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Mercato del lavoro. Vertici notturni e mattutini

Parallelamente, partirà un confronto a livello tecnico al ministero del Lavoro in via Veneto per la messa a punto del testo della riforma. Nel pomeriggio alle 15,30 è convocato l’incontro formale a Palazzo Chigi.

Fin qui le indiscrezioni sui movimenti. Le agenzie tacciono completamente, invece, sul merito delle discussioni in corso. Un breve riassunto delle varie “posizioni” sull’art. 18 aiuta a capire la portata della frana sull’argomento-simbolo. Figuriamoci sul resto.

 

Riunioni e contatti informali anche nella notte

Tommaso De Berlanga

L’accelerazione impressa da Mario Monti ed Elsa Fornero alla «trattativa» sabato scorso, in margine al convegno di Confindustria a Milano, ha prodotto un formicaio di contatti tutti rigorosamente «informali». A voce o de visu, nel tentativo non di «trovare la quadra», ma di far ingurgitare a Cgil, Cisl e Uil un quadro normativo in cui il sindacato – letteralmente – corre il rischio di annegare.
Camusso, Angeletti e Bonanni non sono riuciti a mettersi d’accordo nemmeno sull’art. 18. La cui sostanziale abolizione è pretesa dal «governo dei mercati» come simbolo certo che in Italia i sindacati sono stati «spianati». Camusso si era detta «disponibile» – fuori dal mandato conferito dall’ultimo Direttivo – a discutere di lasciare al giudice la scelta tra «indennizzo» e reintegra in caso di licenziamenti «per motivi economici». Senza toccare le norme su quelli« disciplinari» o discriminatori». Un cedimento che, comunque, non basta al governo (indennizzo in tutti i casi). E nemmeno alla Cisl, rimasta isolata anche dalla Uil.
A quel punto deve essere apparso chiaro che il «valore aggiunto» garantito dal consenso sindacale a una «riforma» di portata anti-storica rischiava di venir meno. Sono quindi partiti i messaggeri per concordare una nuova «riunione informalmente formale» tra i tre segretari e il ministro Fornero. Alle 20, provavano ad ipotizzare in molti, ma nessuna conferma è arrivata fino a tarda sera. Impensabile, però, che tutti si presentino oggi pomeriggio al «tavolo» senza aver acquisito una ragionevole certezza sul «sì» o «no» da pronunciare davanti a Mario Monti.
Sulla discussione interveniva ancora una volta a piedi uniti il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il quale ha ricevuto al Quirinale proprio Monti e Fornero, per concludere infine con un pesantissimo «penso che sarebbe grave la mancanza di un accordo al quale le parti sociali devono dare solidalmente il loro contributo». Difficilmente si era visto qualcosa di simile, da un Colle solitamente prodigo di consigli, ma con molta discrezione. Il livello di pressione non poteva essere più forte. Ed è risuonata profetica la frase con cui Maurizio Landini, nel frattempo, spiegava a tutta la Fiom che «non esistono ragioni politiche che giustifichino la cancellazione dell’art. 18». Per qualcun altro, invece, esistono probabilmente soltanto quelle.
Lo scenario sembra ormai predisposto. L’eventuale «no» del più grande o di tutti e tre i sindacati non è neppure preso in considerazione. Ma il testo finale risentirà probabilmente – sia pure in misura limitatissima, quel tanto che basti a far dire «poteva andare peggio» – del tipo di risposta.
I sindacati, in questi primi quattro mesi di «governo tecnico», sono sembrati visibilmente spiazzati da un interlocutore estraneo ai tira-e-molla senza confini chiari, tipici della politica anche al tempo del Cavaliere. Sono venuti per fare quel che c’era scritto nella lettera della Bce, spedita in agosto. E non trattano su nulla. Si pongono soltanto il problema di riscuotere un sufficiente consenso momentaneo. E usano argomenti preistorici come se fossero roba nuova.
Il ritornello è quello della «responsabilità verso il paese», di cui i lavoratori – per il tramite di un sindacato spezzato – dovrebbero farsi carico. E risulta addirittura provocatoria, da questo punto di vista, la giustificazione data dallo stesso Monti rispetto «al diritto della Fiat di investire dove meglio crede». Perché se la «responsabilità nazionale» è sentimento che si può nutrire in modo così asimmetrico – i dipendenti devono dare tutto «al paese», le imprese nulla – probabilmente è solo una formula retorica buona per prendere in giro la gente. Tramite i media.
 
da “il manifesto”
 
Fiom, no alla riforma e sciopero subito
Francesco Piccioni
 

Il Cc delle tute blu boccia all’unanimità la «riforma» del governo. In difesa dell’art.18 e dei diritti, in piazza «almeno 2 ore», a partire da oggi

