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Monti, il servitore furbo di una teoria infame

L’ideologia liberista viene qui ripetuta senza neppure un attimo di riflessione seria, anche perché è “bellissima” per gli interessi da cui è stata partorita.

In pratica, secondo la sua immaginazione, abbassando il costo del lavoro e i diritti di ogni singolo lavoratore si avrà un aumento più o meno significativo del prodotto interno lordo (Pil). Che da oltre 20 anni i salari dei lavoratori dipendenti in Italia siano in calo, senza che ciò abbia prodotto un solo momento di “ripresa”, anzi…, non lo sfiora neppure. I dati diffusi ierid all’Ocse ci semnbrano incontrovertibili, con l’Italia al 23° posto (su 34 paesi industrializzati) per quanto riguarda le retribuzioni). Ma la teoria più stupida del mondo – e la più redditizia per il capitale finanziario – non prevede confronti con la realtà empirica, dunque Monti va per la sua strada. Che è poi quella della Merkel (finché ci sarà; forse per un altro anno, forse meno, se lo Schlewig Holstein farà scomparire l’alleato liberaldemocratico).

La seconda parte del suo ragionamento, infatti, è inequivocabile: l’Europa «eviti politiche che in modo effimero darebbero impressione contribuire alla crescita». Traduzione: l’intervento pubblico, foss’anche solo per garantire un livello decente degli investimenti (senza i quali, dicono gli stessi manuali della Bocconi, la crescita te la sogni…), non deve mai esser preso in considerazione. Punto. È il famoso rigor Montis, che sarà ricordato come un momento di demenza particolare nella storia del capitalismo.

Di conseguenza, un bel niet anche per Hollande, che aveva ipotizzato la revisione di alcuni dei trattati europei meno intelligenti. Il governo italiano, ha sottolineato il premier prestatoci da Goldman Sachs, «non ha alcuna intenzione di mettere in discussione la disciplina di bilancio e il “fiscal compact”».

Pututtavia, il proconsole di Varese sembra esser consapevole che andando di questo passo si conteranno i morti per strada (tra suicidi e affamati, sia chiaro…) e quindi fa capire che anche lui ritiene necessario “agire velocemente per sostenere la crescita”. Quindi, con una giravolta logica che può essergli perdonata solo da un consesso di coimputati, riconosce che «le riforme strutturali e il consolidamento di bilancio, da sole, non generano crescita: dobbiamo salvaguardare quelle spese che generano crescita per il domani. È il caso della spesa per progetti infrastrutturali nazionali ed europei, finanziati dai privati, dal pubblico insieme con i privati, dal settore pubblico». Spendere insomma si può, ma solo se serve a far guadagnare imprese già molto grandi; altrimenti nisba.

Perversa, infine, la contrarietà a sostenere la crescita economica con operazioni di «vecchio stile keynesiano attraverso la spesa in deficit», e l’invito ad evitare «scorciatoie illusorie».

Non poteva mancare un intermezzo mieloso e falso sulla “riforma del mercato del lavoro” attualmente in discussione al Senato. Obiettivo della riforma, ha detto, non é quello «della sicurezza di un lavoro specifico, ma del benessere dei lavoratori»; e in effti, chi sta meglio di un licenziato senza giusta causa, magari più vicino ai 60 anni che ai 50? L’idea, ha tenuto a precisare, è quella «di aiutare i lavoratori nel mercato dei lavori e assistere i licenziati a trovare nuovi posti lavoro sperando in un miglioramento delle proprie qualifiche». La realtà, ci teniamo a precisare, è quella di una vecchiaia di stenti per gente che ha passato tra i 30 e i 40 anni a spezzarsi la schiena. Al contrario di Monti, naturalmente.

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