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Brindisi. Un nome, un fermo. Non è lui

Ha lasciato la questura di Brindisi a bordo di un’auto della polizia per tornare a casa la persona condotta negli uffici della polizia questo pomeriggio per essere ascoltata “come testimone”. Lo spiega il capo di gabinetto della questura di Brindisi, Anna Palmisano.

“Non c’è nessuna svolta né ci sarà nelle prossime ore”, ribadisce il capo di gabinetto della questura di Brindisi, Anna Palmisano, che parla di “situazione fluida” e di lavoro “su vari fronti”.

“Non ci sono arrestati, non ci sono fermati, non ci sono indagati in questo momento e non ce ne saranno nelle prossime ore”.

L’ipotesi che fosse stato individuato l’uomo inquadrato dalla telecamera del chiosco davanti alla scuola, mentre maneggiva il telecomando che dava il via alla strage è svaporata in serata. La tensione in città era salita al punto che  alcuni giovani brindisini avevano assalito  un’auto civetta nella quale pensavano ci fosse una delle persone coinvolte nella strage e che è stata presa a calci e pugni.

“Fateci lavorare – ha proseguito la dottoressa Parmisano – vi preghiamo di farci lavorare, perché si sta creando tensione e perché non deve più accadere quello che è accaduto pochi minuti fa. Per lavorare bisogna consentire alle persone di essere sentite, siano esse testimoni o persone che devono poter venire in questura”.

L’assedio dei giornalisti, insomma, ha travolto un piccolo ufficio non abituato a tanta pressione. Ovviamente questo interferisce pesantemente con le stese indagini, toglie freddezza agli inquirenti, spinti (parliamo del personale meno qualificato, quello che “orecchia” quel che si dicono magistrati einvestigatori) a dare per certo quel che è solo un indizio ancora da varificare.

E’ stato Interrogato per ore e poi rilasciato, tenuto in questura insieme al fratello sotto torchio per una giornata e mandato a casa a tarda sera, il tecnico tv con una mano lesa e l’andatura zoppicante che era sembrato identico all’uomo nel filmato.

Nei confronti del fermato (o dei fermati), è stato detto a un certo punto, sono scattati «controlli di routine per verificare l’alibi in seguito a una delle segnalazioni che stanno arrivando e che necessitano di verifica». Nelle stesse ore circolavano già nome, cognome, inquadratura dell’abitazione e altri dettagli che davano per certa l’identificazione dell’attentatore. Ma era tutto molto sbagliato.

La polizia è entrata in casa del sospettato che corrispondeva all’identikit dello stragista. Claudio Strada, al momento dell’arrivo della polizia era irreperibile e questo è apparso una conferma. Un tecnico che ripara tv, invalido. In casa era presente il fratello. Gli artificieri hanno perquisito l’abitazione e portato via materiale.

L’ipotesi di reato è stata cambiata in “strage aggravata dalla finalità di terrorismo”, il reato contemplato nell’articolo 270 del codice penale. Un modo “cavilloso” per attribuire alla procura distrettuale antmafia di Lecce, anziché alla procura di Brindisi, la leadership nelle indagini. Una visione rivendicata dal procuratore nazionale della Dia, Grasso, al termine di una ragionamento tautoligo ma contorto: “Le finalità di terrorismo sono evidenti. Tolta l’ipotesi del  fine personale nei confronti delle vittime, non c’è dubbio che qualsiasi altra ipotesi ha un effetto di terrorismo, sia che venga fatto da un singolo isolato, sia da un pazzo, sia da un’organizzazione eversiva, dalla mafia o dalla Sacra Corona Unita”. In ogni caso, prosegue Grasso, “l’effetto è terroristico, intimidatorio e questo produce la competenza della procura distrettuale Antimafia o di quella competente per atti di terrorismo”. Di notte tutte le vacche sono nere, quindi è un delitto notturno. C’è da sperare che chi indaga davvero non ragioni allo stesso modo…

Tutte le ipotesi tornano a questo punto in campo.

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