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Domande serie ai falsari di “Repubblica”

Quando tutti ci spiegavano che “il primo problema dell’Italia” era soltanto Berlusconi, abbiamo provato pacatamente a spiegare che non era affatto così. Naturalmente la potenza di fuoco mediatica non era dalla nostra parte e il messaggio che ha trionfatto, temporaneamente, era l’opposto.

Ora il Cavaliere è stato consegnato alle cronache di un passato lontano quanto vergognoso, ma i problemi sono aumentati. E non c’è più un jokerman vizioso con cui nasconderli. Ora le scelte da fare – che sono sempre “politiche”, proprio perché “scelte” – dividono sul merito. E non ci sono più veli a portata di mano.

Finiti i diversivi, dunque, la “classe borghese perbene”, quella che “rispetta le regole” senza più chiedersi quali siano e che senso abbiano (quale scopo perseguano), si scopre manganellatrice e reazionaria. Esattamente come gli squadristi fedeli ad Arcore. Certo, con tanta professione di “democratica indignazione”. E i giornalisti mainstream, spogliati del manto di uomini senza macchia e senza paura (quando dovevano rovistare tra le mutande del caso Ruby o tra i paradisi fiscali di quello Mills), si rivelano obbedienti esecutori di una linea padronale vecchia quanto il capitalismo meno evoluto. Quello vero…

Qualche domanda a Repubblica sui cattivi ragazzi
Marco Mancassola

Echi dalla Valsusa. Lampi di battaglia, sbuffi di fumo tossico. Nei wall di Facebook e di Twitter di mezza Italia si riporta qualche link, si lancia qualche appello. Ma si fatica a capire la centralità simbolica e strategica di ciò che accade laggiù. Non solo per i fatti in sé, quanto per lo stile di cronaca con cui i media italiani li raccontano. In un paese che in teoria si sta liberando dalle pastoie della disinformazione berlusconiana, la cronaca della Valsusa è diventato il banco di prova di un nuovo ordine di narrazione.
I media sono stati compatti nel descrivere la violenza dei manifestanti e nel creare casi pretestuosi. Il manifestante che dice a un poliziotto «pecorella» diventa più centrale dei manganelli e della violenza burocratica, affaristica, poliziesca che travolgono un’intera comunità, uomini donne e anziani. Una comunità di gente di montagna che lotta per l’integrità del proprio territorio era un soggetto difficile da far figurare nel ruolo del cattivo. Con pazienza e dedizione, i media italiani ci sono riusciti.
In questo coro non ha fatto eccezione la Repubblica, se non per alcuni commenti di Adriano Sofri. C’è da chiedersi perché un quotidiano considerato di centrosinistra si scateni in una campagna contro le proteste della Valsusa. E se sia possibile che un certo stile di manipolazione dei fatti berlusconiano si stia trasferendo, per paradosso, nella redazione di via Colombo. L’importanza del lavoro di questo quotidiano, che continua a pubblicare informazione e commenti di qualità su tanti altri argomenti, non impedisce di avvertire il suo sempre più esplicito scivolamento a destra. Negli ultimi tempi, basterà ricordare l’appoggio alle spinte di Renzi per trascinare a destra il Pd, o l’entusiasmo totale e incondizionato per le scelte tecniche del governo Monti.
La borghesia e piccola borghesia liberal che legge Repubblica è erede, storicamente, della classe sociale che più di ogni altra ha creato e celebrato l’utilità di un’informazione libera. Ma è anche la classe che si ritrova, oggi, più che mai nostalgica, spaventata e smarrita. A rassicurare, dirigere, utilizzare questo smarrimento non bastano più gli inserti patinati o l’antiberlusconismo che, nella sua ovvia necessità, era un modo per ricordare che si poteva ancora rivendicare un decoro, una razionalità della politica.
Oggi la nuova narrazione diventa la necessità non politica, bensì tecnica delle scelte più dolorose. Necessità delle riforme decise dagli apparati europei. Necessità delle terapie montiane. Argomenti su cui si può certo dibattere. Ma il modo con cui il progetto di spianare la Valsusa viene presentato come necessità tecnica e indiscutibile, e l’opposizione degli abitanti derubricata a incubatrice di nuovi estremismi, appare un ulteriore salto di qualità. Con questa logica, anche i manganelli diventano una definitiva necessità tecnica e lo saranno sempre più, nel clima di crescente scontro sociale.
L’inquietudine per un simile stile di racconto, poco di sinistra ma molto sinistro, è stata segnalata su queste pagine da Marco Revelli e Pierluigi Sullo. Aumenta in relazione alla contemporanea crisi di un progetto come Il Manifesto, tra gli ultimissimi spazi dove lanciare l’allarme.
da “il manifesto”

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1 Commento


  • ipanema66

    Non dimentichiamoci del ruolo storicamente determinante avuto da questo giornale/partito nello spostare sempre più a destra il senso comune dell’allora base elettorale del vecchio PCI.Non a caso il funzionariato sindacale e politico di quel partito era, ed è tuttora orientato, sulle questioni sociali ed economiche da giornalisti/opinionisti che non hanno mai fatto mistero della loro incrollabile fede nel modo di produzione capitalistico.Resta da chiedersi come ha potuto la suddetta base del PCI prima e, via via, con nomi diversi ,la più recente del PD,farsi abbagliare e soggiogare in modo cosi continuato e pervicace da firme cosi lontane dalla loro condizione sociale.Il verbo dei poteri forti e della borghesia più pericolosa è sempre stato presente in quella redazione anche quando si faceva professione(finta) di democrazia per contrastare l’altro polo borghese recentemente spazzato via.Un tempo si diceva di quel giornale/partito:di sinistra in politica,di destra in economia; bene ,oggi possiamo dire di destra a tutto tondo!

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