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L’Europa davanti al bivio

Il problema di una Unione monetaria mal concepita, mal realizzata, mal gestita da economisti ideologi e politici nazionalisti, è ormai davanti ai nostri occhi. Qualsiasi “politica di rigore” venga applicata nei singoli paesi è inefficace rispetto allo scopo di “restituire fiducia” ai mercati. Perché è l’insieme a non tenere, non le singole parti. Ma questo, nella teoria liberista classica, che non contempla la possibilità della crisi (perché il mercato “tende naturalmente all’equilibrio”), non è previsto. Quindi non si sa cosa fare. A parte spremere le popolazioni per cercare di salvare il sistema bancario. Che, come spiegano ormai i record quotidiani crescenti dei depositi overnight presso la Banca centrale europea, hanno smesso da tempo di “supportare l’economia” e cercano solta nto di salvare se stesse. Ognuna per sé.

Il viaggio europeo di Monti si svolge in questo mare fatto di scogli. E mentre la stampa padronale inneggia alla sua “serietà”, che lo rende tanto più “presentabile” in Europa rispetto al predecessore, è il “concerto europeo” a restare – complessivamente – senza spartito e senza orchestra.

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Euro, una nave inguidabile

È record di depositi presso la Bce. 455 miliardi «congelati» a un tasso quasi nullo pur di non metterli a rischio

Francesco Piccioni
C’è da chiedersi se le persone installate ai posti di comando delle istituzioni più importanti siano davvero all’altezza del compito. Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), nonché ex ministro dell’economia francese, se n’è uscita ieri mattina – in Sudafrica – con una battuta degna di una turista per caso: «È improbabile che l’euro possa scomparire nel 2012».
Se voleva essere «tranquillizzante», la signora ha evidentemente sbagliato mestiere. Perché uno nella sua posizione sarebbe bene che tacesse sempre, parlando – come si dice – «tramite gli atti»; oppure negando qualsiasi ipotesi così disastrosa, anche quando è alle porte. Chi governa i destini della finanza globale, infatti, ha un potere enorme anche solo usando la parola. Può distruggere in un attimo quel che altri stanno faticosamente cercando di costruire: «la fiducia».
Più logico che lo faccia uno speculatore di mestiere come George Soros, che nelle stesse ore ammoniva su un possibile «crollo dell’euro che «porterà alla disintegrazione dell’Unione europea con conseguenze catastrofiche per l’intero sistema finanziario globale». Seminando il panico, lui ci guadagna…
Ma le dichiarazioni di chiunque sarebbero solo aria fritta, se i dati dell’economia globale fossero un po’ migliori. E invece si accavallano notizie ben poco rassicuranti, come quelli sulla disoccupazione nell’Europa a 27 – ferma al 10,3% (era al 10 un anno prima) – o nella zona euro (è aumentata dello 0,2 in un anno). Ma stiamo parlando di 23,674 milioni di persone nel primo caso e di 16,372 nell’altro. Non di numeretti. Negli Usa la situazione è migliorata a dicembre, con la creazione di oltre 200.000 posti nel mese; ma c’è il fondato sospetto che si tratti di un fuoco di paglia legato alle festività e al consueto boom delle vendite natalizie.
