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Liberazione. Ferrero e Il cdr, prime distinzioni

Non siamo intervenuti finora sulla vertenza di Liberazione – ormai ferma tre settimane – perché non ci piace inzigare nelle contraddizioni tra compagni, anche se diversi da noi.

Le ultime vicende però ci obbligano a dar conto di una vertenza per molti versi paradossale, che non può essere affrontata usando le “categorie” come se fossero applicabili sempre uguali in ogni situazione.

La prima contraddizione. Un giornali di partito è un genere molto particolare di “impresa”. Sul piano giuridico, è obbligatorio costituire una “società”, con tanto di definizione della “proprietà” (cooperativa, srl, spa, ecc). Il giornale di un partito comunista (al di là delle sempre possibilii discussioni sulla “linea” o sulla fedeltà ideologica ad alcuni schemi) è obbligato a una doppia contraddizione, dunque: ha “un padrone” (il partito) che si batte per l’abolizione della propietà privata nel mentre esercita tutti i diritti della proprietà.

Seconda contraddizione, i “dipendenti” dovrebbero essere persone che laicamente condividono la stessa impostazione, con differenze necessarie e feconde che si dipanano però su un arco non infinito di possibilità (sarebbe davvero strano un “redattore comunista” appassionato frequentatore di Casapound o dei concerti di Vattani jr, per esempio). Ma – i giornalisti – hanno la qualifica di “professionisti” che li pone, al tempo stesso, dentro una “casta corporativa” mentre la loro attività dovrebbe essere mirare al superamento delle differenze di mestiere o di classe.

Se, com’è accaduto, il “padrone comunista” non ha più i soldi per mantenere aperto un giornale (complici le vendite estremamente basse – una media intorno alle 4.000 copie dà un fatturato che potrebbe essere adeguato a un giornale con appena 4-6 dipendenti – e lo stato elimina di fatto i contributi per l’editoria, mentre già sono venuti meno i contributi riservati ai partiti fuori dal Parlamento, non sembra ci siano molte alternative alla chiusura.

Questo apre naturalmente un serio problema occupazionale, di cui va investito intanto il soggetto che ha dato la mazzata decisiva contro un’attività comunque in perdita gestionaria: il governo (quello precedente e quello attuale).

E lascia aperto il problema dello strumento di informazione e comunicazione di un soggetto politico che aspira legittimamente a tornare protagonista della scena politica. Sappiamo di cosa si sta parlando, visto che siamo una testata per quanto piccola, e sappiamo bene che in queste condizioni si riesce a far qualcosa con pochi soldi solo grazie a una grande sforzo militante, senza guardare troppo agli orari o ai ritorni economici individuali.

La redazione giornalistica di Liberazione, dicevamo, è però composta di “professionisti”, quasi tutti assunti durante le gestioni precedenti (quando Rifondazione era signoreggiata da Fausto Bertinotti), regolarmente contrattualizzati secondo il contratto Fnsi. Costano molto, insomma, e un partito diventato povero non può rinunciare a qualunque altra attività solo per far vivere un giornale che pochi leggono. Lo capiamo bene.

La reazione del cdr, per come consegnata di recente alla stampa, è però segnata – ci sembra – anche da una volontà di contrapposizione politica con il gruppo dirigente che gestisce il partito (e quindi anche il giornale) dopo il congresso di Chianciano (nel 2008). Il piano sindacale e quello politico, insomma, si sono sovrapposti in modo alquanto inestricabile.

L’accusa al Prc di voler usare i soldi del contributo pubblico “per altri scopi”, diversi dal fare il giornale, è infatti politica, non sindacale. In primo luogo perché quei soldi – come a tutte le altre testate di partito o cooperative – non sono ancora arrivati. In secondo, e peggio, perché evidenzia una contrapposizione esistenziale tra cdr (e  redattori che l’hanno eletto) ed “editore”. Portata alle conclusioni logiche, infatti, la richiesta “sindacale” presuppone che l’editore (il partito politico, con tutte le sue migliaia di iscritti) sacrifichi tutto quel che ha ancora pur di mantenere una testata con un’organico sovradimensionato.

