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Vita precaria, incentivo al sommerso

Partiamo dall’articolo de “il manifesto” di oggi, che stabilisce un legame forte tra disoccupazione, precarietà, lavoro nero, economia sommersa, “compromissione” delle forze dell’ordine con i fenomeni che dovrebbero teoricamente combattere. E proseguiamo poi con un’inchiesta di Repubblica che fornisce informazioni interessanti senza fornire però alcuna chiave interpretativa a livello sociale. Tantomeno chiamando in causa, come sarebbe logico, le scelte dei governi degli ultimi venti anni e di quello attuale in particolare.

 

Vita precaria, un incentivo al «sommerso»
Francesco Piccioni

Una lunga strada piena di grandi successi. Tre decenni di politiche economiche, di «riforme» del mercato del lavoro, di «riforme» pensionistiche, tutte motivate con la necessità di «aiutare i giovani» a trovare un’occupazione ed ecco qui i risultati. Un tasso di disoccupazione giovanile vicino al 34%, accompagnata da un’occupazione per due terzi precaria e ricca di «part time involontari», è qualcosa di più di una «generazione perduta». Indica che la crisi – globale, oggettiva, indiscutibile – è stata aggravata da scelte scellerate, a loro modo «pro cicliche», che aggiungono disastro a disastro.
Alzare l’età pensionabile in regime di articolo 18 significava «tecnicamente» ridurre l’occupazione giovanile – generalmente precaria – alla prima recessione, con le aziende che preferiscono mantenere al lavoro gente esperta, anche se relativamente più costosa. È quello che è accaduto finora. Quando entreranno a regime gli effetti della cancellazione dell’ultima tutela degli occupati vedremo verosimilmente il processo opposto, con un relativo aumento di giovani presi con contratti «atipici» (quindi senza alcuna speranza di arrivare alla vecchiaia con pensioni dignitose) e crescita della disoccupazione per le fasce più mature. Figli pagati poco e padri senza più lavoro. Un vero successo dettato da tanto amore per «l’equità».
Si può obiettare che sarebbe ingiusto addebitare al governo in carica tutte le responsabilità per questa situazione. Se – come ha rivelato ieri un’inchiesta giornalistica – circa il 30% degli effettivi nelle «forze dell’ordine» ha un secondo lavoro, non autorizzato in nove casi su dieci, la colpa va equamente distribuita a tutti gli esecutivi che hanno cercato di ridurre la spesa pubblica incidendo sulle «partite correnti» (stipendi, turnover, ecc) pur di non toccare l’universo più che opaco degli appalti, altre voci «straordinarie» o l’evasione fiscale. Fino all’esito assolutamente paradossale di avere una massa di «uomini della legge» che lavora per gente che dovrebbe arrestare in flagranza di reato. Difficile persino immaginare cosa possa avvenire nei territori più abbandonati del Sud, ma abbiamo negli occhi la realtà dei quartieri metropolitani.
L’Eurispes – nel suo rapporto intitolato «Italian Spread, la differenza fra ricchezza, redditi dichiarati e tenore di vita» – quantifica il fatturato dell’economia sommersa in 530 miliardi l’anno. Un terzo del Pil «legale», che per quest’anno diminuirà di oltre il 2%. Un universo fatto per metà di lavoro nero (migranti clandestini e carabinieri fuori servizio nello stesso cantiere edile, magari di proprietà oscura) e per il 30% di evasione fiscale da parte di imprese «legalissime».
La retorica legalitaria non riesce nemmeno a cogliere questa realtà, fatta di confini evanescenti e figure spurie, se non compromesse. Le politiche che insistono per diminuire i redditi e i diritti del lavoratore «in chiaro» sono automaticamente scelte che spingono verso le «integrazioni» di reddito offerte dall’economia sommersa. Sono insomma «incentivi» che generano «complicità» oggettive, a livello sociale, persino tra criminalità e «tutori della legge». Perché la libertà di un uomo è prima di tutto libertà dal bisogno. E quindi, è vero, questo governo non ha tutte le colpe. Soltanto una: quella di accelerare in vista dell’abisso.

da “il manifesto”

Ed ecco nel dettaglio la “scoperta” fatta da Repubblica on line.

