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Antitrust. Il segno della continuità è un Pitruzzella

 

 

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Antitrust, l’ora del fare. Cosa?
Francesco Paternò

Non è un banchiere. Dunque è un professore e cattolico, con l’aria che tira non ci si può sbagliare. L’hanno scelto i presidenti delle Camere ma con un tempismo che è quello del nuovo governo, una nomina «di corsa», secondo i dettami di Mario Monti. In sole 48 ore, Giovanni Pitruzzella è diventato il presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato al posto di Antonio Catricalà, sottosegretario alla presidenza del consiglio, per il quale c’erano voluti quasi due mesi di consultazioni.
Dal predecessore, Pitruzzella eredita nove «indagini conoscitive», nessuna delle quali riguarda i gangli del conflitto di interesse berlusconiano nel mondo dell’informazione. Però ora è a lui che tocca vigilare e soprattutto intervenire su una stalla da cui non tutti i buoi sono ancora scappati. Avrà gli occhi addosso non solo di chi è già convinto che Catricalà non abbia fatto nulla contro questa anomalia italiana, ma anche quelli di un presidente del consiglio che all’antitrust della Commissione europea ha dimostrato di non guardare in faccia nessuno.
Pitruzzella, 52 anni, siciliano, vicino all’area mattarelliana e alla Cisl, è docente di diritto costituzionale all’università di Palermo. Un suo manuale, scritto insieme a Roberto Bin, è usato dagli studenti di tutta Italia. Avvocato cassazionista (come Giuseppe Tesauro, predecessore di Catricalà), arriva all’antitrust dalla presidenza della Commissione di garanzia sugli scioperi e dall’incarico di consigliere del presidente del senato Renato Schifani, palermitano come lui. Politicamente, è considerato un moderato, qualcuno azzarda un bipartisan, ma risulta solo al Pd siciliano: «Mi auguro – dice Paolo Gentiloni, deputato romano del Pd – che abbiano fatto la scelta più opportuna anche sotto il profilo dei requisiti necessari per un incarico così rilevante». Se non rosso, è semaforo arancione. In effetti, Pitruzzella, oltre a lavorare con Schifani, siede nel comitato scientifico della Fondazione Magna Carta, di cui è presidente Gaetano Quagliarello, esponente di spicco del Pdl. Magna Carta è un’associazione dalle larghissime vedute, con una porta girevole sull’Autorità della concorrenza: Salvatore Rebecchini e Antonio Pilati siedono nel consiglio di amministrazione della Fondazione e contemporaneamente sono due dei quattro componenti della direzione della stessa Autorità. Con l’arrivo di Pitruzzella presidente, una maggioranza di origine Magna è assicurata.
Costituzionalista di chiara fama, Pitruzzella non è stato nemmeno bipartisan dopo l’ultima caduta in aula del governo Berlusconi nel voto sul rendiconto dello stato. «Berlusconi non può liquidare parlando di risolvibile disguido tecnico», disse allora, «la conseguenza politica di un voto contrario del parlamento non potrebbe che essere la crisi di governo. Non possiamo che unirci a questa voce e chiedere le dimissioni del governo». Il nome di Pitruzzella, passato con il nulla osta di Fini oltre che dell’amico Schifani, era già venuto fuori circa un mese fa. Gli avrebbe fatto concorrenza Lorenzo Bini Smaghi, membro della Bce che rifiutava di lasciare il posto a un francese dopo lo sbarco a Francoforte di Mario Draghi. Per convincerlo, a Bini Smaghi avrebbero offerto la stessa poltrona, sempre che Catricalà l’avesse mollata: nell’incertezza, il banchiere se ne è andato a insegnare ad Harvard.
In attesa che ne apra uno nuovo, Pitruzzella trova dossier aperti sulla scarsa o nulla concorrenza in Italia, dalle tariffe energetiche che per i consumatori sono un po’ troppo uguali (e care) rispetto al resto d’Europa, all’altro tasto dolentissimo delle assicurazioni auto e altre liberalizzazioni mancate. Tuttavia, il professore farà bene a maneggiare con più cura una delle nove «indagini conoscitive», aperta dal suo predecessore il 23 marzo scorso. E’ sul costo dei servizi bancari, molto caro rispetto agli standard europei, ma molto caro anche ai banchieri. Che nel governo Monti vanno alla grande. Catricalà gli ha poi lasciato un annuncio di istruttoria che, una volta aperta, farà a pugni sempre con i soliti banchieri di governo. E’ la fusione Alitalia-AirOne: a fine anno scade la sterilizzazione triennale dei poteri dell’Antitrust decisa ad hoc per l’operazione. Se fu monopolio, per la compagnia dei «patrioti» potrebbe esserci domani un manzoniano «ei fu» .

da “il manifesto”

 

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