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Camusso. Uno sciopero per cedere tutto

Al termine di un Direttivo durato il doppio del previsto, fra prese di posizione “ferme” a difesa dell’attual formulazione dell’art. 18 e di condanna per tutta la “riforma del mercato del lavoro”, alla fine la Cgil proclama 16 ore di sciopero, di cui otto per uno teoricamente generale, ma spezzettato in tante piccole manifestazioni per non dare troppo fastidio al governo. E soprattutto al Pd, che rischia di spaccarsi anche e soprattutto sul lavoro.

Ne esce un artificio bizantino e senza spina dorsale, che di fatto segna la rottura della “diga” contro l’assalto alle tutele contro i licenziamenti anche all’interno della Cgil. Non si sa né se, né quando ci sarà questo sciopero. La formula che alla fine ha permesso a Camusso di recuperare la propria maggioranza è un capolavoro di ipocrisia: “la reintegra” viene definita un “diritto essenziale dei lavoratori”.  Ma l’obiettivo dichiarato è quello di venire incontro a Bersani, che intanto adotta il presunto “modello tedesco”, che sul punto affida al magistrato il compito di decidere in ogni caso tra la reintegra e l’indennizzo. In questo modo, quella che era una tutela “certa” diventa una lotteria: se trovi il giudice onesto si va bene (e l’azienda ricorre sperando di trovarne uno più malleabile), oppure sei fuori.

Il bello, o il terribile, che di tutto questo dibattere il governo se ne fotte e va avanti.

Non sarebbe male, però, se l’occasione formale dello sciopero fosse trasformata da scadenza rituale e passiva in iniziativa centrale (con manifestazione a Roma), con protagonisti i lavoratori anziché i funzionari pronti a cedere i nostri diritti.

 
Camusso vuole «avanzare» e apre al «lodo tedesco»
 

L’emendamento per difendere la tutela così com’è ora raccoglie 30 voti, tra cui quelli di tre segretari di categoria
Francesco Piccioni
È dura passare dalla «concertazione» al conflitto. Specie la svolta arriva improvvisa e inaspettata. Magari per opera un governo «tecnico» che lì per lì era stata salutato quasi con favore, perché ci «liberava» di Berlusconi. Salvo poi scoprire il volto dell’assolutismo sabaudo sotto le buone maniere professorali.
La Cgil si è trovata in maggioranza dentro questo maelstrom senza averne avuto completamente cognizione. E la reazione è stata per un verso giustamente dura e veemente, ma con troppi se e ma per risultare davvero convincente. Sia fuori casa che dentro. Andiamo con ordine. Il Direttivo nazionale convocato ieri mattina in Corso Italia si è trovato davanti – con la relazione del segretario confederale Fulvio Fammoni – la proposta di proclamare 16 ore di sciopero nazionale per tutte le categorie, articolate in 8 nella stessa giornata (sciopero «generale», dunque), e altrettante per assemblee informative sui luoghi di lavoro o altre iniziative da studiare.
Vento di battaglia frontale? Sì e no, ed è qui che il Direttivo ha preso a discutere con toni sempre più accesi. Intanto perché – nelle stesse ore – i segretari generali di Cisl e Uil «sospendevano» il giudizio sulla «riforma», tornavano a chiedere «rettifiche» e, soprattutto, rivelavano che sull’art. 18 tutti e tre i sindacati confederali avevano presentato una «posizione unitaria» che però era stata seccamente respinta dal governo.