La second life dei poliziotti
Poliziotti di giorno, camerieri di notte; così la crisi (im)piega le forze dell’ordine
di VALERIA TEODONIO, FABIO TONACCI
L’appuntato Pietro è stanco. La sua doppia vita lo sta sfinendo. “Ma non ho scelta  –  racconta mentre si toglie la divisa da carabiniere  –  ho due figli all’università, li devo pur mantenere in qualche modo, no?”. Sono le 7 di mattina, un martedì di luglio a Napoli, già si boccheggia per l’afa. Pietro è appena rientrato a casa, tra un’ora lo aspettano in un appartamento da ristrutturare. Oggi gli toccano le tracce degli impianti elettrici. Ha 51 anni, gli occhi arrossati per la nottata di pattuglia, la voce arsa dalle sigarette. E uno stipendio che, dopo 25 anni di servizio nell’Arma, non supera i 1600 euro. “Pochi per mantenere la famiglia”.
E così, dopo il caffè, indossa la sua seconda vita di muratore, al nero.”Vado a dare una mano nei piccoli cantieri tutte le volte che i turni me lo permettono  –  racconta, ora che addosso ha una vecchia tuta macchiata di calcina  –  è illegale e rischio il posto, lo so. Ma senza quei 300 euro in più al mese non ce la faccio. E come me, tanti miei colleghi. Conosco finanzieri che fanno i camerieri, vigili del fuoco che mettono infissi, poliziotti pizzaioli, massaggiatori di shiatsu o istruttori di palestra”. I servitori dello Stato deputati alla nostra sicurezza, dunque, si trovano a fare i conti con mafiosi, criminali e quarte settimane che sembrano non arrivare mai. Ma in quanti hanno un secondo lavoro?

LA SECOND LIFE DEI POLIZIOTTI
La cifra la dice Massimiliano Acerra, dirigente nazionale e responsabile ufficio studi del sindacato di polizia Coisp. “Almeno il 30 per cento dei dipendenti pubblici impiegati nelle forze dell’ordine svolge abitualmente un altro impiego part time”. Tre su dieci. Sono centomila persone, solo considerando carabinieri, poliziotti e finanzieri. “E tra appuntati e brigadieri, tra agenti e assistenti di polizia  –  continua Acerra, che sull’argomento ha scritto il manuale “Prestazioni occasionali”  –  la media arriva fino al 40-50 per cento. In pochissimi però, non più di uno su dieci, hanno l’autorizzazione del ministero”.
Dunque è tra i gradi più bassi e meno remunerati della scala gerarchica che bisogna cercare per trovare le storie degli statali con la doppia vita lavorativa. E di storie, appena si garantisce l’anonimato, ne saltano fuori parecchie. Da nord a sud.
Francesco, 46 anni, romano, è uno dei 39 mila assistenti della Polizia di stato. Lavora in un reparto speciale. “Siamo circa una quarantina in servizio  –  racconta  –  e a quanto ne so quasi tutti fanno qualcos’altro fuori dai turni”. Lui in particolare ha una bancarella di collanine al mercato. Venditore ambulante.
Il suo collega di reparto, Saverio, molisano, 39 anni e una laurea in Giurisprudenza, quando non è di pattuglia collabora con uno studio legale. “Per legge non posso iscrivermi all’albo degli avvocati  –  spiega  –  però conosco la materia, e con i seicento euro che mi danno ci pago le tasse”.
Qualcuno apre una propria attività, durante gli anni di servizio. “Per coprire il mutuo ho messo in piedi un bed & breakfast  –  racconta Filippo, primo maresciallo dell’Esercito di stanza a Torino  –  affittavo la camera degli ospiti. Ho anche chiesto l’autorizzazione al ministero della Difesa. Ero sicuro che mi avrebbero concesso il permesso, era un’occupazione saltuaria. Invece quando l’hanno saputo mi hanno mandato la finanza e mi hanno costretto a restituire all’amministrazione militare tutto quello che avevo incassato, cioè 330 euro in un anno”.
Lorenzo, assistente capo della polizia a Modena, la dice così: “Ti mettono nelle condizioni di essere disonesto. Ho 41 anni, sono separato e con due figli. Guadagno 1600 euro al mese e di questi 700 vanno in alimenti. Amo aiutare i cittadini e ringrazio la pubblica amministrazione per il lavoro che mi dà, ma il dipartimento non può pensare che riesca a vivere senza una seconda entrata. Avere le autorizzazioni è impossibile, quindi vado a potare gli olivi, taglio e raccolgo legna, faccio l’imbianchino. Per 50 o 100 euro al giorno”.
È illegale due volte. Perché si opera al nero e perché un dipendente pubblico non può fare il doppio lavoro, salvo casi particolari. Si rischia il procedimento disciplinare e, qualche volta, il licenziamento. Dal 2009 al 2011, la Guardia di Finanza ha scoperto 3.300 casi in Italia. Hanno guadagnato illegalmente oltre 20 milioni di euro, con un danno alle casse dello Stato di quasi 55 milioni. Ma quanto guadagnano poliziotti, carabinieri e finanzieri? E quando sono autorizzati ad avere un secondo impiego?

