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Monti-Merkel. La “governance” europea stringe i bulloni

 

C’è un po’ di eccitazione nella stampa padronale italiana. Il palese avvicinamento tra Italia e Germania appare quasi una risposta anticipata all’”eversore” francese, Francois Hollande, prima che possa fare quel che promette in campagna elettorale.

Che possa farlo, non ci credono in molti. I vincoli europei sono forti e vengono stretti ogni giorno più saldamente. Sul piano economico, certo, ma anche su quello militare, poliziesco, giudiziario. La “cessione di sovranità” concordata allegramente al tempo della creazione della moneta unica sta ora andando in pagamento e nessuno può seriamente pensare a invertire la tendenza (nemmeno i più stupidi leghisti di casa nostra o altrui); perché nella storia, banalmente, non ci sono mai “ritorni all’indietro”. Quando la ruota del “progresso” si arresta – come in questi anni di crisi – si apre la strada per un cambiamento traumatico invece che lineare ed evolutivo. La disintegrazione dell’Unione Europea non lascerebbe vivo nessu paese del continente.

Quindi si forza in direzione dell’integrazione, costi quel che costi. Specie se i costi possono essere ancora addebitati ai redditi da lavoro. Non pervenendo opposizioni significative a livello europeo da questo fronte, possono andare avanti speditamente.

L’”accordo segreto” tra Merkel e Monti, come titola entusiasticamente il giornale di De Benedetti, è un pezzo importante di questo passo avanti. L’idea che viene fatta circolare è che si tratti di un “compromesso virtuoso”, con Monti che convince i burberi censori della Bundesbank a essere un po’ più generosi nel permettere la “crescita” e Merkel che segna il punto per aver convinto l’Italia sprecona e spendacciona ad adottare criteri di bilancio rigorosamente teutonici.

Fin qui la propaganda.

Da quel che si capisce, nel concreto, l’unica concessione “strappata” riguarda la possibilità di non comprendere parte della spesa pubblica per investimenti infrastrutturali nel calcolo del debito pubblico dei singoli stati. Ciò permetterebbe di realizzare un po’ di grandi opere, limando verso l’alto qualche decimo di Pil, senza diminuire la pressione estrattiva di reddito su lavoratori e pensionati. Nulla che possa servire a “uscire dalla crisi” o a “rilanciare la crescita” ma – se potesse funzionare – qualcosa di utile a far dire ai leader europei che “stiamo andando nella direzione giusta, i sacrifici stanno dando i loro frutti”.

Che di questo si tratti non lo dicono i giornali padronali, ovviamente, ma la stessa Merkel: «Lo ripeto ancora una volta: non solo crescita con programmi congiunturali, ma anche crescita attraverso le riforme strutturali». Traducendo: un po’ di spesa “congiunturale” sì, ma soprattutto “riforme strutturali” come quella del mercato del lavoro e, a seguire, del fisco. Poi – visto che l’”antipolitica dall’alto” può far leva anche con la preoccupazione popolare opportunamente dirottata contro “i politici” anziché contro il capitale – si può continuare a tagliare occupazione spiegando che il realtà si starebbero “tagliando i costi della politica”. Un esempio? “L’Europa chiede di accorpare le province”.

Le quali, certamente, sono spesso enti quasi inutili, svuotati del senso originario (cerniere di collegamento tra stato centrale potente e amministrazioni comunali addette esclusivamente al piccolo cabotaggio) fin dai tempi dell’istituzione delle Regioni come enti amministrativi. Ma la loro progressiva eliminazione rientra perfettamente anche nel quadro di un allontanamento siderale tra gli interessi ed eventi a orizzonte locale e quelli a dimensione continentale globale.

Monti-Barroso: rigore e investimenti

Beda Romano

BRUXELLES – La drammatica crisi spagnola, oltre che i risultati del primo turno delle elezioni presidenziali francesi, hanno dato una accelerazione al dibattito europeo sulla necessità di sostenere l’economia, pur di evitare un acutizzarsi delle tensioni sociali. Mentre la Germania per bocca del cancelliere Angela Merkel ha dato il suo benestare a “una agenda per la crescita” (tutta da negoziare), si sta facendo strada l’idea di investimenti mirati, quanto generosi è ancora da capire.