La proposta contemplava che, per i licenziamenti per «motivi economici» fosse ammissibile l’indennizzo accanto al «reintegro», su decisione del giudice. Una «apertura» che il Direttivo della Cgil non aveva mai autorizzato, trovando invece l’unanimità su una sola possibile novità: un’accelerazione del percorso delle cause giudiziarie per art. 18.
Il governo, dimostrando che non teneva in nessun conto questo argomento – più volte sollevato dalle imprese come una «tragedia» -, rinviava la questione a una futura «riforma della giustizia».
Uno, fondamentalmente, il punto vero del confronto interno: l’art. 18 si tocca o no? Le altre questioni – modalità dello sciopero generale, con manifestazione nazionale o meno – che pure da sempre hanno una grande importanza nel definire la «carica politica» di una mobilitazione, sono passate fin da subito in secondo piano.
Ad aprire il fronte delle critiche era stato il leader dei metalmeccanici, Maurizio Landini, che chiedeva di tener fermo il punto già deciso. In molti, ed anche inaspettati, prendevano la parola per «confermare la linea» fin qui tenuta. Tra i più decisi Nicola Nicolosi, membro della segreteria confederale e coordinatore di Lavoro e società, componente di sinistra della maggioranza congressuale. Ma anche dai segretari di pensionati, commercio, pubblico impiego, scuola e università – categorie di grandi numeri e tradizione – giungevano chiari segnali in tal senso.
La conferenza stampa conclusiva, inizialmente prevista per le 15, slittava oltre le 18, senza che una decisione fosse stata presa. Il segretario generale Susanna Camusso doveva tornar dentro per tirare le conclusioni, e lì lo strappo interno diventatava palese. «Non possiamo tenere la posizione che abbiamo tenuto finora – ha detto – dobbiamo fare degli avanzamenti». Il «punto di caduta» immaginato sottotraccia, secondo diversi presenti, era abbastanza identico a quello che nel frattempo il segretario del Pd, Pieluigi Bersani, dettava alle agenzie: «Potere al giudice di decidere tra indennizzo e reintegra in tutti i casi di art. 18». Quindi anche per i casi «discriminatori» e «disciplinari». Una posizione che di fatto rompe la diga sulla tutela dal licenziamento all’interno della Cgil.
Un emendamento che proponeva di fatto «l’art. 18 deve restare così com’è» veniva allora presentato congiuntamente da Gianni Rinaldini, coordinatore de La Cgil che vogliamo e da Nicola Nicolosi. Raccoglieva 30 voti a favore, 5 astenuti e 73 contrari. Il documento generale conclusivo recuperava la maggioranza congressuale (90) solo grazie a una modifica che include la reintegra tra i «diritti essenziali dei lavoratori»; 13 gli astenuti e due i contrari, tra cui Giorgio Cremaschi.
Ci sarà uno sciopero, ma con queste incertezze è difficile che abbia la forza di frenare la deriva e costruire una salda difesa dei diritti. Conquistati, non «acquisiti», dai lavoratori. Grazie anche alla Cgil.

