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Fascisti del Terzo millennio e necessari anticorpi

La sede neofascista, un tempo missina, nel quartiere popolare urbano o nel paese dall’elettorato rosso è stata una caratteristica di cui si vantava il gruppo storico degli ex repubblichini che lanciarono nel 1946, complice l’amnistia Togliatti, il Movimento Sociale Italiano: Almirante, Romualdi, Michelini, Rauti. Mettere l’insegna della fiamma, la bacheca del Secolo d’Italia, vergare scritte in vernice nera inneggianti al Duce e alla Repubblica Sociale, affiggere una quantità spropositata di materiale propagandistico frutto di evidenti, lauti finanziamenti ha rappresentato un’attività incessante per tutti gli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta. Seguivano comizi dei vari caporioni e pestaggi opera di attivisti smaniosi di rinverdire fasti squadristi senza olio di ricino ma con randelli in mano e qualche pistola neppure tanto celata. Roma, medaglia d’oro della Resistenza ma anche città storica del regime, aveva e ha quartieri dal cuore nero per tradizione, ceto sociale, elettorato. Un humus transitato dopo la Liberazione nel grande contenitore del conservatorismo moderato democristiano ma pronto all’andirivieni di voti e politici votati alla nostalgia del saluto romano. Eppure la presenza sul territorio cittadino delle sedi del Msi e dei gruppi di pseudo contestazione e reale fiancheggiamento (tipo Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo per citarne i più tragicamente noti) seguivano una mappatura che faceva i conti col contesto in cui il luogo simbolo si trovava.

Mentre ai Parioli (piazza Ungheria), Prati (via Ottaviano), Balduina (via delle Medaglie d’Oro) le sedi missine erano una presenza scontata per gli stessi antifascisti che constatavano come lì l’attivismo nostalgico avesse una relazione con una parte degli abitanti elettori e sostenitori, in varie zone popolari della città quella presenza era esclusivamente simbolica. Prendiamo la fascia est-sud compresa fra le consolari Tiburtina, Prenestina, Casilina, Tuscolana, Appia dalle mura aureliane fin verso il raccordo anulare. Alcune zone mostravano sedi missine attivissime: via Etruria, via Noto e successivamente Acca Larentia, nel quartiere di piccola e media borghesia dell’Appio-Tuscolano. Oppure via Gattamelata al Prenestino. Lì si esercitavano al pestaggio soggetti saliti alla ribalta degli intrighi nazionali (Delle Chiaie) e dell’intrallazzo politico (Gramazio e Storace), rimasti al palo (D’Addio), caduti nel dimenticatoio (Tebaldi guardiaspalle di Almirante), passati a miglior vita (Mancia). Nell’area di San Lorenzo il mito degli Arditi del Popolo e la militanza antifascista, prima del Pci poi dei molti gruppi extraparlamentari non hanno mai concesso spazi a presenze pur simboliche, come mai sedi missine si son viste nei chilometri seguenti a Casalbruciato, Santa Maria del Soccorso, Pietralata, Ponte Mammolo, San Basilio. Né al Quadraro, Pigneto, Villa Gordiani, Quarticciolo, Alessandrino. Un ritrovo neofascista al Tiburtino (via Govean) era punto di sedute carbonare, come in via delle Ninfee a Centocelle e in via Rovetti a Torpignattara.

La provocazione dei luoghi-simbolo nei quartieri proletari pagava poco. Le cronache dell’epoca raccontano di porte murate e saracinesche divelte in ogni modo. Gli assedi spontanei di quelli che la stessa gente del posto chiamava covi erano sì il frutto della controinformazione e della vivacità dell’antifascismo militante, ma al tempo stesso di una diffusa alta coscienza democratica. In via Orti di Malabarba, dove negli anni Settanta c’era ancora qualche baracchetta di senza casa come nel ben più corposo Borghetto Prenestino distante in linea d’area neppure un chilometro, nessun Gramazio e neppure il furbo Delle Chiaie avrebbero azzardato di aprire una sede d’impianto nostalgico. E provocare in pieno giorno con le mazze in mano. L’avrebbero fatto altrove non in quartieri come Casalbertone perché sapevano di non poter godere della complicità dell’ambiente e in tanti casi neppure dell’apatia delle persone. Cambiati i tempi, sdoganata la provocazione, complice stavolta la tolleranza a tutti i costi che ha visto amministratori come Veltroni addirittura contrattualizzare i nuovi covi neofascisti, occorre ostacolare un fenomeno d’infiltrazione del territorio simile a quello missino dei tempi andati. O all’entrismo nelle curve degli stadi negli anni Novanta coi Corsi, Boccacci, Zappavigna. Lì il pretesto era il tifo calcistico, qui è – udite udite – la cultura, espletata non solo dall’estro canoro dei Vattani e Iannone. Le tavole rotonde lanciate da CasaPound di via Napoleone III a cui si prestano nomi noti e meno del fiancheggiamento ideologico neofascista (De Angelis, Veneziani) sono né più né meno del doppiopetto perbenista che per decenni è servito da paravento al partito mazziere.

La destra non è più questa? I fatti, non solo di Casalbertone, dimostrano l’esatto contrario. La vigilanza, lo smascheramento, la chiusura di questi centri della provocazione restano all’ordine del giorno della partita democratica. Perché abbandono del territorio e lassismo ridanno fiato alle nuove camicie nere.

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