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Un morso alle pensioni, una carezza ai ricchi

Si parte con le pensioni, ovviamente, in modo da far cassa immediatamente e soprattutto su cifre certe. L’intenzione è addirittura sanguinaria: eliminazione di fatto dell’”anzianità” (portando il minimo di contributi da 40 a 42 o 43 anni di servizio), blocco della rivalutazione degli assegni pensionistici per adeguarli all’inflazione (3,8% solo nel 2011), contributivo per tutti a partire dal primo gennaio prossimo. Più varie ed eventuali.

E l’equità? Beh, si fa circolare la voce su una possibile “mini-patrimoniale”, ma così mini che quasi non si sente: il 2 per 1.000 per chi possiede (tra immobili, azioni, fondi, ecc) più di 1,5 milioni di euro. Quant’è? Quasi nulla. Con un obolo di 3.000 euro i ricchie se tolgono il dente e si sentono “equi”.

Questo e molto altro, se si legge tra le righe degli articoli di oggi.


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Da Il Sole 24 Ore

Una manovra da 20 miliardi

Marco Mobili
Si lavora a una manovra da 20 miliardi. Potrebbe essere questa l’entità della correzione che servirebbe per centrare l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 nel caso in cui a Bruxelles, il premier Mario Monti, non riesca a ottenere che si scomputi in parte dai conti pubblici l’effetto da attribuire al peggioramento del ciclo economico. Nel caso in cui, invece, dall’Europa dovesse arrivare un’indicazione meno restrittiva, la manovra sarebbe più contenuta e scenderebbe a 13-15 miliardi. Sempre che il Governo non giochi subito le sue carte per far fronte, oltre al pareggio di bilancio, all’altra grande emergenza del sistema Italia: la crescita.

Parte di quei 20 miliardi, che potrebbero crescere fino a 25, infatti, potrebbero essere destinati a finanziare interventi mirati per sostenere il sistema produttivo, ad esempio riducendo il carico fiscale su lavoratori e imprese, a partire dal peso dell’Irap sul costo del lavoro. Il sostegno al sistema produttivo potrebbe passare per un premio fiscale alla capitalizzazione delle imprese o ancora per una “proroga lunga” del bonus fiscale del 55% per la riqualificazione energetica degli immobili. Capitoli strategici saranno anche le infrastrutture così come le liberalizzazioni dei servizi, con il rafforzamento dei poteri dell’Antitrust, dismissioni e semplificazioni.

Certo è che si tratterà di una manovra articolata: «Le linee di una complessa politica economico-sociale» saranno presentate «nei prossimi giorni». A dirlo è stato lo stesso premier Monti, precisando che questa è stata una due ragioni per le quali c’è voluto «più tempo del previsto» per mettere a punto la squadra di governo. L’Esecutivo conta di presentare l’intero pacchetto all’inizio della prossima settimana. La data indicata negli ultimi giorni sarebbe quelle di lunedì 5 dicembre, a pochi giorni dal Consiglio Europeo dell’8 e 9 dicembre. Ci si muoverà in tre direzioni: le correzioni con misure urgenti di entrata e nuovi tagli di spesa; come detto, il sostegno alla crescita; le riforme strutturali.

Si partirà dalle pensioni con un aumento del requisito per l’anzianità e l’anticipo dell’aumento dell’età della vecchiaia per le donne. A questi interventi d’urgenza farà seguito la riforma del sistema, con l’ipotizzato passaggio al meccanismo di calcolo contributivo per tutti i lavoratori (si vedano i servizi alle pagine 8 e 9). Tra le riforme strutturali da mettere in cantiere ci sarà poi la riscrittura – chiesta dall’Europa – delle tutele e delle regole sui licenziamenti.

Sul fronte delle maggiori entrate la dote più consistente potrebbe arrivare dalla casa, dove si lavora a una rivalutazione delle rendite catastali (non meno del 15%) da affiancare a un ritorno dell’Ici sulla prima casa (totale complessivo dell’operazione 5 miliardi). Imposta che potrebbe essere in chiave federalista o meglio vestita da Super-Imu sui cui ieri va registrata l’apertura di Silvio Berlusconi. E quasi certamente progressiva per rispettare quel principio di equità annunciato a più riprese dal premier Monti nel suo discorso programmatico alle Camere. Sullo sfondo c’è sempre la patrimoniale, su cui a differenza dell’Ici c’è il no secco del Cavaliere. Allo stesso tempo l’Economia la studia sulla base delle richieste più volte formulate dalle imprese e dal Pd, ovvero un prelievo – anche questo progressivo – sui grandi patrimoni a partire da un milione di euro.Per far quadrare i conti e centrare il pareggio di bilancio Monti potrebbe giocarsi anche la carta Iva: un aumento di due punti dal 21 al 23% garantirebbe oltre 8 miliardi di euro. Che potrebbero essere 6 se si aumentasse di un solo punto percentuale l’aliquota ridotta del 10% e quella ordinaria del 21. Risorse che però potrebbero essere utili per coprire almeno i primi 4 miliardi per il 2012 richiesti dall’attuazione della delega fiscale e assistenziale.