I PEGGIORI STIPENDI D’EUROPA

Una volta indossare la divisa significava posto fisso e stipendio più che dignitoso. Sinonimo di sicurezza, possibilità di mantenere una famiglia, capacità di sostenere le rate di un mutuo. Oggi le cose sono un po’ cambiate. Un poliziotto italiano appena assunto prende 1200 euro netti al mese. Lo stesso vale per gli agenti della penitenziaria, della forestale, per carabinieri e i finanzieri.
I colleghi tedeschi del Bundeskriminalamt, la polizia criminale federale della Germania, a parità di condizioni, prendono 1626 euro. In Francia, i neoassunti nella Police Nationale guadagnano 1683 euro. Il corrispettivo spagnolo 1420, in Gran Bretagna addirittura 2516 sterline (3200 euro), che diventano 3171 (4000 euro) dopo i primi dieci anni. Insomma, i salari italiani sono tra i più bassi d’Europa. E gli scatti di anzianità in Italia portano ad aumenti di un terzo inferiori rispetto alle forze di polizia estere.
Anche per questo lo Stato permette ai suoi tutori dell’ordine di svolgere un lavoro extra, ma solo a certe condizioni e con l’autorizzazione scritta del ministero di competenza. “Si possono avere occupazioni part time  –  spiega Massimiliano Acerra  –  che non compromettano in alcun modo il servizio e che non rientrino nella categoria delle libere professioni. Proibite invece le attività troppo stressanti o in cui possano sorgere conflitti di interesse, come nei casi di aziende di vigilanza privata o di investigazione. In polizia, ad esempio, vengono autorizzate fino a 30 prestazioni all’anno per un massimo di 5 mila euro lordi”. Ma il problema è che le autorizzazioni non vengono concesse con facilità, le pratiche vanno a rilento, spesso si ignora la normativa base.
Racconta il vicebrigadiere Fausto Antonini, da Firenze: “Sono diplomato al conservatorio, ho avuto il permesso di fare il musicista, ma spesso sono in difficoltà perché i teatri mi chiamano con un anticipo di dieci, quindici giorni, e per ottenere l’autorizzazione del ministero della Difesa ne servono almeno quaranta”.
“Il doppio lavoro oggi purtroppo è diventato una necessità  –  spiega Felice Romano, segretario generale del Siulp, il maggiore sindacato di polizia  –  E se prima ai poliziotti era garantito un accesso agevolato al credito, adesso non è più così facile. Così succede che gli agenti rischiano addirittura di finire nelle mani degli usurai. Abbiamo già dovuto salvare dei colleghi. Ci sono due strade: o lo Stato si fa carico di mantenere dei livelli salariali tali da arrivare a fine mese, oppure bisogna dare ai poliziotti la possibilità di avere una seconda occupazione”.
Enrico Alessi, agente di Pavia in polizia da 17 anni, è riuscito a farsi dare il permesso per gestire una pensione per cani con degli amici. Offre anche consulenze informatiche, che rientrano nelle prestazioni occasionali autorizzate. “Le mie entrate extra non superano i limiti previsti  –  spiega  –  di tutti i colleghi che ho conosciuto nella mia carriera, almeno la metà ha bisogno di fare un secondo lavoro. Alcuni lo fanno di nascosto, illegalmente, perché non conoscono bene le opportunità che abbiamo per legge”. Ma quali conseguenze ci sono?

STANCHI, DEPRESSI, POCO GRATIFICATI

“Mi è capitato di vedere un agente che si addormentava in servizio  –  racconta Antonio, poliziotto romano che accetta di farsi riprendere dalle telecamere di Repubblica, con il volto oscurato  –  poveraccio, faceva il cameriere in un ristorante e tornava a casa alle quattro. Oppure succede che chi ti sta accanto durante un pattugliamento in auto, all’improvviso ti chieda di cambiare strada per evitare di farsi vedere con la divisa addosso da chi potrebbe riconoscerlo e metterlo in difficoltà con l’altro mestiere. Deve quasi nascondersi. Risultato: muore l’orgoglio di essere poliziotto”.
Non è difficile intuire quali siano le conseguenze di tutto questo. “Un’ora di straordinario in polizia viene pagata appena 6 euro  –  ragiona Antonio  –  non bastano neanche per pagare la babysitter di mio figlio. Così, chi ha un’occupazione alternativa, soprattutto nell’edilizia e nella ristorazione perché è più facile nascondere l’abusivo, difficilmente vi rinuncia per prolungare il turno. E’ sopravvivenza, nient’altro”.