Dalla Germania arriva invece un dato «strutturale» pesante: gli ordinativi industriali – le «commesse» che permettono alle imprese manifatturiere di programmare il lavoro per i prossimi mesi – sono crollate del 4,8%. È il calo più brusco dal gennaio 2009, in piena «prima fase» della crisi, a soli quatto mesi dal falimento di Lehmann Brothers. Soprattutto, rappresenta una mazzata per larga parte dell’industria continentale, in buona misura trasformata in «contoterzista» della manifattura tedesca. I fabbricanti di singoli componenti destinati alla Germania, insomma, subiranno a breve una contrazione proporzionale o quasi degli ordinativi da lì provenienti. Il Nordest italiano o i «lumbard» tra i primi.
Nel frattempo è stato battuto un altro record: quello delle somme depositate dalle banche continentali presso la Bce. 455,2 miliardi, che vengono «congelati» a un tasso quasi nullo, pur di non rischiarli in impieghi incerti. Il meccanismo è doppiamente distorcente. Le banche, infatti, hanno ricevuto un mare di liquidità dalla stessa Bce a tassi convenientissimi (l’1%), nella speranza che gli istituti europei la usassero per acquistare titoli di stato dei paesi «meno brillanti» e, allo stesso tempo, per i prestiti alle imprese dell’economia «reale». L’intento era esplicito: tener bassi i rendimenti dei titoli pubblici e fornire un po’ di ossigeno all’economia. Niente di tutto questo: i soldi restano in banca. Anzi: tornano nelle casseforti della Bce.
Un bel po’ di colpa ce l’ha l’Eba (European Banking Authority), che da un lato ha elevato al 9% la quota di capitale proprio che le banche debbono «tenere a riserva» in caso di problemi improvvisi; dall’altro ha classificato «tossici» i titoli di stato dei paesi Piigs, ma non i «derivati» emessi dal mercato privato. Risultato: le banche di Italia, Grecia, Spagna, ecc, non prestano più un euro nemmeno ai propri colleghi. Figuriamoci a imprese e privati cittadini.
È questo un passo avanti decisivo verso il «credit crunch», il blocco del credito che ferma l’economia. Al tempo stesso, il «rigore di bilancio» cui vengono obbligati tutti gli stati rafforza la corrente nella stessa direzione recessiva. Ancora ieri la Commissione Ue ha annunciato che presto partiranno le «procedure di infrazione» contro cinque paesi che hanno un rapporto debito/Pil troppo alto. Per Ungheria, Malta, Polonia, Belgio e Cipro rischia di farsi notte presto.
Le borse ne hanno preso atto a metà giornata. Milano – che era riuscita a sfiorare un +2% – è precipitata a -1 in poche decine di minuti. lo stesso è accaduto per altre piazze europee. Lo spread tra i titoli decennali italiani e i Bund tedeschi è tornato vicino ai 530 punti, anche se sulle scadenza brevi gli scarti di rendimento si sono quasi dimezzati.
Diventa insomma sempre più chiaro che il problema non è quel che hanno fatto i singoli paesi fin qui, ma la debolezza dell’intera struttura monetaria europea. Costruita seguendo i manuali liberisti, per cui la crisi è «un errore» commesso da qualcuno, non un fenomeno tipico del capitalismo. Costruita quindi come una nave che viaggerà sempre in acque tranquille, ingestibile quando il mare gira a tempesta. 23 MILIONI DI DISOCCUPATI nell’Unione a 27. Il tasso di disoccupazione si è attestato dunque al 10,3% (era al 10% un anno fa). Nella zona euro i senza lavoro sono circa 16 milioni di persone.

