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Berlusconi sulla porta

Un vertice con i suoi colonnelli più fidati, conclusosi a notte inoltrata, ha consegnato alle cronache un Berlusconi molto meno combattivo di quel che ama affidare alle amate telecamere. In pratica, il voto di oggi sul “rendicnto dello stato” – uno dei più burocratici e di routine della vita parlamentare, perché suggella semplicemente atti già conclusi – sarà il suo test di sopravvivenza. Formalmente “deciderà lui” se lasciare palazzo Chigi, la politica, probabilmente anche l’Italia (visto il gran numero di processi ancora pendenti e da cui non potrebbe più difendersi con tattiche dilatorie trasformate in leggi ad personam). La lista di parlamentari Pdl il libera uscita si è talmente allungata da non lasciare dubbi sul fatto che la maggioranza non c’è più. Anche se non è sul “rendiconto” che la sfiducia avrebbe dovuto trovare il punto di attacco.

Le previsioni della vigilia davano infatti i parlamentari in fuga ancora attestati sulla semplice astensione o non voto, così da evidenziare la fine di un’epoca senza però affondare il colpo. Berlusconi, se è vero quel che hanno sussurrato ai cronisti i colonnelli nella notte, trarrà a quel punto le sue conclusioni. Sotto i 316 voti (la metà più uno dei deputati alla Camera) dovrebbe perciò salire al Quirinale per confermare di non avere più “i numeri” per andare avanti. Che tra gli ultimi fuggitivi vada annoverata anche tale Gabriella Carlucci, nota più per il bungee jumping televisivo (o il parcheggio di auto blu sul marciapiede) che non per l’attività legislativa, restituisce la “statura” della classe dirigente portata nel ventennio berlusconiano ai vertici dello stato.

Tra parentesi, si conferma così anche la voce dal sen fuggita sparsa ieri mattina da Giuliano Ferrara, e che aveva contribuito a far risalire le borse e diminuire lo spread. Se voleva essere un “sondaggio dei mercati”, il risultato è stato inequivocabile.

L’ultima bastonata, dopo la chiusura di tutte le borse, è arrivata dal conservatorissimo Wall Street Journal, che analizzando i dati ha sentenziato: l’Italia è vicina al punto in cui non sarà più in grado di permettersi di chiedere prestiti sui mercati: i rendimenti sui titoli a 10 anni sono vicini alla soglia del 7%, un segnale d’allarme visto che Grecia, Portogallo e Irlanda hanno avuto bisogno di essere salvate poco dopo aver raggiunto tali livelli. «Con 1.900 miliardi di euro di debito e 200 miliardi di euro di debito a maturazione il prossimo anno, l’Italia può a malapena permettersi che i tassi restino a questi livelli. «Il debito italiano è maggiore del pil e con un’economia che cresce poco gli analisti – evidenzia il Wall Street Journal – ritengono che per l’Italia potrebbe essere impossibile trovare una soluzione al debito da sola».

 

Votazione al via oggi alle 15.30, nell’aula della Camera, sul ddl di rendiconto e di assestamento del bilancio dello Stato che fu clamorosamente bocciato l’11 ottobre scorso. Saranno in tutto quattro le votazioni su cui l’assemblea di Montecitorio sarà chiamata ad esprimersi. Sul rendiconto è prevista un’unica votazione. Sono, invece, tre le votazioni per l’assestamento: una per ciascuno dei due articoli e uno per il voto finale. La Camera è convocata domani alle 12.30.

 

La cronaca notturna secondo le agenzie.

Silvio Berlusconi attende l’esito del voto sul rendiconto alla Camera per decidere il passo da fare successivamente, se fare un passo indietro o continuare nell’azione di governo. L’intenzione del premier è quella di ascoltare la Lega e riconvocare lo stato maggiore del Pdl per prendere la decisione finale. È quanto emerso dal vertice del Pdl a Palazzo Grazioli.