In un’intervista alla Leipziger Volkszeitung pubblicata stamani, la signora Merkel ha annunciato in modo un po’ roboante: «Siamo preparando un’agenda per la crescita in vista del vertice europeo di giugno». Il cancelliere ha ricordato che il tema è stato in agenda in numerosi consigli europei dell’ultimo anno: «Lo ripeto ancora una volta – ha voluto precisare -: non solo crescita con programmi congiunturali, ma anche crescita attraverso le riforme strutturali».

La signora Merkel, sempre cauta, non ha dato alcun dettaglio. Più concreto è stato l’esito dell’incontro che il premier italiano Mario Monti e il presidente della Commissione José Manuel Barroso hanno avuto ieri mattina a Bruxelles per una prima colazione. Nel comunicato congiunto i due uomini politici hanno ribadito che il contesto economico richiede «uno sforzo incessante per migliorare la competitività, ma non attraverso livelli più elevati di debito. Il risanamento dei conti pubblici – secondo Barroso e Monti – deve prevedere in parallelo investimenti mirati, per migliorare la competitività e al tempo stesso aumentare la domanda nel breve termine». La presa di posizione giunge dopo che il premier italiano giovedì aveva sostenuto la necessità di sostenere la domanda sia per facilitare il risanamento dei conti pubblici, sia per smorzare la crisi sociale, in particolare in una Spagna con un tasso di disoccupazione del 24,4%.

Monti ha quindi proposto giovedì un piano di investimenti. Come minimo lo sguardo corre ai project-bonds. L’obiettivo è di avere a disposizione almeno 3,5 miliardi di euro da utilizzare in progetti infrastrutturali. Le obbligazioni proposte dalle autorità comunitarie saranno oggetto di un primo negoziato tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione il 7 maggio. Un voto dei deputati in plenaria potrebbe giungere in luglio, seguito dall’accordo dei governi.

Il successo del Fronte Nazionale in Francia in occasione del primo turno delle elezioni presidenziali, così come la gravissima situazione sociale in Spagna, stanno preoccupando non poco l’establishment europeo, e hanno dato impeto al dibattito su un nuovo mix di politica economica. In un discorso pronunciato in Romania questa settimana, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy si è detto allarmato dai «venti del populismo».

Si sta formando un consenso intorno all’idea di rilanciare l’economia e anche un piano di investimenti piace in molti paesi. Ma sarà abbastanza generoso per essere efficace? Se Barroso e Monti parlano di investimenti “mirati” è anche per evitare di innervosire la Germania. Ieri a Berlino Michael Meister, un deputato democristiano vicino alla signora Merkel, ha avvertito: «Mettere soldi in una economia con problemi strutturali non permette di risolvere i problemi strutturali».

Agli occhi dei tedeschi gli aiuti all’economia non devono essere un modo né per lasciare correre il deficit né per sfuggire ai sacrifici. Non per caso, nell’entourage di Van Rompuy si sottolinea l’importanza di evitare che la maggiore attenzione alla crescita venga interpretata come un modo per eludere la riduzione del debito, che invece deve proseguire. Si vuole poi evitare che il dibattito sul nuovo mix di politica economica si trasformi in uno scontro tra destra e sinistra.

 

 

L’Europa prepara un «piano Marshall» con 200 miliardi € di investimenti per rilanciare la crescita

La Commissione europea prepara una sorta di ‘Piano Marshall’ in grado di mobilizzare 200 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati per riattivare la crescita in Europa. Lo scrive El Pais citando fonti europee. Secondo il quotidiano il piano verrà presentato in occasione dell’incontro dei capi di stato e di governo dell’Ue in programma a fine giugno.