Sciopero generale, quasi
Loris Campetti
Sedici ore di fermata da definire per riconquistare l’art. 18 svuotato del suo potere deterrente. La segretaria Susanna Camusso non fa sconti a Monti, Bonanni e Angeletti Conseguenze gravissime per gli «over 50». Troppo pochi i fondi per gli ammortizzatori, troppo poco contro il precariato
La Cgil ha un suo punto di vista sull’art. 18: non si tocca. L’unica manutenzione possibile per il sindacato di corso d’Italia riguarda la durata dei processi: «Un punto su cui tutti convenivano – dice Susanna Camusso rispondendo a una nostra domanda – che improvvisamente è scomparso, con la decisione del governo di rinviare il problema alla riforma della giustizia». La segretaria generale della Cgil ha nuovamente fatto il punto, ieri sera, sulla fine del confronto tra il governo e le parti sociali per «riformare» il mercato del lavoro. In realtà, l’unico punto su cui il confronto è stato chiuso da Monti è quello che riguarda l’art. 18, cioè il principale. Già oggi infatti le parti tornerano a incontrarsi ma il presidente del consiglio «ha scelto di concludere sull’art. 18 perché il messaggio che vuole portare nel mondo è che in Italia si può licenziare con facilità. Una linea che nulla ha a che fare con la coesione sociale». Invece di cercare investimenti esteri spazzando via i diritti di chi lavora, dice Camusso, dovrebbe difendere quelli italiani che ci sono invece di garantire a Marchionne il diritto di investire e produrre dove gli pare.
Se netta è la posizione della Cgil, la risposta presentata da Susanna Camusso è decisamente articolata. Intanto perché «nulla va dato per perso», dunque la Cgil userà il suo paccetto di 16 ore di sciopero, deciso ieri dal direttivo nazionale, per stare dentro il precorso parlamentare della riforma e tentare di modificarlo. «Inutile girarci intorno – ci ha detto ancora la segretaria generale – il nostro obiettivo è riconquistare le tutele garantite dallo Statuto». La conferenza stampa si è svolta durante una sospensione del direttivo che stava dibattendo sull’opportunità di accompagnare il pacchetto di scioperi con un documento per ribadire la posizione della Cgil, cioè i vincoli non trattabili con le altre parti sociali e il governo dei professori.
Sulle posizioni che si contrappongono nel Pd Camusso non ha voluto esprimersi, salvo ribadire la richiesta che il suo sindacato rivolge a tutte le forze politiche («con maggior forza a chi non giudica positivamente la volontà di isolare la Cgil») di non avvallare la cancellazione delle tutele. Perciò è evidente la scelta di articolare la proposta parlando della possibilità di arrivare a «una fermata contestuale in tutt’Italia con manifestazioni» nei territori. La parola sciopero generale nazionale è ancora difficile da pronunciare, forse un po’ troppo. La violazione dell’art. 18 non è che l’ultimo sorso di coctail avvelenato. Prima è arrivato l’assalto al sistema pensionistico con l’imbroglio che allungando l’età lavorativa e spolpando il valore delle pensioni si sarebbe stimolata l’occupazione giovanile; il secondo atto, dice Camusso, riguarda le liberalizzazioni di cui alla fine sono rimasti solo i punti che colpiscono i lavoratori; e ora tocca all’art. 18: la filosofia di questo governo è che «i costi della crisi devono ricadere tutti sui lavoratori dipendenti e i pensionati».
A qualcosa la trattativa con il governo è servita, secondo la leader Cgil: si è salvata la Cig straordinaria anche se la cancellazione della mobilità avrà «conseguenze drammatiche tra i lavoratori ultracinquantenni». A proposito, Camusso denuncia i continui rinvii nella soluzione del problema aperto con i 350 mila esodati, senza stipendio e senza pensione. Nulla di radicale è avvenuto a favore dell’occupazione e «senza investimenti finalizzati al lavoro non ci sarà inversione di tendenza e non si uscirà dalla recessione» ma si lascerà libertà di movimento a un sistema delle imprese che per recuperare competitività punta solo sulla riduzione del costo del lavoro e dei diritti. Qualche segnale però è arrivato sul versante della lotta alla precarietà, «insufficiente», «debole», e della drastica riduzione delle forme contrattuali neanche l’ombra.
Ma il punto centrale della rabbia che attraversa l’intero corpo della Cgil, facilmente riscontrabile nel volto e nei toni della segretaria e che ha imposto finora una posizione ferma, resta lo sbrego all’art. 18. Che non è aspetto di natura ideologica o politica, dice Camusso, ma economico-sindacale: quel che verrebbe cancellato è il suo potere deterrente: mantenerlo integro solo per i licenziamenti discriminatori è un imbroglio, nessun padrone ammette di licenziare una donna perché è incinta o un uomo perché è di pelle nera. Ed è una bugia esaltare l’estensione a tutti i dipendenti del diritto di reintegro in caso di licenziamenti discriminatori: «a intervenire a tutela di tutti ci sono già la Costituzione e il codice civile».
Non basta: una nota del governo afferma che le modifiche all’art. 18 saranno estese anche ai dipendenti pubblici: fantastico, «così troveranno anche il modo di licenziare un’insegnante perché non si condivide il suo approccio pedagogico». Ma Bonanni nega, troverebbe duro spiegarlo alla sua base «pubblica». A proposito di Cisl e Uil, Camusso ha detto che senza la rinuncia a una posizione unitaria di Bonanni e Angeletti, Monti non sarebbe stato in condizione di chiudere il confronto.
La partita è appena iniziata.
 
