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Il bluff del “Decreto sviluppo”

 

Un pacco alla Tremonti. Come il predecessore, il governo Monti fa finta di “stimolare la crescita” con un pulviscolo di microinterventi basati sulla defiscalizzazione. Favorite in questa direzione soltanto l’edilizia e le infrastrutture, ma solo se il mercato si rimette in moto da solo. Da sottolineare il rinvio – anche questa era un’idea berlusconian-tremontiana – denn’entrata in azione del Sistri, il sistema di tracciabilità dei rifiuti che era stato pensato per limitare i danni prodotti dal monopolio mafioso su discriche e traffico dei rifiuti. Non c’è dubbio che ringrazieranno per l’attenzione.

Sul fronte incentivi, la cosa è anche più chiara. Si sopprimono 43 vecchie formule che evidentemente non hanno funzionato, e le mancate entrate (l’incentivo è una defiscalizzazione, quindi si traduce in un minore introito per lo stato) vengono dirottate sul altri meccanismo. Ma senza un solo euro in più; soprattutto, senza “promuovere” realmente alcunch*. Se qualcuno vuole fare, faccia; avrà meno tasse da pagare. Se vuole restare fermo, va bene lo stesso. È crescita, questa?

Alcune “perle”, poi, svelano la concezione “economica” di questa banda messa lì per conto terzi: c’è il via libera alle trivellazioni sotto costa per alcune e selezionate compagnie, ma anche la neutralizzazione degli ecoincentivi per il risparmio energetico degli edifici. Di fatto, si riduce l’incentivazione dell’investimento “green economy”.

Il Sole 24 Ore prova a parlarne bene, ma si sente che non gli riesce. I giannizzeri di Repubblica, invece, sparano cifre da capogiro “80 miliardi per la crescita”. Poi uno legge e escopre che non ci sono; si tratta di calcoli improbabili sugli “effetti possibili” dell’intero pacchetto se le cose dovessero andare bene e tutto filasse liscio. E anche il Corriere della sera non riesce a mascherare bene un certo disappunto, nonostante l’editoriale “embedded” di Dario Di Vico. Massimo Franco è decisamente più problematico.

Intanto il testo del decreto:


Ecco punto per punto cosa c’è nei 61 articoli del decreto sviluppo

Via libera al decreto crescita. Il provvedimento varato dal consiglio dei ministri si compone di 61 articoli (sono stati approvati «salvo intese» quelli relativi all’Agenzia digitale perché aggiunti in extremis). Due i pilastri del Dl: infrastrutture ed edilizia da un lato e misure per le imprese dall’altro.

Bonus Irpef. Nel Titolo I spiccano i nuovi bonus Irpef per lavori di ristrutturazione e per riqualificazione energetica che vengono allineati al 50%. Per le ristrutturazioni si tratta di un innalzamento, fino al 30 giugno 2013, delle soglie di detrazione al 50% (dal 36%) per lavori fino a 96mila euro (attualmente fino a 48mila), Il bonus per l’efficienza energetica, invece, scende al 50% ma sarà prorogato di sei mesi fino al 30 giugno 2013 (fino al 31 dicembre 2012 resta del 55%).

Edilizia-infrastrutture. Scatta il ripristino Iva per cessioni e locazioni da parte delle imprese edili di nuove costruzioni favorendo la possibilità per i costruttori di accedere a compensazioni fiscali. Vengono resi più appetibili i project bond attraverso il trattamento fiscale degli interessi, allineato a quello dei titoli di Stato. Spazio al piano nazionale per le città, per interventi di riqualificazione nelle aree urbane, all’avvio dell’autonomia finanziaria dei porti (con 70 milioni), all’utilizzo da parte dei Comuni dei crediti di imposta per la realizzazione di opere infrastrutturali. Viene elevata dal 50 al 60% la quota dei lavori che i concessionari sono tenuti ad affidare attraverso procedure di evidenza pubblica.

Pa e Sistri. Nel Titolo II si stabiliscono misure di trasparenza per la pubblica amministrazione: tutte le forniture e le consulenze oltre mille euro dovranno essere pubblicate online. La stessa regola varrà per sussidi ed ausilii finanziari alle imprese. Nasce l’Agenzia digitale per accelerare la diffusione delle reti a banda larga di nuova generazione. Viene sospesa l’entrata in operatività del Sistri (sistema di tracciabilità dei rifiuti). La srl semplificata si estende anche agli over 35 che saranno però tenuti al pagamento dei diritti di bollo.

Incentivi. Nel pacchetto per le imprese spicca il riordino degli incentivi con la creazione del Fondo per la crescita sostenibile in cui confluirà quanto recuperato da una razionalizzazione che porta all’abrogazione di 43 norme nazionali. Il Fondo, che avrà una dotazione iniziale di 300 milioni (più 300 milioni recuperabili dalla vecchia programmazione negoziata), sarà finalizzato a tre obiettivi: innovazione, internazionalizzazione, rilancio delle aree di crisi. Al Fondo verranno inoltre accorpate le risorse del Fri gestito dalla cassa depositi e prestiti per circa 1,2 miliardi. Il credito di imposta non riguarderà gli investimenti ma solo le assunzioni di personale qualificato.

Credito di imposta riconosciuto nella misura del 35%, con un limite pari a 200mila euro a impresa. Esordiscono i mini-bond per le piccole e medie imprese. Si stima un impatto di 4mila assunzioni. Spunta un’iniziativa per la “green economy”: si estende il finanziamento agevolato previsto dal fondo Kyoto a soggetti pubblici e privati che operano in settori specifici dell’economia verde.

