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Sardegna, una crisi senza “salvatori”

Di fatto, l’immagine di come finisce un territorio una volta che si lasci libero sfogo alle “dinamiche di mercato”: ti usano finché hai qualcosa da regalare (alluminio nel sottosuolo, ecc) e poi ti scaricano come merce esaurita.

L’isola è al collasso Regione sotto accusa
Costantino Cossu
CAGLIARI
L’edilizia in Sardegna è al collasso, fanalino di coda in Italia. In tre anni si sono persi 20 mila posti di lavoro, il 41% in meno, e le aziende registrano un calo di 2000 unità, il 23%: sono passate da circa ottomila a seimila. A lanciare il grido sono stati nei giorni scorsi i sindacati di categoria. Un’emorragia invisibile ma incessante – dicono Chicco Cordeddu della Fillea-Cgil, Renzo Corvedu della Filca-Cisl e Marco Foddai della Feneal-Uil – e non si intravedono segnali di ripresa. Alla manifestazione nazionale in programma oggi la Sardegna è presente con un centinaio di delegati. Ma in vista c’è lo sciopero generale dell’industria del 13 marzo, dove anche il settore costruzioni, che rappresenta il 50% del comparto industriale, col 10% del Pil, farà sentire la propria voce. «Il quadro è sconfortante – rilevano Cordeddu, Corvedu e Foddai – Ai ventimila posti di lavoro persi, che è un dato fermo al giugno del 2011, si deve aggiungere l’indotto, dal cemento ai laterizi ai manufatti, che registra il 30% in meno di fatturato, con la stragrande maggioranza dei lavoratori in cassintegrazione».
«La ricetta per il rilancio dell’edilizia – spiega Cordeddu – parte dai comuni, moltissimi dei quali non hanno un piano urbanistico. Occorre aprire i cantieri sui progetti già finanziati e puntare al recupero degli immobili fatiscenti, per ridisegnare la mappa delle città e dei paesi in un’ottica di bioedilizia, senza scempi né speculazioni. Se l’edilizia non decolla, non riparte l’industria in Sardegna. La Regione deve farsi parte attiva per un superamento in termini di crescita del patto di stabilità».
Preoccupati anche gli imprenditori del settore. Dal 2007 al 2011 sono state 2.078 le imprese di costruzioni costrette a chiudere. L’Associazione dei costruttori (Ance), denuncia gravi difficoltà di accesso al credito per il 40% delle aziende, un aumento del 40% dei ritardi nei pagamenti da parte soprattutto delle pubbliche amministrazioni e un calo del 36% degli investimenti in infrastrutture.
«Gli enti pubblici non spendono più – dice per l’Ance Maurizio De Pascale – e questo, con le regole del patto di stabilità, diventa pericoloso: meno si spende oggi, meno si spenderà domani». La mappa di quello che i costruttori chiamano «default» è chiara: Nuoro segna il decremento maggiore nel numero di addetti (-69%). Seguono Oristano e Sassari (-65%), mentre a Cagliari la variazione è più bassa e si ferma al -30%. Le chiusure seguono lo stesso schema: il primato negativo va a Nuoro (-52%), poi Sassari (-48%), Oristano (-44%) e Cagliari (-15%). Sono cifre che disegnano il quadro di una crisi profonda. «Ormai non stiamo parlando solo di ritardi – continua De Pascale – ma di mancati pagamenti. Il ministro delle infrastrutture Corrado Passera ha dichiarato di voler accogliere in tempi rapidi la direttiva europea che prevede l’obbligo di saldare entro trenta giorni, eccezionalmente sessanta, le cifre dovute. Speriamo faccia presto, altrimenti chiudiamo tutti».
da “il manifesto”

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