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Monti preoccupato per il “rigore” tedesco. E’ recessivo

Pubblichiamo anche noi questa intervista apparsa oggi sul Die Welt e tradotta da Corriere della sera.

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Il nuovo trattato fiscale Ue:

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Monti avverte l’Europa e la Germania: Italia sta facendo la sua parte, ora tocca a voi

Die Welt: Presidente, il suo lavoro principale, che Lei vuole tornare a fare, è quello di economista. Che ne pensa il professor Monti dell’attuale crisi finanziaria e della crisi dell’euro?

«Mario Monti: Posso solo dirle ciò che il professor Monti dice da tempo. Soprattutto: non c’è nessuna crisi dell’euro. L’euro è ancora molto forte – specie grazie alla Banca centrale europea e alla sua indipendenza. Certo, anche l’euro ha i suoi alti e bassi, ma nel complesso è una valuta straordinariamente stabile. Ovviamente in molti Stati dell’Eurozona c’è una crisi finanziaria, legata al loro indebitamento, alto e grave a seconda degli Stati, lo sappiamo bene. E una delle grandi sfide dei prossimi mesi consiste nel trovare un percorso per governare e guidare bene un Europa con tali squilibri».

Cosa c’entra la crisi con l’Europa?
«Occorre comprendere che questa crisi non è la conseguenza di un difetto del modello europeo, bensì deriva dagli Usa. In Europa questa crisi – e ciò è parte della nostra storia di successo – non avrebbe mai potuto succedere. L’Europa è virtualmente in un’ottima posizione. Dobbiamo comprenderlo e accettarlo».

Oggi è il suo 57 giorno di lavoro come Presidente del Consiglio. Professore, ha sottovalutato la montagna di problemi?
«Non credo. Conosco certamente la mia Italia. Mi è sempre stato chiaro che il nostro Paese ha gravi problemi da risolvere. Ma so anche che questi problemi sono risolvibili. E questi 57 giorni hanno consolidato la mia convinzione che questi problemi siano risolvibili – l’Italia non è così refrattaria alle riforme, come forse si ritiene altrove».

E gli italiani appoggiano il Suo doloroso programma di riforme?
«E come! La grande maggioranza degli italiani ha una maturità politica che molti non gli avrebbero accreditato. Lo dico volentieri ai lettori tedeschi: gli italiani da tempo non sono distanti dalla valorizzazione di ciò che in Germania chiamate cultura della stabilità, come molti sospettano. Il mio Governo ha presentato agli italiani in poco tempo una quantità di decisioni – senza lunghi processi e riti, che ad oggi non erano usuali. E’ stato anche più veloce della maggior parte dei provvedimenti in Germania, che pure sono lunghi e pieni di istanze –da voi si consultano sempre tutti i possibili gruppi di interesse e le parti sociali».

Cosa ha fatto precisamente?
«Solo 16 giorni dopo il giuramento del mio Governo abbiamo elaborato una legge sostenuta in Parlamento dalla maggioranza, che prevede forti misure per il consolidamento del bilancio. La legge è entrata in vigore il primo gennaio. Le racconto un simpatico aneddoto: recentemente a Parigi ho incontrato il primo ministro Fillon e poi il presidente Sarkozy. Fillon mi ha detto: “Vedo che ha avviato una riforma delle pensioni su misura”. Poi mi ha chiesto: è una proposta del suo governo o solo un progetto? Perchè il Presidente Sarkozy mi ha riferito: “sì sì, gli italiani avviano tutto il possibile – ma poi non lo deliberano“. Al che ho potuto replicare secco: “No, no, non è un progetto, è una legge già entrata in vigore”. E si immagini che contro questa dolorosa legge c’è appena stato uno sciopero dei sindacati di 3 ore. Questa è una prova straordinaria di maturità degli italiani».