Se stiamo allo stretto piano economico-sindacale, dunque, la crisi di Liberazione è una delle migliaia che in questi mesi sta attraversando l’Italia. E può essere affrontata con gli stessi strumenti (ammortizzatori sociali) che le leggi di questo paese mettono a disposizione. Sul piano politico, detto da militanti, troviamo bizzarra l’idea che un partito chiuda per mantenere aperto un giornale in contraddizione con il partito stesso.

Riportiamo perciò la replica di Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione e dunque suo malgrado nelle vesti di “padrone”; nonché il robusto distinguo di quella parte di giornalisti di Liberazione che, ci sembra, non accettano questo slittamento dalla vertenza sindacale alla contrapposizione politica.

Augurandoci dunque, che si possa discutere di informazione “di sinistra”, utile e/o indispensabile a un movimento di classe in chiara difficoltà, senza i fantasmi ideologici del “professionismo”. Che, se non andiamo errati, è quella posizione che implica la “disponibilità sul mercato”; ovvero la disposizione d’animo a lavorare per chiunque. Ma i giornali, come sappiamo anche noi, non sono fabbriche di detersivi. E ci verrebbe un brivido per la schiena a essere considerati “penne in vendita”.

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Liberazione, la replica di Ferrero alle accuse del Cdr

Pubblichiamo il testo della lettera che il segretario del Prc Paolo Ferrero ha inviato al Corriere della Sera (pubblicata il 21 gennaio) per replicare alle accuse del cdr in merito alla vicenda di Liberazione.

Sul Corriere di ieri in un articolo di Sergio Rizzo si riporta l’accusa del cdr (comitato di redazione) di Liberazione secondo cui vorremmo “usare il denaro di cittadini in modo improprio e scorretto”. Visto che l’accusa è falsa ma molto grave e infamante, vorrei illustrare ai lettori del Corriere come stanno le cose. Nel 2008 Liberazione ha avuto una perdita di esercizio (contributi statali compresi) di oltre 3 milioni di euro e nel 2009 di oltre 1,5 milioni di euro. Nel 2010, grazie al piano di ristrutturazione che abbiamo messo in atto, la perdita sarebbe stata di “soli” 300,000 euro, ma in virtù dei tagli dei contributi decisi dal governo Berlusconi confermati da Monti, la perdita è arrivata a 800.000 euro. Gli ulteriori tagli del governo portano la perdita per il 2011 a 2 milioni di euro. Questo significa che Rifondazione comunista, in 4 anni, ha speso di tasca propria, per tenere in vita Liberazione, oltre 7 milioni di euro. Una enormità. Noi non siamo in nessun modo in grado di proseguire a coprire perdite di 2 milioni all’anno dovute al taglio dei contributi pubblici per il semplice motivo che tutti questi soldi non li abbiamo. Per questo abbiamo chiesto al governo il ripristino del fondo sull’editoria: per salvare l’occupazione, Liberazione e decine di altre testate. Nell’attesa di avere una risposta chiara dal governo abbiamo sospeso le pubblicazioni cartacee continuando a fare il giornale “on line”, che ha costi inferiori. Di fronte all’accusa del cdr di voler utilizzre in modo scorretto i fondi pubblici, ho chiesto all’editore di sospendere anche la pubblicazione del giornale on line fino a quando il governo non definirà in modo chiaro modi e forme del possibile finanziamento. Sentirsi accusare di essere un truffatore dopo aver speso 7 milioni di euro in 4 anni per cercare di mantenere in vita il giornale mi pare un po’ troppo. Poveri sì, truffatori no.
Paolo Ferrero
segretario nazionale di Rifondazione comunista

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Liberazione, il dibattito si articola.
“Abbiamo sprecato troppo tempo, ora rimediamo”

Sulla vicenda di Liberazione, il dibattito si va articolando. Ieri, nel corso di una assemblea nella sede del giornale, quattro giornalisti, e compagni, hanno presentato un documento nel tentativo di meglio precisare il loro punto di vista di fronte a resoconti giornalistici (Corriere della Sera) e divulgazioni varie che non rendono piena giustizia del reale perimetro del confronto interno.