Il capitolo lotta all’evasione si potrebbe concentrare su una serie di norme volte a rendere più stringente la tracciabilità dei pagamenti, a partire dal divieto all’uso del contante la cui soglia potrebbe scendere a 300 o 500 euro. Senza dimenticare che nei cassetti dell’Economia ci sono sempre gli studi di fattibilità per un accordo con la Svizzera sul modello tedesco o inglese. Tema caro al Pdl e che potrebbe tornare al centro dell’attenzione.

Le maggiori entrate saranno accompagnate da tagli di spese a partire dai costi di funzionamento della pubblica amministrazione come per gli enti e le province. Per altro oggi scade il termine fissato dalla manovra di agosto sul pareggio di bilancio entro cui va fissato il “business plan” della spending review che le amministrazioni centrali dovranno realizzare da gennaio prossimo. (M. Mo.)

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Pensioni bloccate per tutti

È l’ipotesi più forte sul tavolo del ministro Elsa Fornero, quella capace di garantire il maggiore contenimento della spesa previdenziale sul 2012. Un blocco (per uno o più anni) delle rivalutazioni al costo della vita esteso a tutte le pensioni. Misura che stando alle stime non ufficiali circolate in ambienti tecnici potrebbe sfiorare i 6 miliardi. Il risparmio massimo si otterrebbe naturalmente con un’operazione generalizzata che riguarda tutti gli assegni. Uno scenario diverso si determinerebbe con una selezione in base agli importi delle pensione ma su questo a decidere sarà il premier e ministro dell’Economia, Mario Monti, quando verranno fissati gli importi complessivi della nuova correzione.Lo stop arriverebbe con il decreto del 5 dicembre per evitare lo scatto automatico delle perequazioni all’inflazione previsto a gennaio. Un intervento che, se confermato, farebbe da «base» alle altre misure previdenziali da varare subito, vale a dire l’aumento del requisito minimo per l’accesso all’anzianità a prescindere dall’età anagrafica e il nuovo anticipo della scalettatura per l’aumento a 65 anni dell’età di vecchiaia delle lavoratrici private (che potrebbe essere fissato, a regìme, nel 2018, si veda l’altro articolo in pagina).

Nei prossimi due anni (legge 111/2011) le perequazioni sarebbero già state parzialmente ridotte per le pensioni più ricche. La rivalutazione al 100% dell’inflazione, secondo la normativa attuale, sarà garantita solo per la quota superiore a tre volte il trattamento minimo degli assegni fino a 5 volte il minimo, mentre si scende a una copertura del 90% per la quota di pensione da tre a cinque volte il minimo e, ancora, al 70%, per la quota di pensione fino a tre volte il minimo se conteggiate su un assegno superiore a 5 volte lo stesso minimo.

 

Non è la prima volta che si mette mano al sistema delle perequazioni. Nel corso delle riforme degli anni Novanta il meccanismo di indicizzazione degli assegni è stato più volte rimodulato. L’intervento più lontano nel tempo risale alla riforma Amato (1992) quando l’indicizzazione venne ridotta prima che il meccanismo venisse modificato con l’adeguamento degli assegni non più alla dinamica dei salari ma a quella dei prezzi. Qualche anno dopo (1994) il primo governo Berlusconi intervenne nuovamente, con l’aggancio della rivalutazione all’inflazione programmata. Poi fu la volta del governo Dini, che con il varo della sua riforma (legge 335/1995) realizzò il blocco generalizzato per tutte le pensioni, anche per le più basse. Ancora un intervento arriva nel 2000, con il blocco parziale (90% e 75%) per le quote di pensione da tre a cinque volte il trattamento minimo, misura poi replicata con qualche modifica dal governo Prodi (2007) con il blocco per il biennio 2008-2010 del 25% della rivalutazione delle quote di pensione superiore oltre cinque volte il minimo.