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Il nuovo trattato europeo «a tempo determinato»

Anna Maria Merlo
Il presidente francese Sarkozy, in piena frenesia elettoralistica, spinge sulla Tobin tax. Ma la Germania frena
PARIGI
Un nuovo trattato «a tempo determinato», mentre resta sullo sfondo l’ipotesi di varare gli Eurobonds. E intanto si infiamma la discussione attorno alla tassa sulle transazioni finanziarie, con Sarkozy, preso da frenesia elettoralista, che promette di voler «mostrare l’esempio» e di introdurla in Francia prima delle presidenziali, mentre la Germania frena e la Commissione chiede ai paesi membri un «approccio coerente» per evitare di aggiungere confusione alla crisi in corso. Ieri si è riunito il gruppo di lavoro incaricato di redigere il nuovo trattato europeo, in vista di un testo definitivo che dovrebbe venire sottoposto al Consiglio dei capi di stato e di governo del 30 gennaio. Un vertice che per il primo ministro francese, François Fillon, dovrà «segnare la prima tappa di riconquista della crescita». Nel frattempo, dopo l’incontro Sarkozy-Merkel del 9, i viaggi di Monti a Berlino l’11 e il 18 a Londra e un vertice a tre a Roma (Merkel, Sarkozy, Monti) a metà gennaio, i ministri delle finanze dell’eurogruppo si riuniranno il 23.
Gli europarlamentari che partecipano al gruppo di lavoro (Elmar Brok per il Ppe, Roberto Gualtieri per i socialdemocratici, Guy Verhofstadt per i liberali e Daniel Cohn-Bendit per i Verdi) pensano che il nuovo trattato, voluto dalla coppia franco-tedesca per «incidere nel marmo» le regole di bilancio in equilibrio, dovrà avere una scadenza a tempo: 7 anni, mentre la Commissione, che non apprezza un trattato intergovernativo e non comunitario (la Gran Bretagna si è autoesclusa), preferirebbe una limitazione a 5 anni. In discussione c’è anche un riferimento a dei futuri Eurobonds. Per superare il «nein» della Germania, che non vuole diventare il garante delle cicale spendaccione, i negoziatori pensano a una road map rivolta agli stati, che fissi con precisione le «condizioni istituzionali, economiche e politiche» per poter accogliere gli Eurobond. Il negoziato ha trovato delle difficoltà anche sulla percentuale minima di paesi che devono ratificare il nuovo trattato perché entri in vigore: al vertice di dicembre si era parlato di 9 paesi, che adesso sarebbero saliti a 15.
Mentre dal Sudafrica la direttrice dell’Fmi, Christine Lagarde, è baldamente ottimista sulla sopravvivenza dell’euro, Parigi si infiamma a favore della tassa sulle transazioni finanziarie. «Non penso» che il 2012 vedrà sparire l’euro, ha affermato Lagarde, «è improbabile che la moneta in sé sparisca nel 2012; i partner europei hanno affermato e riaffermato la loro determinazione a mantenere la Grecia» nella moneta unica. Ma Lagarde non è ottimista sull’economia mondiale, proprio a causa della crisi dell’euro: il 25 gennaio l’Fmi rivedrà al ribasso le previsioni di crescita per il 2012 (oggi ancora al 4%). Lagarde si è anche rivolta agli emergenti, chiedendo che rispettino il vangelo dell’Fmi: abbonandono del protezionismo e rispetto delle regole del gioco internazionale.
Sarkozy, candidato ancora ufficioso alla propria successione, vuole cambiare queste regole. Il suo «consigliere speciale», Henri Guaino, ha affermato che la Francia approverà, anche da sola, «per mostrare l’esempio», la tassa sulle transazioni finanziarie nel giro di due mesi. Naturalmente, non si sa nulla sull’entità della tassa (la Commissione, a settembre, aveva proposto 0,1% sulle azioni e 0,05 sulle obbligazioni) né su altri dettagli: Sarkozy ama i coups de théâtre, in genere senza seguito reale, soprattutto a ridosso di elezioni. Gran Bretagna e Svezia sono contro, Londra per timore di ledere la City, Stoccolma perché ha alle spalle un’esperienza giudicata negativa quando aveva imposto da sola tassa negli anni ’90. Ma, per Parigi, Berlino è d’accordo, come l’Italia che «non si oppone», secondo Jean Leonetti, ministro degli affari europei. Dalla Germania però frenano. Ieri, Steffen Seibert, portavoce del governo Merkel, ha precisato che «la posizione della Germania è immutata: l’obiettivo è arrivare all’instaurazione della tassa sulle transazioni finanziarie nell’Unione europea» e non in soli due-tre paesi. La Danimarca, che ha la presidenza a rotazione del Consiglio Ue fino a giugno, afferma di voler «accelerare i lavori» e Algirdas Semeta, commissario alla fiscalità, «incoraggia» gli stati «a collaborare con la presidenza danese».

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Monti tende la mano a Francia e Germania

A rischio«La crisi ha evidenziato le debolezze dell’Europa: il rischio principale della crisi è quello della nascita di incomprensioni tra i popoli degli Stati» Il presidente del Consiglio inaugura la maratona europa per riportare l’Italia sui binari della collaborazione con gli altri paesi, dopo il lungo tunnel del berlusconismo