E come fa a far passare in parlamento questo programma così rivoluzionario per l’Italia?
«Di fatto al momento in Italia c’è qualcosa di simile – non potrei dirlo, dato che in Italia non è ben vista come parola – a una grande coalizione. In Italia ci sono tre partiti e gruppi politici rilevanti, che portano avanti lotte straordinariamente violente. Non si parlano neanche tra di loro. Ma tutti e tre appoggiano i provvedimenti impopolari decisi dal mio Governo. E’ quasi un miracolo!»

E gli italiani sostengono la sua dolorosa politica di risparmio?
«I sondaggi indicano chiaramente che questo insolito Governo, che non conta su benedizioni, ha sperimentato un sostegno dei cittadini straordinariamente forte. Sebbene niente di ciò che facciamo sia piacevole, i cittadini sono interessati alla serietà e alla verità – poi sono pronti a fare sacrifici».

Lei chiede sacrifici all’Italia perchè costretto dall’Unione Europea?
«Assolutamente no. Non ho mai detto agli italiani che questi sacrifici siano necessari perchè li vuole l’unione Europea. Piuttosto ho detto loro che dobbiamo realizzare queste riforme per tutt’altro motivo: nell’interesse delle nostre figlie e figli, nell’interesse delle nostre e nostri nipoti. Non si tratta del nostro benessere, si tratta del futuro degli italiani. Facciamo queste riforme volontariamente non costretti dall’esterno. E anche i cittadini la vedono chiaramente così».

Suona armonioso. C’è però un problema: Lei dirige un governo tecnico, che vuole fare riforme al di là delle linee di partito. Poiché Lei è stato eletto, dipende però da un parlamento comunque responsabile della miseria dell’Italia. Ritiene davvero di poter ottenere sostegno affidabile dalle fila di questo parlamento?
«Ci troviamo in una situazione strana ma molto interessante. E’ vero, a questo Governo potrebbe essere revocata in qualunque momento la fiducia dei deputati».

La Lega Nord è all’opposizione!
«Vero. Nondimeno attualmente disponiamo di una maggioranza, che nessun parlamento del dopoguerra ha mai avuto. Non condivido la sua affermazione per cui i partiti rappresentati in parlamento sarebbero responsabili della miseria dell’Italia. Constato invece che nella loro maggioranza – da sinistra a destra – appoggiano il mio programma, un programma che chiede agli italiani sacrifici significativi. Si potrebbe pensare che questi partiti – come la Lega – vadano all’opposizione del mio Governo nella speranza di elezioni. Ma non lo fanno per questo. In questo vedo un segnale che alla fine si prendono la responsabilità e non mirano a successi populistici. Hanno in mente – scusi la parola grossa – il bene degli italiani».

Come avviene questa svolta sorprendente?
«Oggi in Italia c’è una crepa estremamente profonda tra il mondo politico e l’opinione popolare. Quando ho presentato in parlamento il mio programma di governo ho detto – amichevolmente- : “Vogliamo guadagnare la fiducia dei deputati. Il vostro compito però, ho detto, sarà quello di riconquistare la fiducia dei cittadini. Dovete dimostrare di anteporre l’interesse nazionale a quello dei vostri partiti”. Sono convinto che i rischi per il mio Governo non vengano dall’Italia».

Da dove dunque?
Dall’Europa

Oplà. Pensavo che i problemi dell’Italia fossero made in Italy.
«Quanto proponiamo e chiediamo agli italiani sono pesanti sacrifici. Sono necessari per avviare le riforme che conducono a una nuova e maggiore crescita. Per questo sono necessarie le liberalizzazioni del mercato del lavoro che richiederanno i sacrifici di molti cittadini. Gli italiani, come indicano i sondaggi, lo hanno chiaramente accettato. Il problema è però che l’Unione Europea, malgrado questi sacrifici, non ci viene incontro, in termini di una riduzione del tasso di interesse. I sacrifici fatti dagli italiani pagheranno in tre, cinque, dieci anni, per i nostri figli. E purtroppo constatiamo che questa politica in Europa non gode del riconoscimento e apprezzamento che le spetta obiettivamente. Se gli italiani nel prossimo futuro non vedranno i risultati della loro disponibilità per le riforme e il risparmio, sorgerà –come già si profila – una protesta contro l’Europa e anche contro la Germania quale promotore dell’intolleranza Ue, e contro la Banca Centrale. Chiedo agli italiani sacrifici onerosi – ma li posso chiedere se si profilano dei vantaggi».