ROMA
Clima bollente, mentre si susseguono gli incontri e le telefonate per definire le posizioni dei sindacati confederali da tenere oggi, all’incontro col governo, su art. 18 e in generale sulla cosiddetta «riforma» del mercato del lavoro. Il gioco si fa duro, insomma. Quindi i metalmeccanici entrano in gioco. Hanno riunito ieri pomeriggio il loro Comitato Centrale, in corso Italia, per decidere che fare. Mentre intanto Genova veniva attraversata da lavoratori arrabbiati e anche a Milano diverse fabbriche si sono fatte sentire.
Grande attesa anche per giornalisti e tv, con RaiNews che dà in diretta la relazione di Maurizio Landini. Poche sorprese, se qualcuno pensava a un cedimento. «L’unica cosa che possiamo discutere sui licenziamenti è l’abbreviazione dei tempi per le cause in tribunale, che è nell’interesse anche dei lavoratori». Sul resto, niente da fare. E in modo molto argomentato.
Tutto l’impianto della «riforma» messo sul tavolo dal ministro Elsa Fornero ne esce distrutto nel merito. In gran parte perché «lede diritti fondamentali», e là dove non lo sono fa è comunque «inefficace» rispetto agli obiettivi dichiarati: «rilanciare la crescita» e «rimuovere il dualismo» del mercato del lavoro. C’è spazio anche per un ritorno di fiamma sull’ultima riforma delle pensioni, perché il testo del governo prevede «la costituzione di un fondo» per l’accompagnamento alla pensione dei lavoratori anziani di cui le aziende vogliono comunque liberarsi. In pratica, si tratterebbe di istituire un «contributo» per permettere i prepensionamenti – a quattro anni dal ritiro – solo tre mesi dopo aver varato un analogo allungamento dell’età pensionabile. Un delirio «tecnico» tra i tanti…
Bocciatura senza appello per le norme per la revisione dell’apprendistato («non cancella le tante forme di lavoro precario che hanno svuotato di significato il contratto a tempo indeterminato e fatto dell’Italia il paese più precario d’Europa»). Ed anche per la manomissione degli ammortizzatori («cancella la cig per cessazione di attività e la mobilità proponendo un modello di ammortizzatori che nei fatti riduce complessivamente le tutele, non determina una reale universalità nel sostegno al reddito»).
Ma è sull’art. 18 che la platea si infiamma. «La proposta del governo – scandisce Landini – equivale alla cancellazione». Inutile stare a sottilizzare se la «reintegra» debba valere solo per i motivi «discriminatori», e non anche per i «disciplinari» o «economici»; perché «non ho mai visto un imprenditore che licenzia qualcuno dicendo che non gli piace il colore della pelle o la sua idea politica».
La reintegra è il problema, e non può essere «monetizzata» con un indennizzo, perché «anche se un licenziamento è riconosciuto ingiusto, sei comunque fuori». Sul punto ripete la posizione decisa dall’ultimo Direttivo nazionale e fin qui tenuta dalla Cgil, che però nelle stesse ore stava vacillando (vedi di fianco). Ironia a volontà sulla parola d’ordine degli ultimi giorni, «il modello tedesco». Non perché sia un modello impensabile, ma «si dovrebbe prenderlo tutto, non solo quello che piace». Altrimenti «a noi piacerebbe quel livello di stipendio», ed anche molte norme di tutela.
La proposta immediata di Landini, approvata all’unanimità, è: «almeno 2 ore di sciopero a partire da martedì 20 marzo, con modalità decise dalle Rsu e dalle strutture territoriali». Ogni eventuale «accordo» raggiunto tra sindacati governo «sia sottoposto al voto referendario, vincolante, di tutti i lavoratori coinvolti, con modalità che consentano una precisa informazione e una trasparente certificazione della volontà delle persone coinvolte, compreso i giovani e i precari». In ogni caso, «giudica le proposte finora avanzate dal Governo sul mercato del lavoro, conseguenza della logica che ha ispirato l’intervento sbagliato e inaccettabile effettuato sulle pensioni, che indica un obiettivo di superamento di un modello sociale solidaristico».
Naturalmente, i metalmeccanici pensano «un’intesa sia necessaria»; ma per «ridurre realmente la precarietà, cancellando forme di lavoro indecenti quali ad esempio il lavoro a chiamata e le finte collaborazioni, che estenda realmente e universalmente gli ammortizzatori sociali a tutte le forma di lavoro e a tutte le tipologie d’impresa e che sperimenti forme di reddito di cittadinanza». Una posizione che non piacerà al governo. Ma che mobilita chi lavora. Da quale parte state?
 
 

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