da “il manifesto”
 
Il documento finale della Cgil, con tanti passaggi ambigui e un titolo comico.
 

La CGIL si prepara a una mobilitazione dura che cambi le norme del governo

“I provvedimenti del governo sul mercato del lavoro, uniti alle precedenti scelte contengono un evidente tratto di ingiustizia verso lavoratori e pensionati e ripercorrono le strade di altri paesi sul superamento del modello sociale europeo. Il governo punta a imporre un ruolo residuale del sindacato confederale italiano e delle forze sociali e a introdurre un modello assicurativo individuale al posto del patto sociale storico”. Così Fulvio Fammoni, Segretario Confederale della CGIL, ha introdotto i lavori del Direttivo della CGIL riunito a Roma per discutere le contromosse del sindacato.

“Nel corso dei tre anni di governo Berlusconi – ha spiegato Fammoni –  abbiamo svolto un ruolo fondamentale: abbiamo tenuta aperta la speranza di cambiare. Ora dobbiamo passare ad una fase diversa dobbiamo ottenere risultati tangibili e mirare ad un disegno sociale e culturale alternativo: il primo nostro obiettivo è la modifica in parlamento delle norme proposte dal governo a partire da quelle sull’articolo 18”.

Fammoni ha analizzato punto per punto tutte le proposte del governo per la riforma del mercato del lavoro, smontando anche molte delle affermazioni dello stesso governo in particolare sui giovani e gli ammortizzatori. Al contrario moltissimi sono i punti ancora non risolti, soprattutto per quanto riguarda l’accesso dei giovani e per quanto riguarda l’universalità degli ammortizzatori sociali.

“Con le nuove norme – ha detto Fammoni – è molto facile prevedere che nei prossimi due/tre anni si avvii un vero e proprio processo di espulsione di massa di lavoratori ultracinquantenni che si troveranno senza lavoro e senza aver raggiunto i requisiti per la pensione. Con la fine prospettata della mobilità ci sarà un incentivo oggettivo ad espellere il maggior numero di lavoratori e le norme sul lavoro si mescoleranno a quelle sulla pensione. Migliaia di persone potrebbero così restare senza lavoro e senza pensione”.

Fammoni ha criticato anche i meccanismi di accesso alla nuova Aspi e la necessità di fare di più per la cancellazione delle variegate forme di contratto falso autonomo, che nascondono lavoro subordinato a tutti gli effetti.

Fammoni ha anche spiegato che il ruolo del sindacato nel corso della trattativa ha portato comunque a risultati. “Abbiamo introdotto il tema della crisi e dell’emergenza occupazione, spostato la fine degli ammortizzatori in deroga oltre il 2012. Abbiamo ottenuto che la Cassa integrazione straordinaria fosse mantenuta, mentre l’ipotesi iniziale era la sua cancellazione, una transizione di 5 anni”.

Altri risultati sono in tema di stage, tirocini con la cancellazione di una delle forme più precarizzanti come gli associati in partecipazione ma le proposte del governo sui licenziamenti facili e sulla cancellazione dell’istituto della mobilità non vanno bene, così come occorre un vero sistema universale di ammortizzatori sociali. Per questo la CGIL si farà carico di una sua proposta da presentare in Parlamento per cambiare quella del governo.

In ogni caso la CGIL è già pronta a dare battaglia contro le norme proposte dal governo per la riforma del mercato del lavoro e in particolare per l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Una mobilitazione che sarà dura e articolata e che punta a ottenere risultati concreti durante il dibattito parlamentare della riforma. “Non sarà la fiammata che si esaurisce in un giorno che il governo ha messo in conto e abbiamo il dovere di portare a casa dei risultati prima che si avvii un biennio di espulsioni di massa nelle aziende”, ha detto oggi Fulvio Fammoni, segretario confederale, introducendo la riunione in corso del Direttivo nazionale.

Ecco una prima scaletta di massima delle iniziative:

1) Petizione popolare per raccogliere milioni di firme
2) Iniziative specifiche con i giovani per contrastare le norme sbagliate sul precariato
3) Campagna nazionale a tappeto di informazione in tutti i territori
4) Prime mobilitazioni nei posti di lavoro e nei territori
5) Assemblee in tutti i luoghi di lavoro
6) Avvio del lavoro con la Consulta giuridica per i percorsi legali (ricorsi, ecc)
7) 16 ore di sciopero: 8 per le assemblee e iniziative specifiche e 8 ore in un’unica giornata con manifestazioni territoriali e assemblee nei posti di lavoro. La data sarà definita sulla base del calendario della discussione in Parlamento.

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1 Commento


  • Aldo

    Si dice che Napolitano sia il nuovo redentore della patria. Negli ambienti ostili e sordi alle richieste di un popolo ridotto in braghe di tela e prossimo al coma economico, si enfatizzano le gesta del salvatore che con la sua tenacia avrebbe impedito all’italia di finire come la Grecia nella bancarotta infernale. non sarebbe il caso di trasferire il redentore anche in Grecia con al seguito formula e bacchetta magica in grado di sventare a quel popolo fame e miseria?

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