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Ammortizzatori sociali: ricatti e furbizie

Il problema nasce dal gioco delle tre carte che il ministro Fornero ormai pratica con disinvoltura irritante. Basti pensare che è riuscia a glissare a una domanda precisa posta peraltro dagli imprenditori: “ma se togliete la cassa integrazione straordinaria, ci togliete anche l’obbligo di versare il relativo contributo mensile?”. Silenzio. I soldi che entrano sono indiscutibili, che che vanno dati scompaiono. Un modo piuttosto brutale di “risanare”. Tanto più se si tiene conto che la cassa integrazione (tranne quella “in deroga”) non vede versare un euro dallo stato, dato che è co-finanziata da lavoratori e imprese.

Il progetto di Fornero, dopo ben quattro incontri, è ancora vago. Ma comunque “cattivo”. I “cinque anni di bocce ferme” promessi da Repubblica (non dal governo) non sono infatti di “stabilità” nell’attuale normativa. Ma dovrebbero vedere uno slittamento progressivo – una perdita di copertura – fino ad arrivare a regime nel 2017.

Il segreto sembra molto poco misterioso e si sviluppa in poche mosse, quasi tutte retoriche.

a) Il governo indica la realtà oggettiva: milioni di lavoratori, soprattutto i precari, non hanno alcun ammortizzatore sociale. Verissimo.

b) E subito dopo agita la bandiera dell'”equità”. Sacrosanto. Chi mai potrebbe opporsi a un sistemaugualitario di protezione sociale? Non noi, certamente.

c) L’idea abbozzata per sostituire dell’attuale sistema “superato” (cig ordinaria, straordinaria, in deroga, mobilità; assegno di disoccupazione molto magro e per poco tempo) è un “sistema a due pilastri”: cassa integrazione ordinaria solo per le crisi aziendali temporanee (con assegno per soli 12 mesi) e indennità di disoccupazione (durata non indicata, livello monetario egualmente non indicato). Ma – ha detto già il ministro più volte – per il secondo “non ci sono soldi”. E quindi è un “pilastro” di chiacchiere.

d) Unendo gli elementi precedenti, ne consegue che il ministro intende arrivare (ma non ancora “dire”) a una “spalmatura” delle magre risorse (fin qui appena sufficienti per coprire decentemente una platea di lavoratori effettivamente ristretta) su una platea molto più ampia. Per cui però non assicura risorse aggiuntive a quelle autofinanziate. In pratica: assegni molto meno sostanziosi, per più persone, per molto meno tempo. Di fatto, un sistema di non protezione sociale.

Qui di seguito le perplessità delle imprese, raccolte dal giornale di Confindustria. E se riesci a scontentare anche le aziende…

