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Trieste: poliziotto nazista indagato per omicidio

Mele marce e cuori neri: così potremmo riassumere una vicenda che sta mobilitando la stampa locale ma non ancora quella nazionale. Forse perché l’accostamento tra ‘malapolizia’ e infiltrazioni neonaziste nelle forze dell’ordine emerge così netto da spaventare più di una redazione. Eppure i media locali friulani e qualche blog hanno raccontato in questi giorni una vicenda che definire inquietante è dir poco.

Carlo Baffi, un dirigente dell’Ufficio immigrazione della questura di Trieste, è infatti indagato per omicidio colposo e sequestro di persona in relazione al “suicidio” di una ragazza, Alina Bonar Diachuk. La giovane, una ucraina di 32 anni, è morta il 16 aprile scorso in una cella del Commissariato di Villa Opicina, dove era stata rinchiusa illegalmente in attesa dell’espulsione. Un suicidio che era apparso da subito poco credibile, e che aveva fatto scattare una indagine che ha portato all’incriminazione di Baffi per sequestro di persona e omicidio colposo.
Gli inquirenti hanno così ricostruito la vicenda: Alina Bonar Diachiuk era stata scarcerata in forza di un provvedimento del giudice Laura Barresi il 14 aprile dopo una sentenza di patteggiamento per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dal punta di vista giuridico la ragazza risultava libera, ma era stata “prelevata” come fosse in arresto da una pattuglia che, su disposizione dell’ufficio immigrazione diretto da Carlo Baffi, l’aveva condotta al commissariato di Opicina. Lì era stata rinchiusa – illegalmente – in una cella in attesa del provvedimento del questore e di un’udienza davanti al giudice di pace che però non era stata affatto richiesta dagli agenti. Lì, su una panca, davanti all’obiettivo di una telecamera a circuito chiuso, si è impiccata legando una cordicella al termosifone. Forse un gesto dimostrativo, una estrema denuncia da parte della ragazza che però ha portato alla sua morte, dopo quaranta minuti di agonia, senza che l’agente di guardia si premurasse di controllare il monitor sulla sua scrivania.
Durante le indagini gli inquirenti hanno sequestrato 49 fascicoli in originale relativi ad altrettanti cittadini extracomunitari anch’essi, in attesa dell’espulsione, detenuti illegalmente al commissariato di Opicina. Una pratica consolidata, un vero e proprio sistema che è assai improbabile che abbia avuto per protagonista il solo Baffi, che però per ora rimane l’unico indagato.
Come se non bastasse durante la perquisizione nella sua abitazione e nel suo ufficio, all’interno della Questura del capoluogo friulano, i finanzieri e i poliziotti hanno trovato busti e poster di Mussolini, e vario materiale di propaganda neofascista e antisemita. C’erano anche una vecchia sciabola, un fermacarte con impresso il fascio littorio e un piccolo cartello su cui, accanto all’indicazione “Ufficio epurazione”, era stampata la faccia di Benito Mussolini. Un accostamento, quello tra immigrazione ed epurazione, che dimostra quanto fosse cosciente e sistematica la persecuzione ai danni dei cittadini stranieri che gli capitavano a tiro in qualità di Dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Polizia di Trieste. Possibile che la sua attività fosse passata inosservata ai suoi colleghi?

Puntuale, come in ogni caso di “malapolizia”, è giunta una presa di posizione dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia – dall’inquietante titolo ‘Solidarietà al collega Carlo Baffi e fiducia nella magistratura” – che invita gli inquirenti e i giornalisti a non associare il personaggio all’estrema destra, in quanto nella sua casa sarebbe stato trovato un non meglio precisato materiale di ‘estrema sinistra’, per altro ritenuto non interessante e non pertinente dai magistrati. Insieme a libri di chiaro stampo antisemita – «Come riconoscere e spiegare l’ebreo», «La difesa della razza», «Mein Kampf» – gli agenti avrebbero trovato anche «La questione ebraica» di Marx. Un libro che Baffi, ammesso che l’abbia letto, avrà trovato assai poco pertinente alle ideologie complottiste e paranoiche che caratterizzano l’estrema destra. Ma la differenza sfugge al sindacato di Polizia che scrive: “Ci auguriamo, dunque, che le indagini in corso possano essere svolte con la necessaria serenità, imparzialità e completezza, attraverso l’analisi e l’acquisizione di tutta la documentazione potenzialmente utile a ricostruire i fatti accaduti e la complessiva personalità degli indagati e non solo di parte di essa”. 

Una dura presa di posizione è venuta sulla vicenda da parte delle istituzioni della comunità ebraica locali e nazionali. Che però considerano, come spesso avviene, solo alcuni aspetti della vicenda – l’antisemitismo – e non la denunciano per la gravità che essa acquisisce in un contesto di crescente complicità tra apparati di ordine pubblico e pratiche criminali ispirate alle ideologie del neofascismo e del neonazismo. Basterebbe citare il voto massiccio dei poliziotti ateniesi per i neonazisti di Alba Dorata o le complicità e le coperture accordate negli ultimi anni ai killer neonazisti della ‘banda del kebab’ in Germania, solo per citare alcuni esempi, per dar conto di un fenomeno che va molto al di là dell’aumento dell’antisemitismo pure giustamente denunciato dai portavoce delle istituzioni ebraiche rispetto alla vicenda triestina. Non fosse altro che per il fatto che le vittime del poliziotto fascista e xenofobo sono, per quello che finora è dato sapere, tutti cittadini stranieri.

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