In nessun momento si deve rinunciare a cercare la trattativa sindacale, anche nelle situazioni più estreme. C’è una responsabilità di fronte ai lavoratori, nessuno escluso, si tratti dei lavoratori che approvano la linea sindacale, di quelli che hanno dubbi e persino di quelli che manifestano contrarietà. Come siamo stati convinti che la Mrc avesse l’obbligo morale e materiale di riaprire il tavolo delle trattative, così siamo convinti ora che le rappresentanze sindacali (Cdr, Fnsi) debbano fare il massimo sforzo per tenere in vita una trattativa. Ricapitoliamo quanto accaduto: l’editore e la proprietà affermano di non avere risorse per garantire la pubblicazione del quotidiano e il mantenimento del regime di solidarietà da qui al momento in cui si definirà con chiarezza la normativa sui fondi pubblici per l’editoria. Si può (e si deve) controbattere nel dettaglio alle proposte avanzate dalla Mrc per assicurare una sopravvivenza minima della testata in questo intervallo di tempo (una fase transitoria si spera il più breve possibile). Ma non crediamo che sia realistico dubitare della assoluta mancanza di denaro liquido da parte della proprietà per permettersi di mantenere lo status quo ante primo gennaio 2012 per un periodo temporale indefinito. Non assumere questo dato di realtà a monte di qualunque trattativa e di qualunque piattaforma è un errore. Non ci si può sedere al tavolo di una trattativa con un’analisi della realtà sbagliata, a meno di non volersi intrappolare in richieste e obiettivi irraggiungibili nella situazione data. Bisogna assumersi la responsabilità della linea sindacale dinanzi a tutti i lavoratori, nessuno escluso. E bisogna aver cura dell’unità tra i lavoratori garantendo condizioni dignitose di agibilità nelle assemblee e nell’elaborazione delle piattaforme e dei materiali necessari alle iniziative pubbliche. Tutto ciò non è avvenuto, o è avvenuto a intermittenza, col risultato di minare la coesione tra i lavoratori, la credibilità della vertenza e del prodotto e gettando pesanti ipoteche sulla possibilità di lavorare cooperando.
 Può andar bene in una fase preliminare l’espediente di non dare per scontata la posizione dell’azienda (e, nella fattispecie, l’ipotesi della necessità della cassa integrazione), ma giunti a questo punto bisogna rimettere in discussione la linea. C’è una frase cult nel film di Kassovitz, L’odio: questa è la storia di un uomo che precipita da un palazzo di cinquanta piani e a ogni piano ripete a se stesso “fin qui tutto bene”. Che se ne parli o meno, c’è una richiesta unilaterale dell’azienda di apertura presso la Regione di apertura dei canali di cassa integrazione. E’ meglio continuare a immaginare altri scenari irrealistici e fare finta di nulla oppure trattare condizioni materiali più favorevoli possibili della futura cassa integrazione dei lavoratori? A oggi la distanza tra la proposta di cdr/Fnsi e quella della Mrc riguardo al costo del lavoro ammonta, in termini monetari, a circa 60.000 euro al mese per tutta la durata della fase A. Pensiamo realisticamente che la proprietà sia in possesso di una tale liquidità di capitali? Continuare a insistere su questa richiesta sarebbe fallimentare per due motivi: primo, è irrealizzabile per il fatto che quei soldi nelle casse del partito non ci sono; secondo, perché non ci servirà, purtroppo, a evitare la cassa integrazione, con l’aggravante che alla cassa integrazione ci si arriverà nel peggiore dei modi possibili, senza accordo, senza un paracadute, avendo precluso ogni possibilità di trattare nel merito le condizioni specifiche. A scanso di equivoci: non stiamo incensando la proposta della Mrc. Ma per poterla modificare (e strappare condizioni più favorevoli per i lavoratori) bisogna entrare nel merito, discutere dell’organico necessario a tenere in vita la “fiammella”, aumentare quanto più possibile il numero di giornalisti e poligrafici necessario alla fattura di un prodotto sia pure ai minimi termini. E, ancora, inchiodare l’azienda a definire le soglie di risorse e finanziamenti pubblici necessari a tutti i piani industriali che si possano immaginare nella fase B: quotidiano, settimanale, giornale online, radio-web. Senza fare sconti di nessun tipo. Se si apre una trattativa sindacale nel merito si può ampliare la base rappresentativa e contare su un’unità dell’intera redazione. Ma se invece ci si attesta su obiettivi irrealistici e ci si condanna a stare alla finestra (con la conseguenza di far precipitare tutti i lavoratori verso la cassa integrazione senza nessun tipo di paracadute), riteniamo di doverci dissociare senza ambiguità.
A nostro parere si sono inseriti troppi fronti di discussione in questa vicenda che hanno finito con il distogliere attenzione ed energie dal terreno propriamente sindacale. Anziché costruire una piattaforma di rivendicazioni abbiamo sprecato tanto, troppo tempo, a discutere di questioni al momento inutili e “fuori tema”. Che senso ha, mentre si precipita nella cassa integrazione, (è solo un esempio tra i tanti) spostare le lancette dell’orologio all’indietro nel passato e spacciare per un problema attuale il progetto editoriale-politico con cui l’attuale direttore assunse il suo incarico ben tre anni fa? Inoltre, qual è (stata) l’utilità di una defatigante guerriglia quotidiana tra redazione e direttore per marcare il territorio che ha avuto come esito l’estinzione del giornale in pdf, unico segnale di visibilità? A che scopo impelagarsi in astratte distinzioni tra giornale mainstream (eufemismo) e giornale di lotta? Lasciamo stare la consistenza di tesi che attribuiscono a Rifondazione comunista la responsabilità e il progetto di voler chiudere il giornale, come se non esistessero condizioni oggettive di restringimento delle azioni possibili nella situazione data (non di quelle immaginate). Oltre a questo, c’è da rimanere sconcertati per l’oscillazione e la contraddittorietà delle accuse rivolte all’editore, ritenuto artefice di tutto e del suo contrario. Come si può sostenere un giorno che il Prc intende rinunciare pregiudizialmente e volontariamente ai contributi pubblici e il giorno seguente che il Prc vuole ottenere i finanziamenti con ogni mezzo, a costo di ricorrere alle furbizie truffaldine di un Lavitola qualsiasi? Questo non significa che non siano ammesse critiche al partito, al quale torniamo a chiedere di assumere la battaglia per la libertà di informazione come una delle priorità nell’opposizione al governo Monti, ma semplicemente che le critiche – per essere ricevibili – devono appuntarsi su elementi reali e non caricaturali. Sparare ogni volta contro un obiettivo diverso, ora il partito, ora il direttore, ora l’amministrazione, non produce altro che confusione all’esterno. Chi ci segue e ci osserva dal di fuori non capisce più nulla. La comunità dei militanti è disorientata. Secondo, anziché favorire un atteggiamento coeso della redazione questi giudizi sommari alimentano divisioni tra noi. Non siamo disposti a seguire o assecondare questo atteggiamento. Terzo, proprio nel momento in cui dovremmo essere capaci di produrre il massimo di visibilità e di iniziative esterne per raccogliere contributi, solidarietà e sottoscrizioni, ci rendiamo al contrario artefici di una pubblicità negativa. Non si tratta di occultare la verità, come è stato ribattuto in questi giorni a chi non riusciva a rispecchiarsi nelle condotte di parte dell’assemblea, ma di costruire le condizioni per un futuro senza narcisismi, senza intolleranze, senza discriminazioni. L’immagine che diffondiamo di noi stessi è talmente penosa da bloccare sul nascere campagne a sostegno del giornale. A chi giova? Con tutta franchezza, in questo atteggiamento non vediamo nulla di costruttivo, bensì soltanto una pulsione autodistruttiva che non risparmia nessuno. Neppure coloro che la mettono in atto.
Tonino Bucci, Checchino Antonini, Vittorio Bonanni, Fabio Sebastiani