PARIGI
Italia e Francia vanno avanti «mano nella mano» in Europa, hanno dichiarato unanimi il presidente francese Nicolas Sarkozy e il primo ministro italiano Mario Monti, alla conclusione dell’incontro avvenuto ieri nel tardo pomeriggio all’Eliseo. Ma Sarkozy ha preso di sorpresa Monti sulla tassa sulle transazioni finanziarie. Lapidario, il presidente francese ha di nuovo ribadito che la Francia la metterà in atto «anche da sola, se non riusciremo a convincere gli altri partner», anno elettorale oblige per giocare con i coups de théâtre che troppo spesso non sono mai seguiti dalla realizzazione delle promesse. Monti è sulle posizioni tedesche, prudenti. Per Monti, come per la Germania (e la Commissione e la presidenza danese del Consiglio Ue), «è necessario che i vari paesi europei non vadano avanti da soli verso l’applicazione». Gli europei stanno studiando la questione, ma purtroppo la versione europea della Tobin Tax non sarà, come vorrebbe Sarkozy, per l’immediato. Tra Sarkozy e Monti è venuta alla luce una tradizionale differenza di approccio tra i due paesi: la Francia pensa di poter agire indipendentemente dagli altri e sogna di recuperare un ruolo di leader ormai appannato, mentre l’Italia torna all’approccio comunitario, che ha permesso, come ha sottolineato Monti, che gli italiani restino europeisti.
Monti, dopo la tappa di Bruxelles la vigilia, ha inaugurato a Parigi una maratona europea che ha lo scopo di rimettere l’Italia sui binari della collaborazione e del rispetto reciproco con gli altri paesi della Ue, dopo il lungo tunnel del berlusconismo. Il 10 gennaio, sarà a Parigi Terzi di Sant’Agata, su invito del ministro degli esteri Alain Juppé. Monti andrà a Berlino l’11 (Sarkozy ci sarà il 9) e poi il 18 sarà a Londra. In un’intervista a Le Figaro, il primo ministro italiano aveva suggerito di «non aver paura» dell’Italia e della sua situazione economica. A Parigi, Monti ha ricevuto i complimenti per la cura di austerità imposta agli italiani.
L’Italia non ha risparmiato ieri delle critiche all’Europa. Per Monti, la «crisi ha evidenziato le debolezze europee», che non dipendono dallo stato delle finanze pubbliche prese complessivamente («Usa, Gran Bretagna e Giappone hanno un debito pubblico più pronunciato»), ma dagli «squilibri al suo interno». Come già il ministro dello sviluppo Corrado Passera, anche lui a Parigi per partecipare a un convegno sul «Nuovo mondo» organizzato dal ministro dell’industria Eric Besson, anche Monti ha affrontato la questione politica che rischia, ancor peggio dell’economia, di trascinare l’Unione europea nel baratro: le derive populiste e il «rischio di nascita e sviluppo di incomprensioni di fondo tra stati membri». Monti ha sottolineato che «dobbiamo evitare che quello che era nato per unire l’Europa diventi fattore di divisione». Anche il primo ministro francese, François Fillon, ha insistito sul fatto che adesso deve arrivare l’ora dei piani per la crescita. «L’Europa si è dimostrata più debole di quanto pensassimo che fosse – ha affermato Monti – e questo in particolare per le difficoltà a far fronte alla crisi che non riguarda l’euro ma aspetti finanziari e di bilancio pubblico di alcuni paesi». Passera ha aggiunto che adesso «l’Europa deve dare risposte alle aspettative e debbiamo ammettere che la via seguita per gestire la crisi è stata deludente»: bisogna cioè fare in fretta, rilanciare l’economia. Il governo italiano parla di «maggiore coordinamento europeo», di innovazione, di maggiore competitività. E anche di una Banca centrale «con risorse e strumenti necessari per affrontare la stabilità e la liquidità dei mercati finanziari». Questo sarà l’oggetto della discussione nella tappa di Berlino, viste le resistenze tedesche sul ruolo attivo della Bce.
da “il manifesto”
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da Il Sole 24 Ore

Le risorse ci sono, l’Europa le usi

I grandi imperi raramente soccombono agli attacchi esterni. Spesso però si sgretolano sotto il peso del dissenso interno. Tale vulnerabilità sembra valere anche per l’Eurozona. I principali indicatori macroeconomici non suggeriscono alcun problema per l’Eurozona nel suo complesso.

di Daniel Gros

Al contrario, l’area presenta una bilancia delle partite correnti in equilibrio, ossia dispone di sufficienti risorse per risolvere i problemi legati ai conti pubblici. In tal senso, l’Eurozona regge bene il confronto con altre vaste aree valutarie, come gli Stati Uniti o il Regno Unito, che incorrono in deficit esterni e quindi hanno bisogno di continui afflussi di capitale.

Anche in termini di politica fiscale, l’Eurozona è complessivamente solida. Registra infatti un deficit fiscale di gran lunga inferiore agli Usa (4% del Pil rispetto al 10%).