Eurobond, Bei ed Efsm: le tre soluzioni sul tappeto
Questo progetto, secondo il quotidiano spagnolo, include diverse strade già discusse da mesi dagli stati membri: grandi prestiti europei (sotto forma di eurobond), un maggior coinvolgimento della Banca europea degli investimenti (Bei) e l’intervento del meccanismo di stabilità finanziaria permanente della Ue (Efsm). In particolare, una delle opzioni di finanziamento passa attraverso l’iniezione, da parte dei paesi membri, di dieci miliardi di euro nel capitale della Bei: ma questa strada, secondo El Pais, è meno probabile considerata la attuale «asfissia» dei conti pubblici dei Paesi. Un’alternativa sarebbe quella di utilizzare i 12 miliardi di euro non ancora utilizzati dell’Efsm e usarli come capitale della Bei come «garanzia per attivare progetti di infrastrutture pubblico-privati attraverso strumenti finanziari sofisticati e con i project bond».

La spinta dal caso Hollande
Bruxelles, scrive il quotidiano, ha già iniziato a far circolare queste opzioni, anche grazie all’impulso del candidato alle presidenziali francesi Francois Hollande, che nella sua campagna ha parlato del potenziamento della Bei per favorire la crescita.

 

Da Il Sole 24 Ore

 

 

 

Piano segreto Monti-Merkel, road map parallela per la crisi

Trattativa per un patto su rigore e crescita. Approvazione in contemporanea dei due Parlamenti del “fiscal compact”. L’obiettivo è orientare i tedeschi verso gli eurobond e lo scorporo dal deficit degli investimenti

di FRANCESCO BEI
UN’ITALIA più tedesca sul rigore, una Germania più italiana sulla crescita. È questa doppia metamorfosi l’obiettivo di una serrata trattativa segreta sull’asse Roma e Berlino. Un asse che potrebbe portare, nel giro poche settimane, alla più spettacolare operazione di marketing politico europeo dai tempi dei Trattati di Roma: la sincronizzazione dei processi di ratifica del Fiscal Compact e del Fondo Salva Stati (Esm) nel parlamenti di Roma e Berlino. Lo stesso giorno. Con la stessa maggioranza larga di unità nazionale. Con Mario Monti e Angela Merkel riuniti insieme ad assistere all’evento, incorniciato da una “dichiarazione solenne” sul comune destino europeo. Per mostrare ai mercati l’immagine di un’Italia definitivamente avviata alla disciplina di bilancio, con biglietto di sola andata. Per insinuarsi nella crisi dei rapporti tra Francia e Germania, favorita dall’ascesa di Hollande all’Eliseo, e sostituire Parigi nel rapporto privilegiato con Berlino. Ma anche per lasciarsi finalmente alle spalle “il rigore cieco” e puntare davvero a un nuovo patto per la crescita, un “Growth Compact” dopo il famigerato “Fiscal Compact”.

LA TRATTATIVA
Nel governo ci hanno lavorato in tre nel più totale riserbo. Il progetto è in fase di avanzata discussione. Mario Monti ne ha discusso più volte con la Cancelliera federale. Enzo Moavero e Vittorio Grilli hanno tenuto i contatti con Wolfgang Schaeuble, il ministro delle finanze tedesco, e con il negoziatore europeo della Merkel, Nikolaus Meyer-Landrut. Ma è stato informato anche il presidente della commissione Esteri Lamberto Dini, perché il piano Monti-Merkel prevede anche un forte coinvolgimento del Parlamento italiano e del Bundestag. Nel progetto una delegazione di deputati tedeschi dovrebbe infatti seguire i lavori di ratifica italiani, mentre analoga missione di onorevoli e senatori – in qualità di “osservatori” – sarà inviata al Bundestag. Allo stesso modo il ministro Schaeuble verrà in audizione davanti alla commissione esteri del Senato. E Moavero o Grilli prenderanno lo stesso giorno il biglietto per Berlino. Così via, passo dopo passo. Sempre insieme. Fino alla prevista ratifica “prima dell’estate”, possibilmente in tempo per arrivare al Consiglio europeo di fine giugno con i “compiti a casa” svolti per bene. Il perché lo spiega il ministro Moavero: “Vogliamo mettere la Germania alla prova, ma come si fa con un amico: senza minacce, mano nella mano”.