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L’ultimo comunicato del Cdr

Care lettrici, cari lettori,

ci interroghiamo con angoscia in queste ore per trovare una spiegazione razionale agli ultimi eventi che hanno coinvolto Liberazione e confessiamo di non riuscirci.

Scriviamo tornando dalla manifestazione “Gazebo per il pluralismo”, un presidio in piazza del Pantheon a Roma nato da un’idea scaturita qui, nella nostra assemblea, e animata dalle redazioni di alcuni dei giornali più a rischio (con noi, Terra, manifesto e Unità), affiancate dal sindacato dei giornalisti e dalla Slc Cgil. In una delle più belle piazze romane abbiamo montato piccole tende stile “indignados” spagnoli e abbiamo raccontato come i tagli di Berlusconi e il mancato rifinanziamento di Monti stiano strangolando i nostri e altri cento piccoli giornali indipendenti, insieme al diritto dei cittadini italiani a una informazione non omologata. In quella piazza, dentro quel movimento di cui siamo orgogliosi di essere un punto di riferimento (in cui, lo confessiamo, avremmo voluto vedere al nostro fianco i responsabili della Mrc e i dirigenti di Rifondazione comunista, mentre abbiamo visto un solo compagno del Prc, il segretario della Federazione di Roma, Fabio Alberti, che ringraziamo ancora di cuore) abbiamo provato a spiegare le pessime novità che ci riguardano. E ci è venuta in mente una sola parola: panico.
In questo senso la vicenda del nostro giornale è probabilmente emblematica del baratro in cui l’incertezza della situazione dei finanziamenti all’editoria sta spingendo tanti piccoli editori.