La svalutazione della moneta è un altro segno di debolezza che spesso precede il declino e il crollo. Ma anche questo caso non riguarda l’Eurozona, dove il tasso di inflazione resta basso – e inferiore a quello di Usa e Regno Unito. Inoltre, non sussiste alcun pericolo significativo di incremento, dal momento che le richieste salariali restano deboli e la Bce affronterà una pressione non esagerata per finanziare i deficit, che sono bassi e destinati a scomparire nei prossimi anni. Rifinanziare il debito pubblico non è inflazionistico, poiché non crea alcun nuovo potere di acquisto. La Bce rappresenta in buona sostanza la “controparte centrale” tra i risparmiatori tedeschi avversi al rischio e il Governo italiano.

Si è scritto molto sulla lenta crescita dell’Europa, ma i dati non sono affatto negativi. Nell’ultimo decennio la crescita pro capite negli Usa e nell’Eurozona è rimasta praticamente la stessa. Considerata questa relativa consistenza dei fondamentali europei, è troppo presto per demolire l’euro. D’altra parte, la crisi va di male in peggio, dal momento che i policy maker europei sembrano inesorabilmente propensi a mandare in frantumi le cose. Il problema interessa la distribuzione interna di risparmi e investimenti finanziari: sebbene l’Eurozona disponga di sufficienti risparmi per finanziare tutti i deficit, alcuni Paesi avanzano con difficoltà, perché i risparmi non si muovono agevolmente all’interno dei confini. Si evidenzia un eccesso di risparmi a nord delle Alpi, ma i risparmiatori del Nord Europa non intendono finanziare i Paesi del Sud come Italia, Spagna e Grecia. È per questo motivo che i premi di rischio sul debito dell’Italia e di altri Paesi restano a 450-500 punti base, e allo stesso tempo il Governo tedesco può emettere titoli a breve scadenza a tassi praticamente pari a zero. La riluttanza dei risparmiatori del Nord Europa di investire nella periferia dell’euro è alla base del problema.

Allora, come andrà finire lo “sciopero degli investitori” del Nord Europa? I tedeschi sembrano convinti che i mercati finanziari finanzieranno l’Italia con tassi accettabili se e quando le sue politiche saranno credibili. Se i costi di indebitamento dell’Italia resteranno esageratamente alti, l’unica soluzione sarà metterci maggiore impegno. La posizione italiana potrebbe essere riassunta nel modo seguente: «Stiamo cercando, per quanto umanamente possibile, di eliminare il nostro deficit, ma abbiamo un problema di rinnovo del debito alla scadenza». Il Governo tedesco potrebbe, naturalmente, occuparsi del problema se fosse disposto a garantire tutti i debiti di Italia, Spagna e degli altri Paesi, ma è comprensibilmente restio ad assumersi un rischio di tale portata – anche se ovviamente si sta prendendo il grande rischio di non garantire il debito dei Governi del Sud Europa. La Bce potrebbe risolvere il problema agendo da compratore di ultima istanza per tutti i debiti sfuggiti ai mercati finanziari. Anch’essa, però, è naturalmente restia ad assumersi il rischio – ed è questo stallo ad aver innervosito i mercati e messo in pericolo l’applicabilità dell’euro.

Gestire un onere debitorio gravoso è sempre stata una delle sfide più ardue per i policy maker. Nell’antichità, i conflitti tra creditori e debitori spesso si rivelavano violenti, dal momento che l’alternativa alla cancellazione del debito era la schiavitù. Nell’Europa di oggi, il conflitto tra creditori e debitori assume una forma più civilizzata, visibile solo nelle risoluzioni del Consiglio europeo e nelle discussioni interne della Bce. Ma resta un conflitto irrisolto. L’eventuale fallimento dell’euro non sarà dovuto all’impossibilità di trovare una soluzione, bensì ai policy maker che non hanno fatto il possibile per evitarlo. La sopravvivenza a lungo termine dell’euro richiede un corretto mix tra correzioni da parte dei debitori, cancellazione del debito laddove questo non sia eccessivo, e finanziamenti ponte per convincere i nervosi mercati finanziari che i debitori avranno il tempo necessario affinché l’aggiustamento funzioni. Le risorse sono tutte lì. L’Europa ha solo bisogno della volontà politica per mobilitarle.

(Traduzione di Simona Polverino)

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