Mini bond. Passa poi l’apertura al mercato dei capitali per le società non quotate. Anche le pmi non quotate potranno emettere strumenti di debito a breve termine (cambiali finanziarie) e a medio lungo termine (obbligazioni e titoli similari, obbligazioni partecipative subordinate) con il supporto di “sponsor” che assistono gli emittenti e fungono da market maker garantendo la liquidità dei titoli.

Diritto fallimentare. Novità sul diritto fallimentare: viene introdotta, sullo stile del Chapter 11 degli Usa, la possibilità di depositare un ricorso contenente la semplice domanda di concordato preventivo, senza la necessità di produrre contestualmente tutta la documentazione finora richiesta.

Giustizia. Nel capitolo giustizia, orientato alla riduzione dei tempi dei processi civili, spicca il filtro all’appello, in cui un giudice singolo valuta se un appello è palesemente inammissibile. Modifiche alla legge Pinto per renderla più efficace.

da Il Sole 24 Ore


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Un segnale di svolta che per ora argina il nervosismo diffuso

Massimo Franco

Probabilmente è vero che si tratta di un segnale di svolta. Eppure non si capisce ancora se il decreto per lo sviluppo approvato ieri dal Consiglio dei ministri possa portare davvero a un cambio di passo effettivo, e in quali tempi. Il provvedimento, che aspira a mettere in circolo addirittura 80 miliardi di euro, dovrà ricevere una copertura finanziaria adeguata. Per il momento, sembra una lista di impegni che intende sottolineare soprattutto una nuova fase per il governo di Mario Monti. D’altronde, nel momento in cui Italia e Francia cementano il loro asse per la crescita nella speranza di convincere la Germania al Consiglio europeo di fine mese, bisognava accompagnare l’intesa con un’iniziativa vistosa. E quella di ieri, presentata con solennità insieme al ministro dello Sviluppo Corrado Passera e al viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, lo è.

Certo, comunicare che il decreto è approvato «salvo intese» inserisce un elemento di ambiguità non tanto lessicale ma politica. Nel recente passato, una simile precisazione non ha portato fortuna a misure come quella sulla riforma del mercato lavoro. Ma quando il capo del governo spiega che il Consiglio dei ministri si è ispirato al concetto di «crescita e riduzione della dimensione del peso dello Stato», rivela intenzioni non banali. Conferma che il tentativo di Palazzo Chigi, nei pochi mesi a disposizione della coalizione dei tecnici prima di tornare alle urne nel 2013, è di mettere in moto dinamiche destinate a durare; e indipendenti dalla permanenza di Monti.

Siccome nessuno è in grado di scommettere sulla fisionomia parlamentare delle Camere di qui a un anno, la sensazione è che il premier cerchi di incanalare la politica economica in modo tale da rendere più difficile un ritorno indietro: chiunque vada al governo dopo i tecnici. Come ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, quanto ha fatto Monti finora è «sufficiente per ridare credibilità all’Italia»; ma adesso, aggiunge, occorre anche altro. E quanto è uscito ieri dal Consiglio dei ministri costituisce una risposta attesa da tempo. Le cautele dei partiti, però, sono vistose; e quella del Pd è al limite dello scetticismo. «Ci sono cose buone ed altre che si capiscono poco», confessa il segretario, Pier Luigi Bersani. «In Parlamento bisogna mettere dentro qualcosa. Vediamo se c’è qualche soldo». Ma i rilievi del leader del centrosinistra non si limitano alle decisioni prese ieri a Palazzo Chigi.

Rispecchiano un’insofferenza più generale e di fondo nei confronti di Monti. Sostenere il governo «è una fatica ogni settimana di più», avverte. «Noi siamo leali, abbiamo preso un impegno e andiamo fino in fondo: ma non arrendevoli». Non significa spingersi fino alle posizioni demolitorie di un Antonio Di Pietro, per il quale il premier è solo il continuatore della politica berlusconiana. Ma l’insofferenza è palpabile, e condivisa col Pdl. I due maggiori azionisti della coalizione dei tecnici sono anche i più critici. E non perdono occasione per ribadire un affanno che al partito di Silvio Berlusconi serve anche per giustificare il calo verticale nei sondaggi. Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ripete in continuazione che l’elettorato di centrodestra non ama Monti: sebbene sottovoce molti ammettano che le cause del suo insuccesso sono più remote nel tempo.

La recriminazione, tuttavia, non va sottovalutata. Può crescere se il risultato delle elezioni greche di domenica sarà letto come un ulteriore colpo alla moneta unica; e se si profilerà, se non l’uscita della Grecia dall’euro, la tentazione di delineare una Ue a due velocità: quella del Nord, più rapida e virtuosa; l’altra, mediterranea, rallentata dai suoi presunti vizi finanziari e storici. Il fatto che nel colloquio di ieri fra Napolitano e il presidente tedesco, Joachim Gauck, l’ipotesi sia stata scansata come «lo scenario peggiore», è un buon segno. Ma c’è un’insidia in agguato: che l’Europa «non prenda tutte le decisioni necessarie con tempestività e chiarezza», avverte Napolitano. In fondo, l’incertezza drammatica di queste settimane è figlia dell’indecisione colpevole dei mesi passati.


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