Nel corso della riunione, spiegano alcuni presenti, ogni dirigente avrebbe espresso la sua opinione in merito alla difficile situazione in cui si trovano il governo e la maggioranza alla vigilia del voto alla Camera. Il Cavaliere, dopo aver ascoltato tutti, si è preso del tempo per decidere aspettando di vedere i numeri che raggiungerà domani il centrodestra a Montecitorio. Subito dopo, il premier vedrà la Lega Nord e i vertici del Pdl per decidere la strategia. Questa notte a Palazzo Grazioli sono stati esaminati diversi scenari: Nel caso ci fossero i numeri, Berlusconi ribadirà l’intenzione di andare avanti. È stata anche presa in considerazione l’ipotesi che la maggioranza domani non otterrà i numeri necessari. In quel caso, è stato il ragionamento fatto dai presenti, ci sarebbero solo le elezioni. A Palazzo Grazioli sarebbe anche emersa l’ipotesi di un altro tipo di governo ma alcuni presenti avrebbero messo in chiaro la possibilità che su questo scenario il Pdl potrebbe dividersi. Al riguado peserebbe anche l’incognità Lega Nord. Berlusconi avrebbe ribadito di voler prender ancora del tempo anche se i big del Pdl gli avrebbero chiesto ancora una volta di valutare la possibilità di fare un passo indietro.

 

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Anche i mercati sfiduciano il Cavaliere
Roberto Tesi

Piazzaffari ha chiuso in positivo: l’indice Mib a fine seduta segnava un recupero dell’1,32% che assieme a Atene (+1,39%) ha assegnato a Milano la palma di migliore piazza europea. Parigi ha infatti perso lo 0,64%, Francoforte lo 0,63%, mentre Londra ha lasciato sul terreno lo 0,3%. In territorio negativo (a due ora dalla chiusura) anche New York: il Dow Jones perdeva quasi lo 0,60%, mentre il Nasdaq era in flessione dello 0,90%. La conclusione largamente positiva di Piazzaffari è arrivata dopo che in mattinata le quotazioni volavano sulle montagne russe sulle voci e sulle smentite di dimissioni Berlusconi.
O meglio: dopo le voci che davano il premier dimissionario, ma soprattutto dopo che Giuliano Ferrara, il diretore del Foglio, aveva dichiarato che l’addio del premier era questione di ore. L’indice Mib che era arrivato a perdere il 2%, dopo i «boatos» sulle dimissioni è immediatamente risalito, guadagnando circa il 2,5%. Poi il guadagno si è ridimensionato quando le agenzie di stampa hanno diffuso la smentita da parte di Berlusconi e le quotazioni sono tornate a scendere per poi risollevarsi un po’ in chiusura. I mercati, insomma, hanno sfiduciato Berlusconi, anche se non c’è molto da gioire: il forte degli indici azionari nascondeva la speranza di un governo tecnico presieduto da Monti. In ogni caso, la borsa vedeva nelle dimissioni di Berlusconi la fine di ogni incertezza: anche un governo di centro sinistra non spaventa i mercati.
Giornata nerissima anche per quanto riguarda il differenziale tra Btp e Bund tedeschi: lo spread tocca i 491 punti in mattinata, record dall’introduzione dell’euro, per poi scendere a quota 471 dopo la voce delle dimissioni. In chiusura è tornato a quota 487, con il rendimento Btp a dieci anni salito al 6,67% nonostante i massicci acquisti che la Bce ha effettuato anche ieri. Il vero problema è atteso per domani: andranno all’asta 24 miliardi di nuovi titoli pubblici. C’è molto pessimismo sulla domanda, anche se, secondo indiscrezioni, il Tesoro avrebbe fatto pressioni sul sistema bancario affinché sottoscriva. In ogni caso è atteso un forte aumento degli interessi con gravi ripercussioni sul bilancio dello stato. Il problema dell’Italia – lo ha ripetuto ieri Cristine Legarde, direttrice del Fondo monetario – è che l’Italia non gode più di credibilità livello internazionale. Legarde ha anche confermato che «ispettori del Fondo saranno a Roma entro la fine del mese». Intanto, le tensioni nei paesi dell’euro stanno spingendo di nuovo al rialzo le quotazioni dell’oro che ha toccato il prezzo di 1.772,48 dollari l’oncia, il livello più alto dal 22 settembre.
La mancanza di fiducia verso l’Italia è emersa drammaticamente nella riunione dell’Eurogruppo a Bruxelles. «Dobbiamo essere informati sulle intenzioni del governo», ha dichiarato JeanClaude Juncker riferendosi al modo in cui in Italia si intende procedere per rispettare gli impegni assunti a livello europeo sul consolidamento di bilancio e sulle riforme strutturali. «È essenziale che l’Italia rispetti gli impegni di bilancio e intensifichi le riforme», ha incalzato il commissario Ue agli Affari economici Olli Rehn. Il più «ottimista» è stato Wolfgang Schaeuble, ministro delle finanze tedesco, secondo il quale se l’Italia attuerà gli impegni di riforma per i quali si è impegnata, «ci sarà un recupero della fiducia dei mercati». Tremonti, che rappresenta l’Italia alla riunione, è stato messo sotto pressione: i paesi dell’euro vogliono i dettagli delle manovra: non basta la semplice lista delle cose da fare.