E questa facilità a cercare e trovare una seconda entrata, fenomeno diffuso in ogni reparto e in ogni forza di polizia, consegna alle cronache casi che vanno oltre il procedimento disciplinare. L’ultimo, in ordine di tempo, ha riguardato Alessandro Prili, il carabiniere in servizio nell’ufficio Primi atti del Tribunale di Roma che, prima di venire investito da un’ordinanza di custodia cautelare, lavorava di fatto per due agenzie di investigazione, la Global security service e la Nuova Flaminia srl. E i casi di poliziotti che la notte fanno i buttafuori non si contano.

“Si vivono due vite parallele  –  ragiona amaro Antonio  –  una continua acrobazia per non far incontrare le due identità. Di giorno poliziotti a cui viene chiesto di rincorrere un mafioso, di notte camerieri che devono rincorrere gli ordini dei tavoli. Ci mancano le gratificazioni, questa è la verità! Quando inizi, da ragazzino, sei pieno di sogni e ideali. Poi cambia tutto, il nostro stipendio misero ti toglie la dignità”. E finisci che, per arrivare a fine mese e pagare le tasse universitarie dei tuoi figli, violi quella legge che dovresti tutelare.

Come si può vedere, la chiave della narrazione qui non prevede “spiegazioni” o riferimenti a scelte politiche dei governi. La crisi richiede sacrifici a tutti, ma come soffrono questi poverini di agenti della varie armi…. Lo stesso giornale che urla allo scandalo se il “secondo lavoro” lo fanno gli impiegati pubblici o gli operai si commuove fin quasi alle lacrime per poliziotti, carabinieri e finanzieri. Fino al punto da non riflettere nemmeno su quale realtà sociale stiano descrivendo. “Il finanziere che fa il cameriere”, per esempio, farà mai una contravvenzione al suo datore di lavoro in nero perché non rilascia fattura o emette lo scontrino? Oppure chiuderà un occhio e magari gli farà una “soffiata” sulla data della nuova ondata di controlli nei pubblici esercizi? A voi la risposta.
Nemmeno un pensiero, dunque, sul fatto che questa struttura dei salari e dei diritti conduca direttamente alla commistione e complicità oggettiva – motivata da “necessità” che non possono essere sottovalutate o negate – tra interessi e funzioni che dovrebbero restare sempre contrapposte. In qualsiasi stato di diritto e sotto qualsiasi modo di produzione. Controllori e controllati, insomma.

Chiudiamo con la sintesi del rapporto Eurispes fatta da RaiNews.

Eurispes, i redditi italiani sono insufficienti per una vita dignitosa

Con la crisi economica oltre allo spread sui titoli di Stato cresce anche quello tutto italiano tra ricchezza reale, redditi dichiarati e tenore di vita delle famiglie italiane, un differenziale che, soprattutto nelle regioni e nelle province del Sud, registra livellisignificativamente elevati.

Gli studi più recenti elaborati dall’Eurispes mostrano che i redditi di una famiglia tipo in varie città del Nord, del Centro e del Sud Italia non sono sufficienti a fare fronte alle spese necessarie per condurre una vita dignitosa. Questo è il principale fattore che spinge una percentuale sempre più elevata di persone a cercare altre risorse attraverso soprattutto un doppio lavoro.

Analizzando e mettendo a confronto le principali voci di entrata e uscita del bilancio di una famiglia italiana-tipo, emergono differenziali significativi tra le diverse regioni del Paese con il primato assoluto delle regioni del Mezzogiorno.

L’osservazione dei dati su base regionale, secondo l’Eurispes, pone al primo posto la Puglia, dove lo spread tra ricchezza dichiarata e benessere reale si attesta a 54 punti base, seguita da Sicilia, Campania e Calabria (spread rispettivamente di 53, 51 e 50 punti).Al contrario, lo squilibrio tra entrate e uscite di cassa – indice di una ricchezza familiare “non dichiarata” -, è minore nelle regioni del Centro Nord, in particolare in Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna dove ildifferenziale registra valori minimi: rispettivamente di 1, 11, 12, 13 e 16 punti base.

Se si osservano i valori associati alle singole province, la variabilità dello spread e, quindi, l’incidenza del sommerso sull’economia del territorio, risulta ancora piùmarcata. In 18 province lo spread supera, infatti, quota 50 punti (Catania, Ragusa, Sassari, Brindisi ed Agrigento in testa, con differenziali pari o superiori a 57 punti base).

