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Bologna infrange l’incantesimo

I giovani e gli attivisti che hanno contestato Napolitano all’università di Bologna non hanno fatto solo rumore, hanno rotto un incantesimo: quello che aveva reso “intoccabile” un Presidente della Repubblica responsabile di aver forzato in più punti l’assetto costituzionale e rappresentativo del paese in nome della subalternità ai diktat dell’Unione Europea e della Nato. L’aver creato le condizioni per l’allontanamento di Berlusconi dal governo dopo aver contrastato gli assalti di quest’ultimo alla validità erga homnes delle leggi, aveva fatto sì che il Presidente della Repubblica avesse conquistato la fiducia e il consenso della maggioranza del paese. Ma il Presidente ha usato questo mandato “popolare” per spianare la strada al dominio dei poteri forti e delle loro organizzazioni sopranazionali, fino a costruire l’operazione del governo “tecnico” di Mario Monti. Anche quest’ultimo ha goduto – di riflesso – degli ultimi scampoli dell’antiberlusconismo accumulando un consenso preventivo che ha retto fino a quando il governo da lui presieduto non ha cominciato a fare il “lavoro sporco” richiesto e imposto dal direttorio europeo franco-tedesco e che ha consentito a Monti di entrarvi a far parte.
I sondaggi resi noti lunedì – quello dell’Ipsos e quello di Demos (coordinato da Ilvo Diamanti) – segnalano però che la luna di miele tra Monti e il paese si sta esaurendo in poco di più di due mesi. Per l’Ipsos quasi il novanta per cento degli intervistati sostiene le proteste sociali esplose in queste settimane nelle più diverse categorie, soprattutto quando in campo sono scesi autotrasportatori, contadini etc.

Il sondaggio Demos certifica che tra la metà di novembre e la terza settimana di gennaio i consensi a Monti sono crollati dal 78% al 57%, mentre il 56% degli intervistati si dice d’accordo con le proteste sociali contro le misure adottate dal governo. Sorvoliamo su certe penoserie statistiche che Diamanti utilizza per negare l’impossibile che emerge invece nitidamente dai dati. Parlare di ”italiani di lotta e di governo” cercando una equivalenza tra i dati di consenso e dissenso, è una operazione scivolosa se si fanno i raffronti con i dati di due sole settimane fa. Ma non è un mistero che La Repubblica e il suo padre-padrone Scalfari siano diventati il principale giornale “di governo” e ad esso devono prestarsi con “pensieri, opere e omissioni”, quest’ultime clamorose con l’occultamento totale dello sciopero generale e della manifestazione nazionale dei sindacati di base di venerdi scorso. Una omissione che non è servita però a impedire che l’effetto di quello sciopero e manifestazione – le prime esplicite e di rilievo contro il governo Monti – dilagasse anche tra il “popolo democratico” che pure ritiene Monti e Napolitano degli intoccabili salvatori della patria. Il dibattito apertosi nel blog dell’Unità o tra i lettori de Il Fatto, rivela che non ci sono più rendite di posizione o incantesimi che non debbano fare i conti con gli effetti antisociali delle misure anticrisi del governo Monti. La contestazione di Bologna a Napolitano è dunque deflagrata rivelando che il re, anche se è re Giorgio, è nudo di fronte alle proprie responsabilità, né più né meno di tutti gli altri.

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