“SINCRONIZZAZIONE POLITICA”
E tuttavia non si tratta solo di un’operazione di immagine. Il governo italiano punta infatti a una forte “sincronizzazione politica” fra le due capitali. Alla ricerca di un “idem sentire” che orienti la Germania verso gli eurobond e la Golden rule, ovvero la possibilità di prevedere un trattamento di favore per gli investimenti (fino a scorporarli del tutto) nel conteggio del deficit. Le uniche mosse credibili per ridare un po’ di ossigeno all’economia del Continente. Il fatto è che Angela Merkel, al momento, è in difficoltà a casa sua. E questo, per Roma, costituisce un’opportunità. La Corte di Karlsruhe – visto che il “Fiskalpakt” modifica la legge costituzionale – impone infatti che la ratifica del trattato avvenga con la maggioranza dei due terzi del Bundestag.

IL NODO SPD
Per farla passare la Cancelliera dovrà quindi venire a patti con la Spd. Ed è proprio su questa inattesa sponda politica che contano gli italiani per ammorbidire Frau Merkel. L’opposizione tedesca ha infatti già messo in chiaro che i voti arriveranno solo a condizione che il governo federale si apra alla Tobin tax e a una qualche forma di investimento pubblico europeo per sostenere la crescita. Esattamente quanto chiede da mesi Roma a Berlino.

GRANDE COALIZIONE
Per questo Monti ritiene importante che nelle due capitali, nello stesso giorno, si manifesti lo stesso arco costituzionale – una maggioranza di unità nazionale – a sostegno dei due governi. “Se in Europa – osserva ancora Moavero – si vogliono fare grandi cambiamenti, come quelli che necessariamente vanno fatti perché non crolli tutto, occorre che la questione sia presa in mano dalle grandi famiglie europee. Insieme: popolari e socialisti”.

C’È ANCHE LA CRESCITA
Il ministro per gli affari europei, “longa manus” di Monti a Bruxelles, aggiunge anche una nota d’ottimismo: “Le cose si stanno muovendo nella direzione giusta, non c’è più soltanto il rigore cieco. E l’Italia è pienamente coinvolta, per la prima volta da anni, in questi processi”. “Quando – racconta – all’inizio del mandato, insieme a Monti, siamo andati in giro per l’Europa, ci hanno detto che era per genufletterci. Poi però, a Strasburgo, Monti è stato invitato da Merkel e Sarkozy: e allora siamo stati accusati di voler fare un direttorio a tre invece che a due. I nostri critici sbagliavano ancora. Tanto che poco dopo abbiamo fatto uscire fuori quella lettera sulla crescita, firmata da dodici premier europei, che rompeva la logica del direttorio. Questo per dire che ci muoviamo a tutto campo, sparigliando, seguendo schemi inattesi. E la parola dell’Italia conta, per la prima volta da tempo, conta. Fidatevi”. Intanto qualcosa Roma ha già ottenuto. Nei giorni scorsi poi Moavero è riuscito a convincere quasi tutti gli altri “contributori netti” europei – Germania, Francia, Olanda, Finlandia, Austria, Danimarca – a riorientare i quasi 430 miliardi del bilancio dell’Unione per il quinquennio 2014-2020 dai settori tradizionali come l’agricoltura alla crescita.

 

da Repubblica

 

 

 

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1 Commento


  • ipanema66

    Quindi,se ho ben capito,non si esce dalla morsa stretta dal capitale e inutili risulterebbero i tentativi di resistergli a livello di nazione.Ne deriva, a questo punto, una considerazione: se lo scenario è così cupo e privo di prospettive per la classe,ci vorranno decenni per far rinascere quella coscienza di sè,combattiva e radicalmente altra rispetto alla strategia genocida della borghesia globalizzata.Questa volta,però,non concordo del tutto con la redazione; ritengo invece sia possibile,fatto salvo il quadro generale,una controffensiva dei lavoratori(interna ai vari paesi europei),che serva da traino e da esempio via via a tutti gli altri.Guardo con speranza alla Francia,senza farmi soverchie illusioni sulla riformabilità della troika,ben sapendo che non servirà a ridare potere alle classi dominate,ma ad aprire una breccia nel solidissimo fortilizio costruito dall’oligarchia politico/finanziaria.Se così non fosse, a che servirebbe darsi una prospettiva di cambiamento dei rapporti di forza fra capitale e lavoro?

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