovata una soluzione credibile, non di sviluppo, ma più banalmente di conservazione del lavoro esistente. Una delle promesse che ha raccolto maggiore attenzione è stata quella del pensionamento per tutti a «almeno» 67 anni nel 2026. Ma non si tratta di una novità: con l’anticipo delle norma sulla «speranza di vita» i 67 anni erano già una certezza.
Quello che è certo, invece, è che per i dipendenti pubblici arriveranno tempi «cupi». Su questo punto Brunetta (uno dei «grandi» estensori della lettera) si è scatenato: mobilità obbligatoria; cassa integrazione; superamento delle dotazioni organiche. Tradotto: la Pubblica amministrazione sarà ridotta all’osso per cedere le sue attività (come sta già accadendo con la complicità di direttori generali di nomina governativa) ai privati.
Questa lettera ai potenti piace perché protegge le elite dominanti e disprezza la vita del 99% (o giù di lì) della popolazione. La sola speranza è che rimangano impegni presi sulla carta perché Berlusconi e i suoi ascari non hanno la forza per realizzarli. Speranza è anche che il futuro governo sappia fare di meglio. Ma più di un dubbio è autorizzato considerati i ripetuti applausi ricevuti dalle richieste delle autorità europee all’Italia. Anche dalle forze di opposizione, anche dai richiami rivolti agli opposti schieramenti politici dal presidente della repubblica. Berlusconi potrebbe essere sostituito con un governo tecnico che porti a compimento il massacro.

da “il manifesto” del 28 ottobre 2011
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Il quotidiano di Confindustria finge preoccupazione, ma si avverte la speranza che la “mossa” possa aiutare a scaricare il pornopremier.
da Il Sole 24 Ore

Il «no» dei sindacati: pronti a sciopero generale

di Giorgio Pogliotti


La lettera di intenti alla Ue ricompatta il fronte sindacale che minaccia: se il Governo deciderà di modificare le norme sui licenziamenti, sarà sciopero generale.

I leader di Cgil, Cisl e Uil aprono alla possibilità di scioperare tutti insieme, per la prima volta dall’insediamento dell’attuale Esecutivo. Susanna Camusso – che oggi sarà in piazza a Roma con i pensionati e che per il 3 dicembre ha indetto una manifestazione sul lavoro – ritiene «sia giusto in questa fase provare a discutere con Cisl e Uil per provare a ragionare per soluzioni che si traducono anche in iniziative comuni». Mentre per Raffaele Bonanni «se ci sarà la stessa opinione sul fisco, sui costi della politica e delle amministrazioni, sullo sviluppo e sulle relazioni industriali agiremo uniti», altrimenti «marceremo divisi e colpiremo uniti, come nel caso dei licenziamenti». Il riferimento è alle norme che consentivano alle parti sociali di derogare all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, introdotte dal Governo nell’articolo 8 della manovra estiva e “sterilizzate” dall’accordo interconfederale firmato lo scorso 21 settembre da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria.

Sulla stessa linea Luigi Angeletti: «Nel caso in cui il Governo ci dovesse spingere a prendere in considerazione uno sciopero generale non ci saranno particolari problemi a farlo tutti assieme – ha detto –, anche se noi non auspichiamo che il Governo ci spinga a ciò». La Uil, peraltro, per protestare contro le misure del Governo sul pubblico impiego ha indetto oggi lo sciopero dei dipendenti pubblici.

La ricomposizione del fronte sindacale, quindi, potrebbe diventare presto una realtà, anche se Cisl, Uil e Ugl hanno diffuso un comunicato congiunto – senza coinvolgere la Cgil nell’iniziativa, come segno delle profonde distanze ancora esistenti – per dire a chiare lettere che considerano un «grave errore e una inaccettabile provocazione nei confronti del sindacato» l’intenzione del Governo di introdurre una nuova normativa sui licenziamenti. «Tale intenzione – affermano i tre sindacati – è ancor più ingiustificata perché non ci risulta sia stata richiesta o concordata con le stesse associazioni imprenditoriali». È a rischio la coesione sociale per Cisl, Uil e Ugl che ricordano di essersi limitate finora «per senso di responsabilità» a proteste di sabato e fuori dall’orario di lavoro. «Qualora il Governo intendesse intervenire sulle materie del lavoro senza il consenso delle parti sociali» Cisl, Uil e Ugl «saranno costrette a ricorrere a scioperi». I tre sindacati chiedono al Governo di favorire la previdenza integrativa riducendo le tasse per incentivare l’adesione obbligatoria ai fondi integrativi, di approvare subito la delega per la riforma fiscale, introdurre una patrimoniale permanente sui beni immobiliari e mobiliari (escludendo la prima casa), abbattere i costi della politica, ridurre i livelli amministrativi, vendere il patrimonio immobiliare dello stato, liberalizzare i servizi pubblici.

Susanna Camusso sottolinea che «è importante che ci sia un giudizio comune con Cisl e Uil», il Governo «incapace di decidere e agire, è capace solo di prendere ordini». Il segretario generale della Cgil boccia in modo netto la missiva inviata a Bruxelles: «Nella lettera del Governo all’Unione europea – aggiunge – non c’è nulla che riguarda la crescita, non c’è nessuna risposta positiva per l’Italia. Ci si gloria di quel che si è fatto e forse bisognerebbe evitarlo, visto che siamo sorvegliati speciali». Per Susanna Camusso si tratta di «una filosofia sbagliata in una stagione in cui il nostro più grande problema è la disoccupazione, costruire percorsi d’ingresso dei giovani e delle donne», invece «si parla di licenziamenti, l’opposto di ciò che serve al Paese».

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