Ma gli imprenditori chiedono chiarezza su costi e contributi

Nicoletta Picchio


ROMA
Vogliono approfondire i numeri, in particolare i costi della nuova architettura di ammortizzatori sociali. E cioè l’entità dell’assegno di disoccupazione universale, di cui ha parlato ieri al tavolo il ministro del Welfare, Elsa Fornero, la percentuale di contribuzione che dovranno pagare le imprese, quanto tempo il dipendente dovrà lavorare prima di poter beneficiare dell’assegno. La preoccupazione delle imprese è che il nuovo disegno si possa tradurre in un aumento del costo del lavoro, a fronte di una riduzione degli strumenti a disposizione.
Sono state molte le domande che le organizzazioni imprenditoriali hanno fatto al ministro Fornero nell’incontro di ieri dedicato agli ammortizzatori sociali. Al tavolo c’erano tutti i presidenti, Emma Marcegaglia per Confindustria, Giuseppe Mussari per l’Abi, Luigi Marino per l’Alleanza delle coop, Marco Venturi per Rete Imprese Italia, Aldo Minucci per l’Ania, accompagnati da vice, come Alberto Bombassei, vice presidente di Confindustria per i rapporti sindacali, e dai tecnici.
Ieri al tavolo si è parlato solo di ammortizzatori sociali, con il ministro che ha tracciato a grandi linee il suo progetto. Un elemento che può essere considerato positivo è che la riforma entrerà in vigore gradualmente: dovrà andare a regime in cinque anni.
Ma il mondo delle imprese, pur disponibile a discutere di questo nuovo impianto, vuole ancora approfondire come sarà finanziato il nuovo meccanismo basato sui due pilastri: cassa integrazione ordinaria per chi è senza lavoro a causa di situazioni aziendali di difficoltà temporanea, l’assegno di disoccupazione universale per chi non ha più il lavoro, che deve sostituire la mobilità e, a quanto pare, anche la cassa integrazione straordinaria.
Il ministro non ha specificato l’entità dell’assegno, dicendo che sarà una cifra civilmente e socialmente accettabile, ha parlato di una assicurazione sociale di sostegno al reddito finanziata da contributi. Precisando che bisognerà allargare la platea, ma a parità di risorse pubbliche.
La Marcegaglia è uscita senza rilasciare dichiarazioni. Ha commentato il presidente dell’Alleanza delle coop, Marino: «È vero che il sistema degli ammortizzatori sociali è datato. Però i due pilastri indicati dal ministro vanno probabilmente integrati con altri elementi: equità tra contribuzione e prestazioni; determinare le regole di ingresso; raccordare il sistema di ammortizzatori con le pensioni. Crediamo che non vadano ridotte le risorse, né però bisogna aumentare i costi a carico delle imprese».
Le aziende hanno anche sollevato la questione se, abolendo la cassa integrazione straordinaria, il relativo contributo sarebbe stato eliminato. Ma il ministro su questo non ha dato rassicurazioni. E hanno chiesto chiarimenti sul fatto che l’assegno sia un’assicurazione sociale, però legata alla contribuzione.
Vista la complessità della questione se ne riparlerà giovedì 1° marzo, facendo slittare il tema dell’articolo 18. Nel frattempo le aziende riceveranno la proposta del ministro sulle politiche attive del lavoro, tra oggi e lunedì, e martedì mattina comincerà la trattativa no-stop sulla flessibilità in entrata e sull’apprendistato. Anche qui bisognerà trovare una sintesi e non sarà facile: le imprese sono divise, con Rete Imprese Italia che si presenterà al tavolo con proprie proposte.
Per Confindustria gli strumenti principali di ingresso nel mercato del lavoro e di flessibilità sono l’apprendistato, la somministrazione, il contratto a termine e il contratto di inserimento.