Questi vantaggi potrebbero farsi attendere. Il Suo Governo è in una posizione difficile: è condannato al successo, gli italiani lo vogliono. Se però Lei avrà successo sarà molto doloroso a causa di tali sacrifici.
«Non vedrei nessun successo del mio Governo nel fatto che gli italiani accettino la necessità di sacrifici. Attaccheremo gli albi, le corporazioni il mercato del lavoro incrostato. Ma lo posso vendere ai cittadini, che ne soffriranno, se porta a una nuova crescita. Ma non posso avere successo con la mia politica se non cambia la politica dell’Unione Europea. E se non succede, l’Italia – che è sempre stata molto filoeuropea – potrebbe rifugiarsi nelle braccia dei populisti».

Oggi l’Ue è condotta dall’asse Berlino-Parigi. Dal punto di vista dei rapporti di potere, è bene che sia così? Oppure deve cambiare qualcosa in questo dominio germano-gallico?
«La buona cooperazione del tandem franco-tedesco, che oggi è un tandem tedesco-francese, è un presupposto necessario per il futuro dell’Europa. Ma questo non basta, tanto meno in un’Europa dei 27. Credo che questo lo sappiano anche a Berlino e a Parigi. Credo che tutta l’Europa benefici dell’armonia tedesco-francese».

Da cui il resto dell’Europa è escluso. Questo dovrebbe essere un buon equilibrio?
«Se Germania e Francia svolgessero un ruolo di impulso, allora andrebbe anche bene, perché in tal caso ne beneficerebbe l’intera Europa. Allora però, come in passato, entrambi i paesi dovrebbero comportarsi in modo da coinvolgere e non da escludere altri Stati. Il rischio è che si verifichi proprio la seconda ipotesi. Certamente, i due Stati che guidano l’Europa non dovrebbero essere troppo autoritari. Infatti, qual è stato il peggior errore nell’UE negli ultimi dieci anni? Era il 2003 quando Germania e Francia non rispettarono i criteri di Maastricht: è stato un errore enorme! Quindi, i due paesi non dovrebbero scandalizzarsi più di tanto. Pertanto ho ritenuto positivo il fatto di ricevere l’invito da parte della signora Merkel e del signor Sarkozy a partecipare ad un nuovo dialogo sistematico. Un’Europa bipolare sarebbe in realtà una cattiva Europa. I due farebbero un grave errore se pensassero di poter dominare da soli l’Europa. L’Europa deve avere più centri. E l’Italia è uno di questi».

Ma devo essere più chiaro: l’Italia vuole e deve tornare ad essere un attore centrale nell’Ue?
«In effetti è quello che vogliamo. E ritengo che molti in Europa siano dell’opinione che l’Italia oggi in Europa non svolga il ruolo che le spetta veramente. Siamo un paese forte e orgoglioso, ed abbiamo un’economia essenzialmente efficiente. Abbiamo sempre avuto un rapporto di rispetto reciproco con la signora Merkel, ho sempre avuto un rapporto straordinario con il suo Ministro delle finanze Schäuble. Deve sapere che io ho sempre lavorato per un’Italia che somigliasse il più possibile alla Germania. Ho sempre voluto un’Europa della concorrenza, che si impegnasse il più possibile per l’idea di un’economia di mercato sociale, che proviene da Ludwig Erhard. Come vede, sento molto il tedesco. Premesso ciò, dico: l’Italia può svolgere e svolgerà un ruolo maggiore in Europa».

