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Ultime contorsioni prima di Super-Mario

Il Tappo vuole contrattare, alza il prezzo, cavalca peones e sgherri in fibrillazione. Minaccia. A vuoto, perché se lunedì mattina non sarà ancora uscito da palazzo Chigi la “punizione divina dei mercati” esploderà con rabbia incontenibile. Tale da far rimpiangere i buoni bolscevichi che conquistarono S. Pietroburgo.

Ma gli imprenditori nostrani, che lo conoscono bene anche perché ne condividono la cultura, non si fidano e alzano il “fuoco preventivo”. Insomma: fingono di sopravvalutare i La Russa per dire a Silvio “non fare altre cazzate, ne abbiamo viste abbastanza”.

 

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da Il Sole 24 Ore

 

Berlusconi vuole maggiori garanzie e il gioco si fa pericoloso

Stefano Folli

Il gioco si sta facendo pericoloso. A questo punto avrebbe già dovuto delinearsi l’ampio «sostegno condiviso» all’ipotesi Monti: un sostegno che il presidente della Repubblica chiede ogni giorno con tono accorato, consapevole che all’inizio è bastato l’annuncio di un nuovo premier credibile per migliorare l’immagine italiana sui mercati e presso i nostri partner. Ma da martedì o mercoledì gli annunci non basteranno più: servirà che l’esecutivo prenda possesso dei suoi uffici e cominci a trasmettere messaggi positivi all’interno e all’estero.

 

Ovviamente chi vuole ritardare i tempi dovrà assumersi la responsabilità delle sue scelte. Ma se è Berlusconi il temporeggiatore, l’uomo che forse ha cambiato idea e sembra assecondare o incoraggiare gli oltranzisti, allora il rischio di finire nella nebbia è molto alto. Sta di fatto che il principale partito in Parlamento, il Pdl, continua ad agitarsi in preda alle convulsioni.

Pesa la rottura con la Lega, pesa la campagna di Giuliano Ferrara contro il «governo tecno-burocratico». C’è il sentimento di quanti si sentono scaricati e restano privi di un ruolo e di un’alternativa. E non va sottovalutata la tendenza di molti ad auto-convincersi che, se si andasse subito a votare, il centrodestra (ricomposta la frattura con il Carroccio) avrebbe speranze di contendere la vittoria al centrosinistra (con una campagna, s’intende, del tutto spregiudicata contro l’euro e i «padroni» dell’Unione: cancellerie nordiche, banchieri, eccetera.)
È chiaro che sarebbe uno scenario drammatico ed è poco plausibile che Berlusconi abbia voglia di mettersi alla testa di un movimento peronista del genere «Forza Silvio», contro tutto e tutti. Tuttavia i segnali d’allarme non mancano in queste ore. Fanno pensare che il premier uscente voglia alzare il prezzo della sua adesione alla soluzione Monti. Diciamo che vuole garanzie. Sul programma (niente patrimoniale) e in particolare sulla struttura del governo: in primo luogo un ministro della Giustizia non ostile; forse un ministro dello Sviluppo che non gli faccia rimpiangere Romani. Anche perché l’angoscia che attanaglia Berlusconi riguarda il futuro delle sue aziende, di Mediaset.

Tutta la polemica sul governo tecnico o politico tradisce questo problema. Un esecutivo puramente tecnico equivarrebbe al massimo della discontinuità con Berlusconi e quindi al minimo di garanzie per lui. Un esecutivo tecnico che rispecchiasse la cornice politica generale della maggioranza che lo appoggia andrebbe meglio: purché, sembra di capire, due o tre ministeri-chiave siano trattati con il vecchio leader dimissionario. In fondo anche le voci sulla volontà di candidare Alfano come premier obbediscono a tale logica: sottolineare la dimensione politica del futuro governo.
Naturalmente il Pd e anche il ‘terzo polo’ vogliono l’opposto. Preferiscono lasciare a Napolitano e Monti la scelta dei ministri tecnici, così da marcare il distacco dalla vecchia gestione. Un esecutivo con un marchio anche vagamente berlusconiano accrescerebbe le difficoltà del Pd di Bersani, proprio ora che il segretario è riuscito a ricreare un argine a sinistra. Alla saggezza della prima ora mostrata da Vendola, si unisce adesso un parziale ripensamento di Di Pietro. Ma il sentiero rimane stretto.
In definitiva il governo Monti può nascere solo se si marcia spediti verso l’obiettivo. Senza avviare trattative limacciose. Spetta a Napolitano, con il suo prestigio, rassicurare i leader politici e trovare, se possibile, un punto d’equilibrio. Ben sapendo che in ogni caso un pezzo del Pdl è disposto a staccarsi alla fine da Berlusconi per sostenere Monti. Come testimoniano le dichiarazioni di Frattini e Pisanu.