Tempi lunghi per gli ammortizzatori

Davide Colombo

La platea dei lavoratori protetti dal modello di ammortizzatori sociali a doppio pilastro che ha in mente il governo potrebbe arrivare fino a quota 12 milioni. Ci sarà la nuova cassa integrazione (per integrare il reddito durante le crisi temporanee o i periodi di ristrutturazioni) e l’indennità unica di disoccupazione in caso di perdita del posto di lavoro. Entrambe le forme di sussidio saranno garantite su base assicurativa ed entreranno a regime gradualmente, alla fine del prossimo quinquennio.
Il Ministro ieri non ha voluto dare cifre ufficiali, ma il ragionamento che è stato riferito dai partecipanti al tavolo è partito dai lavoratori che oggi godono di una protezione «molto generosa», circa 4 milioni, cui si aggiungono poco meno di 8 milioni di addetti esclusi o parzialmente esclusi da protezione. L’obiettivo è di garantire un ombrello protettivo anche a questa platea che tuttavia non raggiunge, sommata ai «protetti», il totale dei lavoratori dipendenti, pari a 17,3 milioni (sui 22,9 milioni di occupati stimati dall’Istat a fine 2011).
Gli otto milioni in più sono lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e a tempo determinato che, in parte, potrebbero aver già beneficiato negli ultimi anni della cassa integrazione in deroga. I dati precisi sulle platee si conosceranno solo giovedì prossimo, quando Elsa Fornero presenterà la sua proposta strutturata sul futuro sistema degli ammortizzatori sociali. E lì si capirà anche in quale misura potranno essere inclusi i circa tre milioni di lavoratori con un contratto atipico (erano 3.155.000 a fine 2010, contro i 3.622.000 del 2008).
Sul futuro modello di protezione incombe naturalmente il nodo delle risorse finanziarie, sui cui si appuntano le preoccupazioni sia dei sindacati, che temono uno scambio tra l’estensione dei sussidi con un minor tasso di sostituzione rispetto allo stipendio, sia dagli imprenditori, che dietro l’ipotesi di aggancio del nuovo sistema all’obbligo assicurativo, temono un aumento insostenibile dei contributi da versare all’Inps. Servirebbero risorse pubbliche aggiuntive, è stata la richiesta collettiva. Ma il Ministro ha ripetuto che per il momento resta escluso un ricorso alla fiscalità generale: se il nuovo sistema di ammortizzatori sociali universali sarà necessariamente meno generoso, è stata la riflessione, esso sarà anche più rigoroso e controllato e, soprattutto, l’indennità di disoccupazione sarà condizionata alla partecipazione del beneficiario a percorsi di formazione e ricollocamento.
Fornero, in apertura dell’incontro, ha insistito sulla sua volontà di giungere a una riforma il più possibile condivisa: «È ferma intenzione del Ministro condurre in porto un accordo, c’è una determinazione molto seria». Perché, ha aggiunto, «serve la consapevolezza che l’accordo avanzato non serve ad accontentare il Governo o qualche partito ma che stiamo facendo il bene del Paese». Ieri a rappresentare il governo al tavolo, insieme con il ministro Fornero e il vice ministro Michel Martone, c’era il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, mentre per le imprese i vertici di Confindustria, Abi, Ania, Alleanza delle cooperative e Rete Imprese Italia, per i sindacati i leader di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, insieme ad una delegazione delle Regioni, con il presidente Vasco Errani.
Il Ministro ha dato appuntamento a martedì per il prossimo incontro che avrà come oggetto i contratti e avverrà in sede tecnica, un tavolo che potrà essere convocato ogni qual volta sarà necessario, senza i numeri uno dei sindacati o delle associazioni datoriali. Fornero ha chiesto alle parti di inviare entro martedì tutti i documenti elaborati per confrontarli su una tavola sinottica con quelli del Governo. Così, ha spiegato, «troveremo tutti i punti di condivisione». Giovedì primo marzo, prossimo incontro plenario, non si parlerà di flessibilità in uscita e articolo 18, proprio perchè verrà presentata la proposta complessiva del Governo sui nuovi ammortizzatori sociali.

NOI E GLI ALTRI

Cassa integrazione e sussidi

ITALIA
60%
L’indennità di disoccupazione non agricola può essere chiesta da chi ha almeno un anno di contributi versati negli ultimi 2 anni. Il sussidio è pari al 60% dello stipendio per i primi 6 mesi per scendere poi al 50% e al 40%. A differenza dei principali paesi europei, in caso di difficoltà temporanea dell’impresa è possibile il ricorso alla cassa integrazione, ma il lavoratore resta dipendente dell’azienda
GERMANIA
67%
Chi chiede l’indennità di disoccupazione deve essere stato assicurato per almeno 12 mesi negli ultimi 2 anni. Ha diritto al 67% dell’ultimo stipendio netto nel caso in cui si hanno figli e al 60% nel caso non si abbiano figli. Ci sono tutele anche per chi è alla ricerca del primo lavoro (ed è quindi senza versamenti) con un sussidio di 359 euro al mese: si richiedono sforzi per trovare un lavoro e bisogna essere disponibili a un impiego

SPAGNA
70%
Per l’indennità di disoccupazione è necessario aver lavorato almeno tre anni negli ultimi sei. La somma è il 70% della base contributiva media degli ultimi sei mesi. La percentuale scende dopo i primi sei mesi al 60%. C’è un tetto massimo che varia dal 175% al 225%, a seconda del numero dei figli e dell’Iprem (indicatore reddito minimo), pari per il 2011 a 532,51 euro al mese (1.198 euro l’indennità nel caso del diritto al 225% dell’Iprem)

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