Lei ha detto di pretendere dalla grande Germania maggior rispetto di fronte alle istituzioni dell’Ue. Cosa intende dire?
«Prendiamo l’esempio del famoso incontro di Deauville tra la signora Merkel e il signor Sarkozy. Sicuramente è stato creativo. Ma ciò che è stato discusso in quell’occasione non è stato assolutamente applicato conformemente alle regole dell’Ue. È stata un’azione individualista e non coerente. Di fondamentale importanza per l’Europa è l’assoluto rispetto delle regole. E ciò vale in particolare proprio per i Paesi più forti. Se i Paesi più forti violano le regole – come ha fatto la Germania nel 2003 – poi non ci si può aspettare che gli altri le rispettino. I Paesi più forti hanno una grande responsabilità. In Europa non l’hanno sempre rispettata fino ad ora. E questo lo rivendicheremo».

Quali sono i temi di cui oggi vuole discutere in occasione della sua visita a Berlino nell’incontro con la cancelliera Merkel?
«Desidero informarla dettagliatamente sul complesso e doloroso piano di riforma che in Italia non stiamo discutendo, ma che abbiamo già approvato. E desidero inoltre informarla anche in merito alle decisioni che il mio governo adotterà nelle prossime settimane. Desidero informarla in merito allo stato della nostra preparazione alle riforme. Voglio dimostrarle quanto siamo consapevoli che la disciplina di bilancio è assolutamente imprescindibile. Desidero presentarle un’Italia consapevole e orgogliosa».

Quindi si tratta solo di informazioni relative ai progressi dell’Italia?
«Assolutamente no. Vorrei discutere con lei in merito alle iniziative dei nostri tre Paesi per stimolare la crescita. Infatti, sappiamo perfettamente che se in Europa solo pochi Paesi possono registrare una crescita significativa, non sarebbe sufficiente».

Lei è a favore degli eurobond, mentre la cancelliera Merkel è a sfavore. Cambierà la sua opinione a breve o lungo termine?
«Questa questione non sarà al centro dei nostri colloqui».

Ma sicuramente sarà un tema centrale nei suoi colloqui con lei ed altri nelle prossime settimane e mesi.
«Ha ragione. Gli eurobond non possono però rappresentare uno strumento per aggirare o scardinare la disciplina di bilancio».

Per tornare alla politica interna italiana: uno dei tanti problemi del suo Paese sono gli stipendi estremamente elevati dei parlamentari. Il direttore degli stenografi del Parlamento italiano guadagna all’anno poco meno del Re di Spagna. Come intende tagliare questi privilegi?
«Un momento, lo stenografo non è un deputato, ma un impiegato…»

…lo so. Ho fatto solo un esempio che dimostra che l’apparato politico in Italia è troppo costoso.
«È vero. Le spese per i parlamentari in Italia, come in altri Stati europei, vengono stabilite dal Parlamento. Il governo ha solo un’influenza limitata su tale argomento. Affronteremo questo tema. Lo Stato e l’amministrazione pubblica d’ora in poi dovranno moderarsi – ma anche adottare le giuste misure affinché in futuro i cittadini con una buona formazione e grande talento siano pronti ad entrare nell’amministrazione pubblica. E questo ha un costo. Ma è vero, dovremo risparmiare anche in questo ambito. Io in tal senso, ho dato il mio piccolo contributo rinunciando al mio stipendio come presidente del Consiglio. A parte gli scherzi: so bene che è solo una goccia nell’oceano».

Come intende lottare contro uno dei problemi principali dell’Italia, la corruzione, la mafia?
«La corruzione non è un problema esclusivamente italiano – anche se è vero che da noi rappresenta un problema particolarmente grave. Sono convinto che il miglior modo per lottare contro la corruzione e favorire la concorrenza. La corruzione attecchisce laddove ci sono monopoli e manca la concorrenza. Maggiore è la concorrenza, meno spazio c’è per la corruzione. Più seguiamo gli standard europei in modo coerente nell’assegnazione degli appalti, più riduciamo il raggio d’azione della corruzione».

