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Art. 18. Vittoria per i tre operai Fiom licenziati a Melfi

La sentenza è stata pronunciata dai giudici della Corte d’appello: il ricorso della Fiom contro il licenziamento di due suoi delegati (Barozzino e Lamorte) e un tesserato all’organizzazione dei metalmeccanici della Cgil, è stato accolto. La Fiat deve riassumere i tre operai ingiustamente buttati fuori con l’accusa, inconsistente e pretestuosa, di aver “bloccato” un carrello nel corso di uno sciopero unitario indetto da tutte le sigle sindacali.

I fatti risalgono all’estate del 2010. Quella di ieri è la terza sentenza – la seconda positiva – che riguarda i tre operai. La Fiat che nelle prossime settimane dovrà comparire in 20 tribunali e difendersi in 61 cause intentate dal sindacato di Landini per comportamenti antisindacali. In base a un accordo separato, infatti, è stato cancellato il contratto nazionale, viene impedito alla Fiom di esercitare i suoi diritti sindacali e ai lavoratori di eleggersi democraticamente i propri rappresentanti. «Abbiamo vinto – ha gridato Giovanni Barozzino al termine della lettura della sentenza, visto che avevamo ragione noi?».

Ci sembra quasi inutile, a questo punto, sottolineare l’importanza generale di questa sentenza. Che naturalmente si porterà dietro anche nuovi diktat Fiat: “cambiare la legislazione”