Altre 60 province (la maggioranza assoluta) ha uno spread compreso tra 20 (Reggio nell’Emilia) e 50 (Avellino, Siracusa, Reggio di Calabria). Si tratta in prevalenza di province localizzate nel Mezzogiorno e nel Centro Italia. Mentre le province di Milano e di Aosta si confermano quelle più coerenti nel rapporto tra entrare e uscite, con uno spread rispettivamente a 0 e a 1 punto base. A conferma del dato regionale si osserva che tra le 25 province che registrano ilivelli di spread più bassi (inferiori ai 20 punti), troviamo soprattutto le città del Nord Italia, segno di un maggiore equilibrio tra entrate e uscite di cassa e di una minore incidenza dell’economia sommersa sul sistema economico locale.

I DOPPIOLAVORISTI: Eurispes ha considerato il numero di coloro che esercitano attività in nero a fianco di attività – parziali o a tempo pieno – inserite in un contesto istituzionalizzato e regolarizzato. Quindi, è stato ipotizzato che almeno il 35% dei lavoratori dipendenti sia ormai costretto ad effettuare un doppio lavoroper far quadrare i conti e arrivare alla fine del mese. Questo vuol dire che sono almeno 6 milioni i “doppiolavoristi” tra i dipendenti che, lavorando per circa 4 ore al giorno per 250 giorni, producono annualmente un sommerso di 90.956.250.000euro.

ECONOMIA ‘NASCOSTA’: Eurispes stima che l’insieme dell’economia “non osservata” nel nostro Paese abbia generato nell’ultimo anno circa 530 miliardi di euro, pari al35% del Pil ufficiale che è intorno ai 1.540mld, una somma equivalente ai Pil ufficiali di Finlandia (177 mld), Portogallo (162 mld), Romania (117mld) e Ungheria (102mld) messi insieme. Un sistema economico parallelo, non ufficiale, al quale si somma un’altra economia: quella criminale, il cui fatturato l’Eurispes stima in almeno 200 miliardi di euro annui e i cui proventi vengono in gran parte riciclati all’internodell’economia legale e in parte alimentano il sommerso stesso. Si tratta quindi di un fenomeno di enormi proporzioni che coinvolge in Italia i settori più diversi: si vadall’agricoltura all’edilizia, passando attraverso i servizi e l’industria, nelle forme del lavoro nero continuativo, del doppio lavoro e del lavoro nero saltuario, che coinvolge una molteplicità di soggetti (giovani in cerca di prima occupazione, disoccupati, cassaintegrati, lavoratori in mobilità, extracomunitari non in regola, ma anche studenti, pensionati, casalinghe, lavoratori dipendenti ed autonomi conlavoro regolare, ecc.).”Se di fronte alla crisi economica e ad una pressione fiscale senza precedenti – sottolinea Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes – gli italiani non danno ancora vita a manifestazioni spontanee di forte dissenso è solo perchè nel Paese è presente un’economia parallela che in mille modi e sotto diverse forme, va ad integrare i redditi delle famiglie. Una sorta di ammortizzatore sociale – prosegue Fara -, per milioni di italiani che sono quotidianamente, insieme e a turno, vittime dell’evasione ed evasori essi stessi”.

GLI IMMIGRATI: lo stesso calcolo è stato applicato agli immigrati clandestini per i quali si stima un sommerso di 10.500.000.000 euro, e agli immigrati con regolare permesso di soggiorno che lavorano in nero, per i quali si stima un sommerso di 12.000.000.000 euro.-

I PENSIONATI ATTIVI: in Italia su un totale di 16,5 milioni pensionati, circa 4,5 milioni hanno un’età compresa tra 40 e 64 anni. Per Eurispes è plausibile ritenere che all’incirca un terzo di essi lavori in nero. A questo terzo si aggiungono altri 820.000 pensionati tra gli ultrasessantacinquenni, ma evidentemente ancora attivi, che vanno a formare, secondo le stime Eurispes, i 2.320.000 di pensionati italiani che producono lavoro sommerso. Ipotizzando che questi 2,3 milioni di individui lavorino per 5 ore al giorno, con un compenso orario medio di 15 euro, si ottiene unvolume complessivo pari a 43,5 miliardi di euro.-

LE CASALINGHE OCCUPATE: altra categoria che sfugge ai dati ufficiali è rappresentata dalle casalinghe che nel nostro Paese sono almeno 8,5 milioni. Sono numerose le casalinghe che in molti casi, svolgono, al di fuori della famiglia, piccoli lavori (ad esempio, baby bitter o lavori di cura e domestici extra familiari) che sfuggono alle stime e ai conteggi ufficiali. Il loro 18,8%, infatti, svolgerebbe lavori che vanno ad alimentare il sommerso con 24 miliardi di euro.

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