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Berlusconi tratta, nel Pdl si frena su Monti

 

Con il passare delle ore il clima si surriscalda. La chiusura della settimana in borsa consente di non dover stare troppo attenti a dosare gli argomenti. Il Pdl lascia trapelare che la partita su Monti non è affatto chiusa, che si potrebbe puntare su un candidato interno, che tutto può tornare in discussione. Un tam tam che Silvio Berlusconi non trattiene, anzi rilancia. Il premier in un mix che oscilla tra rabbia e depressione non ci sta a venire umiliato, a vedersi Mario Monti che apre le «consultazioni» ancor prima di ricevere in consegna la campanella (quella che simboleggia il passaggio di consegne dopo il giuramento). Minaccia, Berlusconi, di essere pronto a presentarsi al Quirinale con i nomi di Dini o Alfano. Lo scrive oggi anche La Padania.
Ieri Bossi è tornato con Calderoli a Palazzo Grazioli. Al premier il Senatur ha ripetuto che il sì a Monti rappresenta la fine dell’alleanza con la Lega, disponibile invece a sostenere un governo Alfano (o in subordine Dini) anche allargato all’Udc. Di qui l’apertura del premier.

Giorgio Napolitano però non sembra disponibile a sopportare i salti d’umore del Cavaliere. Vuole chiudere la vicenda in tempi rapidissimi affinché l’Italia lunedì possa presentarsi all’apertura dei mercati con le carte in regola. Si racconta di una animata telefonata con Alfano e di un vis-à-vis con Letta per avere chiarimenti. Che qualcosa sia cambiato, che la strada non sia più così in discesa è un dato oggettivo. Ma questo non significa affatto che Berlusconi e con lui la gran parte del Pdl sia disposto a far saltare il banco, a dire «no» a Monti.
L’obiettivo è riconquistare un po’ di campo. «Siamo noi ad aver il maggior numero di deputati alla Camera e siamo ancora maggioranza al Senato, avremo pure il diritto di sapere che cosa vuol fare il governo a cui ci si chiede di dare la fiducia?», è l’interrgoativo retorico posto dal premier, che ha davanti agli occhi le immagini dell’aula di Palazzo Madama che plaude all’ingresso di Monti.

Berlusconi vuol vendere cara la pelle. Ma per riuscirci deve anzitutto evitare la disgregazione del partito. Rialzare la testa e fare la voce grossa è un passaggio obbligato, per trattenere gli oltranzisti che invocano le urne tra cui spiccano Matteoli, Sacconi e Brunetta, pronti anche a votare contro il governo Monti.
Ma conquistare campo significa anzitutto riuscire a negoziare programma e composizione dell’esecutivo. Berlusconi ha bisogno di garanzie, anche personali. «Vuole un salvacondotto», conferma un autorevole esponente del Pdl, ricordando che la partita sulle frequenze del digitale terrestre non è chiusa, così come non è chiaro che fine faranno i provvedimenti in Parlamento su processo lungo e prescrizione breve. «Questo Governo che nasce e il nuovo Parlamento devono mettere fine all’uso politico della giustizia: conditio sine qua non per votare Monti. Ne ho parlato con Berlusconi», dice senza troppi giri di parole Giorgio Stracquadanio.

Una strategia che però non è condivisa da tutti. Il rischio che il gioco al rialzo messo in piedi dal Cavaliere possa provocare un corto circuito, non va però sottovalutato. Lo sanno bene quanti nel Pdl avrebbero preferito che già oggi si tenesse l’ufficio di presidenza che dovrà ufficializzare la posizione del partito di maggioranza relativa. «Non possiamo permetterci di mettere a rischio la tenuta del Paese, se non chiudiamo subito lo spread la prossima settimana vola a 700 punti….», diceva ieri sera un ministro. Il clima interno è molto teso. Lo conferma il duro e botta risposta tra Franco Frattini e Ignazio La Russa, con il mimistro degli Esteri che avrebbe accusato gli «ex fascisti» (Frattini sostiene di essere stato travisato) di contrastare irresponsabilmente il governo Monti dopo aver già provocato la rottura con Fini e il collega della Difesa che replica: «Fratti chi…?». La resa dei conti si terrà stasera. Dopo l’approvazione della legge di stabilità e le dimissioni al Colle di Berlusconi a Palazzo Grazioli ci sarà l’ufficio di presidenza. Se alla fine dovesse prevalere il sostegno a Monti è probabile che i contrari si uniranno per dar vita a una componente interna. Al momento però di scissioni nessuno parla.

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