L’impossibilità di programmare il futuro, e i tagli che, se il governo non porrà rimedio subito, sono pari al 70% dei contributi precedenti sono sufficienti a scatenare panico.
E’ in questo quadro che forse dobbiamo guardare alle scelte del nostro editore: scelte che a noi paiono irrazionali, inspiegabilmente controproducenti, autolesioniste. Abbiamo detto suicide, una definizione che ci rendiamo conto possa dispiacere, ma che è difficile sostituire con un eufemismo. Forse avremmo dovuto dire dettate da un’ansia accecante.

La prima di queste scelte è stata quella di interrompere il giornale cartaceo, l’unico che a legislazione vigente ci dà diritto ai finanziamenti, sia pure decurtati.
Per ottenere il finanziamento servono 250 numeri. La draconiana ristrutturazione che già da tempo stiamo affrontando ha imposto l’uscita 5 giorni a settimana: ferma restando questa organizzazione sarebbe stato necessario tornare nelle edicole il 13 gennaio. Lo abbiamo fatto presente con allarme, avendo presentato un piano di emergenza per un giornale ridotto all’osso (4 pagine, costi abbattuti, ricavi aumentati con un aumento di prezzo emergenziale). Ci è stato risposto dal segretario del Partito che se necessario potremmo uscire 6 giorni a settimana, o addirittura 7. Difficile con le presenze dimezzate dal contratto di solidarietà (già ora lavoriamo ruotando in 17 su 8 posti di lavoro giornalistico e in 14 su 9 posti poligrafici), ma non mettiamo limiti alla provvidenza. La prossima data limite per la resurrezione del giornale cartaceo, attestandosi su 6 numeri a settimana (peccato per i maggiori costi di carta tipografia e distribuzione) cade a metà marzo. Ma non ci sono segnali di possibile ripresa delle uscite. E il finanziamento, cui pure abbiamo diritto, potrebbe volatilizzarsi. Abbiamo fatto una conferenza stampa su questo, alla Camera, con lo stato maggiore di Fnsi e Slc, i parlamentari Vincenzo Vita, Giuseppe Giulietti, i cdr di altre testate a rischio. Il titolo provocatorio “Rifondazione comunista rinuncia al finanziamento pubblico per Liberazione?” ha creato grossi malumori. Noi non siamo convinti che fosse sbagliato, né tanto meno che l’iniziativa sia stata controproducente.

La seconda scelta è il “piano” presentato al tavolo sindacale con la Fieg e la Fnsi il 17 gennaio.
L’attività editoriale dovrebbe continuare secondo la Mrc attraverso un doppio prodotto: il sito internet, che costituisce una testata a sé, registrata al Tribunale,(«con l’aggiornamento della notizia di apertura nella fascia oraria 12-19 dal lunedì al sabato», spiega il documento consegnato alle parti, in base a una selezione che «darà la priorità a notizie di politica interna, economia, sindacale sempre accompagnate da un breve commento del direttore») e due pagine in versione Pdf (una “Prima pagina”, citiamo ancora testualmente, caratterizzata da «foto a tutta pagina con titolo breve e sommario argomentato, accompagnato da editoriale sul tema del giorno a firma di qualificati commentatori, anche esterni alla redazione» e «un’altra pagina di notiziario»). Per confezionare questi due prodotti l’Mrc ha sostenuto di ritenere necessarie le seguenti «risorse»: Direttore, Vicedirettore, un redattore, «assistiti da un poligrafico».
Invano abbiamo supplicato che questa sciagurata ipotesi fosse ritirata. Invano abbiamo avvertito al tavolo sindacale che saremmo stati costretti a denunciarla pubblicamente. Abbiamo stigmatizzato questa scelta in modo molto duro, abbiamo parlato di imbroglio, abbiamo parlato di giornale “finto”, di un’ipotesi di uso improprio e scorretto del denaro pubblico, cioè dei cittadini. Abbiamo scritto in un comunicato che «con incredulità e dolore» ci trovavamo a dover annoverare d’ora in poi il nostro editore tra i “furbetti dell’editoria”. Credete che l’abbiamo fatto a cuor leggero? Con superficialità? Che non ci sia costato?
Ma purtroppo i fatti parlano. E non bastano le perorazioni del nostro direttore a cancellarli. Preservare un solo posto giornalistico e un solo posto poligrafico è o non è azzerare la redazione? Sostituire il giornale così come l’abbiamo fatto fino adesso, e anche il giornale di 8 – 9 pagine a cui vi state affezionando in formato Pdf pieno degli echi della nostra e di tante altre battaglie contro la crisi, al fianco dei tanti che la crisi non prodotta da loro non vogliono pagarla (sono queste, direttore, le «incursioni» che giudichi «ingovernabili»?), con due misere paginette è o non è un giornale finto? Di quelli fatti solo per prendere i fondi pubblici? Di quelli che, insieme, abbiamo sempre denunciato?