Un nuovo intervento firmato Fornero-Monti sulle perequazioni, potrebbe offrire il destro ad un ritocco «sistemico». Come ricordato sul Sole 24 Ore di ieri, oggi i lavoratori e i pensionati sono «separati» sul fronte dell’indicizzazione di assegni e montanti contributivi: i primi sono agganciati all’inflazione mentre i secondi sono rivalutati sulla base del Pil. Come hanno fatto notare gli economisti de lavoce.info, il passaggio all’indicizzazione basata sul Pil per tutti avrebbe un pregio, oltre a garantire risparmi per lo Stato: la crescente popolazione dei pensionati troverebbe un forte interesse a sostenere politiche per lo sviluppo in piena sintonia con i lavoratori attivi. In Svezia, per fare un esempio di sistema contributivo, le pensioni crescono di anno in anno in base al tasso di inflazione più la differenza fra tasso di crescita potenziale dell’economia (che viene utilizzato nel calcolare il livello iniziale delle pensioni quando ci si ritira dalla vita attiva) e tasso di crescita effettivo. Altra alternativa potrebbe essere quella di prendere come riferimento la crescita del monte salari contributivo, la base con cui si finanziano le pensioni.

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Sulle «anzianità» l’assegno dopo 41-43 anni di contributi

Aumento di 1-2 punti delle aliquote contributive dei lavoratori autonomi. E possibile stretta immediata sui pensionamenti di anzianità ancorati al solo canale contributivo (a prescindere dall’età anagrafica) con l’innalzamento della soglia di uscita da 40 a 41-43 anni di contribuzione. Sono queste al momento le ipotesi più gettonate, insieme al blocco, totale o parziale, di almeno un anno del recupero dell’inflazione sui trattamenti (v. l’altro articolo in questa pagina), del pacchetto previdenziale che sarà inserito nel decreto sulla manovra. Un pacchetto che anticiperà la riforma organica vera e propria, destinata a vedere la luce tra la fine dell’anno e il mese di gennaio. Nel menù degli interventi considerati urgenti continua a far parte l’adozione del contributivo, nella forma pro rata, per tutte le pensioni dal 1° gennaio del 2012 e il decollo già dal prossimo anno del percorso per alzare il requisito di vecchiaia, che verrebbe anche velocizzato facendo salire l’asticella a 65 anni già nel 2018 o 2020 e non più nel 2026.

Tra le opzioni alle quali stanno lavorando i tecnici del ministero del Lavoro e del Tesoro spunta anche un contributo di solidarietà per gli iscritti ai fondi previdenziali con trattamenti privilegiati (elettrici, telefonici, dirigenti e via dicendo), che però allo stato attuale sarebbe solo oggetto di un’attenta valutazione.

La decisione sulle misure da anticipare nel decreto sarà presa soltanto nel fine settimana. Anche perché le strategie del ministero del Lavoro e della Ragioneria generale dello Stato non sembrano ancora collimare. Sull’anticipo dal 2013 al 2012 del meccanismo sull’aggancio alla speranza di vita non sembra esserci ancora una convergenza.

Ma è soprattutto sul delicatissimo versante del superamento in toto dei pensionamenti di anzianità che sembrano esserci diverse scuole di pensiero: i tecnici del Tesoro spingono per un’accelerazione delle quote (somma di età anagrafica e contributiva) per arrivare a «quota 100» nel 2015 mentre il ministro Elsa Fornero sembra prediligere un meccanismo flessibile di uscite con una forbice 63-68 (0 70) anni. Una riflessione sarebbe in corso anche sulla stretta sui pensionamenti di anzianità con il solo canale contributivo dei 40 anni, ovvero quelli ai quali si accede a prescindere dall’età anagrafica raggiunta. L’idea sarebbe di alzare di uno o tre anni la soglia contributiva di accesso alla pensione. Una questione strategica, visto che interessa circa due terzi dei pensionamenti anticipati. Anche per questo motivo i sindacati (e i partiti) vorrebbero avere voce in capitolo.

Sindacati che, non a caso, chiedono l’immediata apertura di un confronto. «Basta con le indiscrezioni sulle pensioni – ha detto ieri il leader della Cisl, Raffaele Bonanni – È arrivato il momento di un confronto trasparente e pubblico sul tema». Non è pertanto ancora da escludere che questo intervento possa uscire dal decreto e rientrare nel pacchetto organico, insieme alle altre misure per superare i pensionamenti di anzianità e alzare l’età media di pensionamento, sul quale la Fornero sembra intenzionata ad aprire nei prossimi giorni un giro di tavolo con le parti sociali.

La ministra sta stringendo il più possibile sui tempi. Ieri la Fornero ha prima incontrato il capo dello Stato al Quirinale e poi in serata ha visto il presidente della commissione Lavoro della Camera, Silvano Moffa, con cui ha fatto il punto sull’agenda dei lavori parlamentari dei prossimi giorni.