Operai licenziati, Fiat deve riassumerli

Loris Campetti
In Italia, per fortuna, c’è una giustizia che ogni tanto riesce a svolgere il suo compito in piena autonomia dai poteri forti. La Fiat va sicuramente annoverata tra i poteri forti visto che orienta i governi, divide i sindacati e il centrosinistra e decide il vertice di Confindustria pur essendone uscita. La forza indiscussa di Sergio Marchionne non è riuscita però a piegare la Corte d’assise di Potenza che ieri ha condannato la multinazionale italo-americana per antisindacalità, costringendola alla riassunzione dei tre operai licenziati nell’estate di due anni fa. CONTINUA|PAGINA2 L’accusa era di aver bloccato un carrello – cioè la produzione – nel corso di uno sciopero indetto unitariamente da tutte le organizzazione sindacali.È proprio a partire dal licenziamento dei delegati Fiom di Melfi Giovanni Barozzino e Antonio Lamorte e dell’operaio Marco Pignatelli, tesserato Fiom, che Marchionne aveva costruito il suo teorema: gli operai sono fannulloni, quelli della Fiom sabotatori e il risultato è l’ingovernabilità delle fabbriche. Un teorema fondamentale per sostenere il ricatto di Pomigliano con cui chiedeva agli operai napoletani i diritti e l’anima in cambio di una vaga promessa di lavoro, che a oggi è stata onorata per soli duemila dipendenti su più di cinquemila. E nessuno dei duemila ha in tasca la tessera della Fiom.
La sentenza di Melfi ha un valore generale straordinario, anche se non è la prima che deve digerire Marchionne. A Mirafiori un impiegato, naturalmente della Fiom, ingiustamente licenziato ha vinto in tre livelli di giudizio e ha mantenuto il suo posto di lavoro. Sempre a Torino un altro giudice ha condannato per antisindacalità la Fiat per le discriminazioni del modello Pomigliano ai danni della Fiom, a cui è impedita l’attività sindacale con la motivazione che non ha firmato l’accordo-ricatto di Marchionne. La sentenza di ieri sui tre licenziati di Melfi ha una sua importanza specifica proprio perché fa a pezzi i fondamenti stessi del teorema Fiat. Come dice Giorgio Airaudo, segretario nazionale Fiom con delega all’auto, «non c’erano sabotatori, nè una fabbrica ingovernabile, crolla il pilastro su cui si regge il percorso che ha portato alla cancellazione del contratto nazionale di lavoro, imposta da Marchionne con la complicità di Fim, Uilm e Fismic. Siccome un giornalista è stato condannato a una multa esorbitante per aver danneggiato le merci della Fiat, mi chiedo se un risarcimento altrettanto congruo non debba essere riconosciuto ai tre operai di Melfi, diffamati, messi alla berlina, usati per raggiungere un obiettivo antidemocratico che la magistratura ha condannato come antisindacale». Anche il segretario generale Maurizio Landini batte sullo stesso tasto: «Visto l’uso strumentale e la denigrazione a mezzo stampa avanzata in questi mesi contro i tre lavoratori, valuteremo insieme a loro se richiedere i danni morali».
Ma la sentenza di Potenza, aggiunta a quelle precedenti di condanna della Fiat, è anche la risposta più netta a tutte le chiacchiere in libertà contro lo «scandaloso» art. 18. che impedirebbe l’assunzione dei giovani e l’insediamento di aziende straniere. L’art. 18 dice semplicente che se un lavoratore viene licenziato ingiustamente deve poter riprendere il suo lavoro. È un diritto non è sostituibile da un risarcimento, quattro o otto danari di mancia da parte del padrone condannato. È una forma di salvaguardia della dignità di chi presta la sua opera, perché il lavoro e i suoi diritti non sono merce qualunque. Alberto Piccinini, uno dei legali della Fiom, ha precisaro che il reintegro è stato chiesto, e ottenuto, per antisindacalità e non impugnando l’art. 18 ma è ovvio che anche in questo caso è proprio la reintegra l’aspetto più importante della sentenza, e il reintegro è a fondamento dell’art. 18. Piccinini ricorda che ora la Fiat deve immediatamente reintegrare i tre operai, e neanche un eventuale ricorso dell’azienda alla Cassazione può giustificare furbizie o rinvii. A sua volta, è probabile che la Fiom decida di nominare Barozzino, Lamorte e Pignatelli Rsa, cioè suoi rappresentanti a Melfi visto che le Rsu elette direttamente dai dipendenti sono state cancellate dal contratto-capestro e sostituite da persone nominate. Solo che quelli della Fiom non saranno riconosciuti dall’azienda, in quanto organizzazione non firmataria. Ma fino a quando Marchionne potrà continuare a guidare a manetta, fottendosene di tutto e di tutti, dei giudici, delle leggi, della democrazia?
Operaio alla catena di montaggio, più precisamente addetto alla preparazione del mobiletto della Grande Punto, già Rsu e anche Rls (rappresentante per la sicurezza), Giovanni Barozzino spera di rientrare già da lunedì in fabbrica insieme ai suoi compagni di lavoro. Difficile descrivere il suo stato d’animo, dopo giorni vissuti sui carboni ardenti in attesa della sentenza. «Voglio solo tornare a casa e farmi un bagno caldo», dice commosso e felice.
«La Fiom – dice Landini – esprime la sua più profonda soddisfazione per la sentenza, soprattutto alla luce dei gravi atti di discriminazione contro i nostri iscritti e i nostri delegati che si stanno verificando in tutti gli stabilimenti del Gruppo Fiat. Il licenziamento dei tre lavoratori di Melfi è stato, infatti, il primo gravissimo attacco al diritto di sciopero, alla dignità e alle libertà di chi lavora, condotto nell’ambito del nuovo modello Marchionne».
Il viaggio giudiziario che contrappone la Fiom alla Fiat è appena iniziato, e nel migliore dei modi. Nell’arco di pochi giorni saranno 61 le cause per antisindacalità intentate dai metalmeccanici Cgil in una ventina di tribunali in tutt’Italia. All’azienda si contesta la pretesa di impedire alla Fiom l’agibilità sindacale in tutti i suoi stabilimenti, con grave danno ai lavoratori a cui è impedito di eleggere i propri rappresentanti. Una causa specifica riguarderà invece lo stabilimento di Pomigliano: dopo la sua riapertura sotto altro nome, dei più di cinquemila dipendenti ne sono stati riassunti solo duemila, e tra questi non ce n’è uno della Fiom. La sentenza di Potenza è un buon segnale, un ricostituente in vista dello sciopero generale indetto dalla Fiom per il 9 marzo.

da “il manifesto”

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