La vita di Liberazione è lunga vent’anni. Questo giornale è stato diretto, solo per citare grandi direttori “storici” da Luciana Castellina, Lucio Manisco, Sandro Curzi. Successive ondate di lettori e lettrici, interni ed esterni a Rifondazione, ma tutti e tutte dentro la storia larga della sinistra nel nostro paese l’hanno letto, l’hanno amato, l’hanno contestato, comunque sentendolo proprio. Questa storia non può finire così ingloriosamente. A questo ci siamo ribellati. E continueremo a farlo.

Ed eccoci alla terza scelta. La più assurda, la più terribile, la più insensata. La chiusura del giornale in Pdf e dell’attività del sito internet (con tanto di blocco delle password per noi che ci lavoriamo). Una decisione della direzione, di concerto con l’editore, una tragica “punizione” a una redazione che non rinuncia a dire la verità, a esprimere nello scontro sindacale (perché di scontro si è trattato) il proprio punto di vista, anche duro,certo, anche durissimo. Ma espresso di fronte a fatti gravi, anzi gravissimi.
Tragica punizione anche a voi lettori, che con affetto e condivisione ci state seguendo, che vi priva del vostro giornale, e di quel di più di passione che in queste ultime settimane lo ha animato rendendolo punto di riferimento per tutti coloro che si stanno battendo per il diritto all’informazione in Italia. Tragica autopunizione per la stessa Mrc, che nel momento in cui assevera la possibilità di continuità editoriale tra cartaceo e Pdf cancella anche il secondo mezzo. Così, tanto per farci/farsi del male.

Care lettrici, care lettori, ci rivolgiamo a voi, che consideriamo gli unici autentici proprietari di questo giornale. Vi siamo grati della generosità della sottoscrizione che cresce di giorno in giorno. Vi siamo grati dell’impegno di anni.
La nostra occupazione continua. Non cediamo alla demoralizzazione, al cinismo, alla stanchezza (anche se sarebbe molto facile). Continuiamo a far circolare idee, energie, attività. Tra noi e fuori di noi.
Domenica ospiteremo qui in viale del Policlinico “Altrochecasta”, una maratona di testimonianze sulla realtà vissuta del lavoro giornalistico, animata in primo luogo da giornaliste/i precari/e e di testate a rischio (altrochecasta@libero.it). Abbiamo appena aperto un blog (occupyliberazione.wordpress.com) per tenervi informati sulla nostra vicenda durante questo black out.

Ma questa follia non può continuare. Vogliamo che la ragione ritorni.
Chiediamo alla direzione di riconsiderare una decisione autodistruttiva. Liberazione in Pdf deve tornare a vivere.
Supponiamo che ciò che è stata definità «ingovernabilità» non sia la dialettica che ha impegnato direzione e redazione nelle ultime settimane, tra “dovere” del giornale supposto mainstream e passione di un giornale di lotta e di tendenza. Per tre giorni il Pdf non è uscito per indisponibilità della redazione (che lavora, ricordiamolo, per propria libera scelta, in ferie coatte, e con la minaccia della cassa integrazione a zero ore – triste a questo proposito sentire un direttore con un importante passato da sindacalista invocare l’incontro alla Regione per esaminare una richiesta unilaterale dell’azienda), in un caso impegnata in una assemblea fiume con lo stesso direttore, negli altri due colpita da fatti molto gravi intervenuti nelle relazioni sindacali. Basta non produrre eventi choc per non turbare la fattura del prodotto e il problema è risolto.