L’obiettivo della Fornero è mettere a punto un intervento organico, improntato al rigore, all’equità e anche alla crescita, per completare le riforme varate negli ultimi anni. In questa direzione si collocherebbe l’aumento dei contributi a carico dei lavoratori autonomi (commercianti e artigiani) oggi al 20-21 per cento. La Fornero punterebbe a una progressiva armonizzazione delle aliquote contributive per giungere, a regime, a un loro riallineamento verso il basso e ridurre così il carico contributivo su imprese e lavoratori. (D. Col. e M.Rog.)

 

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dal Corriere della Sera

Più di 40 anni di contributi per la pensione

ROMA – Dovrebbe valere oltre 10 miliardi di euro all’anno la riforma delle pensioni nella versione «hard» allo studio dei tecnici della Ragioneria e del ministero del Lavoro. Stop al recupero dell’inflazione, revisione delle aliquote per eliminare privilegi, estensione del contributivo, aumento dell’età minima a 62-63 anni, equiparazione donne uomini. Mentre il ministro del Lavoro Elsa Fornero scalda i motori facendo visita prima al capo dello Stato Giorgio Napolitano poi al presidente della Commissione lavoro della Camera Silvano Moffa, qualcosa si muove anche sul fronte della patrimoniale.

Sì alla patrimoniale soft
Nonostante il no di Silvio Berlusconi, ribadito ancora ieri – «impoverisce la gente» – e le difficoltà per la sua applicazione (ne verrebbero esclusi i grandi patrimoni perlopiù all’estero) il governo avrebbe ottenuto il via libera dal Pdl a una versione soft della patrimoniale (il 2 per mille a patrimoni oltre il milione e mezzo di euro) che servirebbe come condizione necessaria per ottenere il via libera da parte del sindacato e del Pd a fare interventi sulle pensioni e sul mercato del lavoro.
Quali saranno alla fine le misure prese o annunciate dal governo nel Consiglio dei ministri del 5 dicembre dipenderà dalla cifra finale della manovra che Mario Monti sta negoziando in queste ore a Bruxelles. A seconda di come verranno assorbite e interpretate le ultime stime del Pil per il 2012 (l’Ocse l’altro giorno ha previsto un calo dello 0,5% rispetto a un Def che indicava più 0,6%) la forchetta della finanziaria oscilla tra un minimo di 20 e un massimo di 40 miliardi nel biennio, per arrivare al pareggio di bilancio fissato per il 2013. Un gioco da far tremare i polsi e dal quale dipende l’atteso giudizio sulla prima fase dei tecnocrati al potere. Comunque, di sicuro lunedì prossimo ci sarà l’intervento sulla casa, con la reintroduzione dell’Ici magari sotto forma di Imu, e la rivalutazione degli estimi catastali, e arriverà qualcosa anche sulle pensioni. Un assaggio, tanto per far capire ai mercati che questo governo fa sul serio, per continuare successivamente con un piatto più pesante dopo il confronto con le parti sociali. In discussione ci sono anche nuovi aumenti dell’Iva e le misure per il rilancio della crescita (riduzione del cuneo fiscale).


STOP ALLA RIVALUTAZIONE
Ai dieci miliardi di euro del pacchetto pensioni si arriva abbastanza facilmente. Se si considera che, solo per l’Inps, ogni punto di inflazione sullo stock di 200 miliardi di euro vale 2 miliardi e poiché quella attesa nel 2012 è del 3%, il risparmio è di circa 6 miliardi l’anno, ma è probabile che non verranno colpite le rendite più basse. Un 1 miliardo e 200 milioni arrivano dall’aumento delle aliquote contributive dei lavoratori autonomi e dei politici, che attualmente versano appena dall’8 al 20-21% rispetto alla media del 33%. Circa 1,5-2 miliardi provengono dall’anticipo al 2012 dell’aumento da 60 a 65 anni per l’età di uscita delle donne, e oltre 2 miliardi a regime (ma poco nei primi anni) con l’estensione del contributivo pro rata per tutti.

LE DONNE A 65 ANNI
Sulle donne si sta ragionando di chiudere il percorso di adeguamento al 2016 o al massimo al 2020 rispetto al timing attuale fissato al 2026. Dalla stretta sull’anzianità arriveranno pochi spiccioli (385 milioni nel 2013 e 973 nel 2014) mentre il grosso del risparmio si dovrebbe ricavare dall’aumento della soglia minima dei 40 anni che assorbe circa due terzi delle uscite annuali per anzianità. In soldoni, circa 2,5 miliardi solo per l’Inps e un altro miliardo dall’Inpdap (dipendenti pubblici). In questo schema si potrebbe partire da 41 anni nel 2012 e poi alzare gradualmente la soglia. In pratica significa abolire le pensioni di anzianità nel giro di cinque anni.

Roberto Bagnoli

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