Parte di questo problema complesso è anche la spaventosa evasione fiscale in Italia.
In effetti. Per combatterla abbiamo adottato provvedimenti anche contro forti resistenze dell’opposizione – come Silvio Berlusconi, che vede in questo la creazione di un regime illegittimo di controllo. Ma io rispondo: innanzitutto si tratta di impedire la corruzione – e il miglior modo per farlo è rafforzare la concorrenza. Ma questo di per sé non è ancora sufficiente. In questo paese dobbiamo promuovere e creare un senso più profondo di cittadinanza. I cittadini devono diventare consapevoli, ognuno per sé, della propria responsabilità per la collettività. Anche questo sarebbe un contributo alla promozione di concorrenza, trasparenza e coesione della società».

Di recente ha dichiarato che il Suo governo è “un governo strano”. Come mai?
«Sì, in effetti è strano. Già solo per il fatto che per come è nato, è composto e per i suoi obiettivi è diverso da tutti gli altri governi del dopoguerra. Tutti i membri del governo, escluso me, non si sono candidati per un mandato, nessuno di noi è stato eletto. Al tempo stesso, in Parlamento abbiamo un sostegno così ampio come nessun altro governo in passato. Nessuno dei partiti rappresentati in Parlamento può dire però che questo Governo favorisca i loro interessi specifici. Tutto ciò non è abbastanza strano? E infine: le assicuro che non sono e non sarei mai pronto a far parte di un governo che non sia strano».

Però Lei governa con il sostegno del Parlamento. Ma poiché nessuno dei partiti rappresentati in Parlamento è rappresentato nel suo governo, Lei governa in un certo senso accanto al Parlamento.
«No, assolutamente. Molti parlamentari mi hanno detto: il suo governo riconosce il lavoro di noi deputati molto più di precedenti governi, Lei valorizza molto di più il nostro lavoro. Infatti, ora non sono più i partiti che decidono sulle singole leggi per il vincolo di voto del gruppo parlamentare. Il governo – legge dopo legge – deve cercare il consenso del Parlamento. Ciò conferisce ai deputati una competenza decisionale molto maggiore, però, ognuno per sé – si assume maggiore responsabilità. Non sono più vincolati così fortemente come in passato alla disciplina di partito. Si rendono conto che è impossibile una svalutazione del Parlamento».

Il suo governo, come ha dichiarato, non si occuperà in nessun caso della riforma della legge elettorale. Non capisco perché. Perché proprio la legge elettorale esistente è responsabile delle difficoltà politiche che Lei ora, come governo di emergenza, deve affrontare. Per ottenere risultati stabili, dovrebbe riformare il prima possibile la legge elettorale.
«Per rispondere in modo ironico: dobbiamo lasciare ancora qualcosa da fare ai partiti. Ammetto che non è affatto una risposta seria. La questione della legge elettorale è di importanza così fondamentale che non vedo come proprio questo governo tecnico, dichiaratamente non politico, possa contribuire ad una soluzione. Naturalmente potremmo anche elaborare una proposta – tuttavia non possediamo certamente qualifiche migliori a questo scopo rispetto a quelle dei partiti esistenti. Noi siamo al governo per risolvere problemi economici e di politica finanziaria estremamente urgenti, siamo al governo per dare uno slancio di liberalizzazione alle strutture incrostate del mercato del lavoro italiano e per abolire a diversi livelli vecchi privilegi, o almeno mitigarli. Questo possiamo fare – spero meglio dei partiti».

Lei ha detto che vuole restare presidente del Consiglio solo fino alle elezioni parlamentari del 2013. Forse ci ha preso gusto e immagina di governare ancora anche dopo?
«Assolutamente no. Non sono un politico e nemmeno voglio diventarlo. Adempio a questo compito. Dopodiché mi dedicherò di nuovo alle cose per me più importanti».