All’amministrazione chiediamo che ritiri il piano due pagine-due lavoratori, un piano assurdo, che ovviamente non potrà beneficiare dei soldi dello Stato. Diamo atto dei vent’anni di utilizzo assolutamente onesto del finanziamento pubblico e proprio per questo chiediamo di non sporcarli con un colpo di coda inconsulto. Non raccogliendo le parti provocatorie del comunicato della Mrc, confermiamo che il nostro impegno non si ferma. Lo abbiamo dimostrato stamattina in piazza, lo dimostriamo non abbandonando viale del Policlinico, lo dimostreremo nelle prossime ore continuando a lavorare, con l’aiuto dei nostri sindacati, a ipotesi realistiche, anche eterodosse, di soluzione del problema che attanaglia tutti noi. Abbiamo capito che i soldi non ci sono, non pretendiamo neanche un euro supplementare dal Prc. Ma non ci arrendiamo. Per noi non è ancora arrivato il momento di smettere di difendere Liberazione, bene comune.

18 gennaio 2011

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Il comunicato stampa della Mrc – editrice di Liberazione

«Basta con le menzogne: Mrc e Rifondazione hanno sempre sostenuto il giornale con i propri sacrifici ed i propri fondi!»

I pesanti tagli al fondo per l’editoria operati dal governo Berlusconi, confermati ed appesantiti dalle scelte di Monti che, ancora ieri, ha dichiarato inamissibili gli emendamenti al ”milleproroghe”, tesi a ripristinare il fondo per l’editoria, hanno obbligato l’Mrc, editrice di Liberazione, a sospendere cautelativamente l’edizione cartacea dal 1 gennaio. Contestualmente si è avviata una trattativa sindacale tesa a salvaguardare la continuità della pubblicazione di Liberazione nella versione on-line per garantire l’informazione libera che abbiamo sempre assicurato, oltre ai possibili livelli occupazionali. Al fine di rilanciare il nostro giornale abbiamo promosso anche una campagna di sottoscrizione. Al tavolo sindacale abbiamo avanzato una proposta concreta per tenere viva Liberazione, articolata in due fasi: versione on line del quotidiano in attesa della definizione del nuovo regolamento sul finanziamento all’editoria; definizione di un progetto editoriale una volta definite con certezza quantità, qualità e tempi del finanziamento. In questo ambito, Mrc ha avanzato le proposte possibili di salvaguardia dei posti di lavoro e dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali, come in ogni situazione di crisi (e nell’ editoria ciò è purtroppo diffuso). Cdr e sindacati di settore hanno manifestato la totale indisponibilità a percorrere le proposte avanzate, obbligando Mrc a proseguire nell’azione di salvaguardia della propria testata e – nella misura consentita dalla situazione data – dell’occupazione. La storia di 20 anni di Liberazione e della Mrc, il nostro impegno diretto contro i ”finti giornali” e le clientele, i milioni di euro investiti dall’editore per garantire l’uscita del giornale testimoniano ben più delle infondate calunnie che ci vengono rivolte. Per evitare equivoci e polemiche strumentali, Mrc sospende a far data da oggi anche l’edizione on line del quotidiano Liberazione di cui è stata resa impossibile la gestione. E prosegue con ancora maggior impegno e determinazione la battaglia, comune a tutti i giornali di partito, di idee e cooperativi, per riaffermare il diritto al pluralismo dell’informazione e al reintegro del fondo sull’editoria. Quando le scelte relative al futuro dell’editoria saranno definite, Liberazione riprenderà le pubblicazioni nelle forme economicamente sostenibili. Invitiamo il Cdr di Liberazione ad analogo impegno».

Mrc Spa

in data:19/01/2012


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1 Commento


  • Unità Popolare

    FATE UN SETTIMANALE serio .
    Così com’era non serve a niente, ecco perchè non lo comprava più nessuno, compreso noi .

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