da “il manifesto” dell’8 novembre 2011
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dal Corriere della sera

Lunga agonia, costi aggiuntivi

Sul Corriere del 21 settembre avevamo suggerito una via d’uscita che sarebbe stata utile a Silvio Berlusconi, al governo e soprattutto al Paese. Il presidente avrebbe annunciato che non intendeva chiedere un rinnovo del suo mandato e avrebbe proposto di anticipare le elezioni alla primavera dell’anno prossimo.

L’opposizione avrebbe smesso di concentrare tutto il suo fuoco polemico contro la persona di Berlusconi e si sarebbe preparata al voto con un programma su cui vi sarebbero stati confronti e discussioni. L’aria del Paese si sarebbe svelenita, l’Europa e i mercati avrebbero assistito con maggiore pazienza a una fase naturale della politica italiana, destinata a concludersi entro tempi certi, e il Pdl avrebbe avuto il tempo per organizzare il passaggio dei poteri dal suo fondatore all’uomo che ne avrebbe preso la successione.

Più o meno è quello che potrebbe accadere nelle prossime settimane. Ma in un quadro confuso e disordinato, dopo un lungo periodo durante il quale abbiamo trasmesso all’Europa l’immagine di un Paese allo sbando, privo di un progetto credibile, governato da un uomo che sembra ormai ossessionato dal dramma della sua fine e si accanisce al tavolo da gioco con la testardaggine di chi spera ancora di recuperare, con un’ultima carta, il capitale perduto. Se Berlusconi tiene all’immagine che lascerà di sé nella storia politica italiana di questi anni, temo che le sue scelte degli ultimi giorni siano state le peggiori possibili. Se crede che quest’ultima sfida possa giovare alla storia del suo governo, commette un imperdonabile errore. Non giova né al Paese, ingiustamente schernito dai partner europei e punito dai mercati, né a quel partito della destra moderata di cui ogni Paese democratico ha bisogno.

Tocca all’opposizione ora giocare le sue carte. Deve permettere l’approvazione del rendiconto (un atto dovuto che sarebbe assurdo e irresponsabile sabotare), ma può presentare una mozione di sfiducia e cercare di accorciare i tempi di questa lunga agonia. Attenzione, tuttavia. Nel chiedere la sfiducia l’opposizione deve anche dire con chiarezza con quale programma andrà al governo se riuscirà a vincere le prossime elezioni. Non può limitarsi a condannare Berlusconi. Deve anche indicare quale sarà la sua linea in materia di pensioni, mercato del lavoro, privatizzazioni, liberalizzazione degli ordini professionali. Per conquistare il consenso dell’Europa non basta agitare i cartelli e gli slogan degli indignati o di una qualsiasi manifestazione sindacale. Occorre un programma che risponda alle preoccupazioni della Banca centrale europea, della Commissione, dell’Eurogruppo, del Fondo monetario internazionale. In altre parole occorre un programma che assomigli alla lettera indirizzata al governo, qualche settimana fa, dal presidente della Banca centrale europea e dal governatore della Banca d’Italia.

Se l’opposizione si nascondesse dietro programmi generici, scritti con vaghezza per compiacere i suoi potenziali alleati della sinistra populista, gli osservatori stranieri giungerebbero alla conclusione che la fine del governo Berlusconi non significa necessariamente l’avvento di un governo più credibile e affidabile. E gli elettori andranno alle urne, se ci andranno, con gli stessi sentimenti di rabbia e frustrazione con cui hanno giudicato la politica italiana in questi ultimi anni.

 

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