Nel mezzo della seconda guerra mondiale, Altiero Spinelli, insieme ad altri, ha steso un manifesto per un’Europa unita a Ventotene, l’isola degli esiliati. E dopo la guerra, gli italiani erano da tempo europeisti entusiasti. Tutto ciò fa parte del passato. Che fine ha fatto l’utopia di Ventotene?
«Un anno fa è stato fondato il gruppo Spinelli che si batte esattamente per il rilancio di questo spirito. Io ne faccio parte. Tuttavia, che non si parli più tanto di questa utopia ha a che fare col fatto che per lo più è diventata da tempo una realtà. Esiste l’Unione europea – ma manca ancora una struttura politica solida. Ma realizzarla non è più una questione di utopia».

Questa struttura di cui parla porterebbe alla nascita degli Stati Uniti d’Europa?
«Sono convinto che non avremo mai gli Stati Uniti d’Europa. Già solo per il fatto che non ne abbiamo bisogno. La sussidiarietà è il grande tema dell’Europa, e questo vale in due direzioni. Certi compiti che prima erano di competenza nazionale, devono essere trasferiti alla Comunità europea, e in parte è già accaduto. Ciò che in tal senso non ha perso nulla, deve restare agli Stati nazionali o addirittura essere trasferito ad unità più profonde».

In Italia, come in Germania, i cittadini hanno creduto per lungo tempo nell’Europa unita, poiché si contrapponeva chiaramente con il periodo delle guerre e delle distruzioni che li precedeva. Ai giovani questo non basta più come giustificazione dell’Ue. L’Europa ha bisogno di una nuova lettura?
«Sì. Non può più essere solo una questione di guerra e pace, anche se io ritengo che senza il processo di riunificazione europea non sarebbe stato possibile escludere conflitti e guerre. Oggi si tratta soprattutto di questioni relative all’identità e al benessere. Per essere chiari: l’Unione europea è l’unica risposta pensabile e solida ai problemi che pone la globalizzazione. Non esiste un Paese in Europa che sarebbe in grado di gestire le sfide della globalizzazione da solo – nemmeno la Germania».

Come giudica il ruolo della Germania in Europa? Cosa pensa della Germania?
«Amo molto la Germania. Soprattutto per le sue enormi conquiste, per la sua economia di mercato sociale. È un modello straordinario. La Germania lo ha sviluppato e poi lo ha esportato in Europa, e questo in tre tappe: i Trattati di Roma del 1957, il Trattato di Maastricht e poi il Trattato di Lisbona. La Germania è il paese che ha dato di più all’Europa – cioè un modello di società funzionante e ben equilibrato».

Nella lunga era di Berlusconi l’Italia è stato un paese fortemente e inconciliabilmente diviso dal punto di vista ideologico. Il Suo Governo adesso realizzerà la riunificazione e la riconciliazione dell’Italia?
«Al momento in Italia prevale un senso di unità che è forte come non lo era da tempo. Il mio governo, come ho detto, gode della più ampia maggioranza parlamentare mai avuta nella storia di questa Repubblica. I talk show in televisione iniziano già a lamentarsi che non riescono più ad organizzare dibattiti che vengano condotti nello spirito dell’acerrima rivalità. Se vogliamo abbiamo riunito un po’ l’Italia. Ma resta però il fatto che la politica divide anche. Il mio ideale sarebbe quello di trovare una politica in cui naturalmente esistono dei contrasti di cui si deve anche discutere. Ma anche – e questa sarebbe una cosa nuova – un forte senso del bene comune per gli interessi comuni. Spero davvero che l’Italia, dopo le elezioni del 2013 ritrovi una normale dialettica politica – e uno stile politico che sia moderato e senza immagini di nemici.
(traduzione di Ettore Claudio Iannelli e Carola Norcia)

Thomas Schmid

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