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Ferimento Adinolfi: arresti e perquisizioni in corso

Secondo quanto appresodiramato dalla agenzie, ci sono due ricercati che farebbero parte  della cosiddetta “area anarco.insurrezionalista”.
L’arresto riguarderebbe due anarchici piemontesi. Secondo le prime informazioni rese nore, i due sarebbero entrambi residenti a Torino e già schedati dalle forze dell’ordine.
Uno è un disoccupato, l’altro è titolare di una piccola tipografia. Sono Nicola Gay, 44 anni e Alfredo Costito, 46. Secondo le prime informazioni, anche la compagna di Costito è indagata ma non sottoposta a fermo.
L’agguato all’ingegnere Adinolfi era stata rivendicato dalla Federazione anarchica informale Fai.

Non si tratta di un’operazione piovuta dal cielo. Già alcuni articoli di giornale avevano fatto capire quanto i servizi fossero al corrente di quanto si diceva, pensava, progettava, all’interno di un gruppo non particolarmente esteso di persone.

Quei terroristi con i nomi di Disney
La «Federazione» e 9 anni di attentati

Chi sono gli autori della rivendicazione dell’attentato al dirigente dell’Ansaldo Roberto Adinolfi.Alla riunione di condominio della Federazione anarchica informale i più arrabbiati erano i nipoti di Paperino. Qui, che rappresentava la celebre Cooperativa Artigiana fuochi e affini, di area bolognese, ce l’aveva con tutti perché «ormai siamo al palo». Quo, espressione della Brigata 20 luglio, sigla usata per gli attentati genovesi, faceva la voce grossa, anche perché era il padrone di casa. «Io parlo per il nostro gruppo: abbiamo deciso di procurarci le pistole ed iniziare ad usarle». Qua e gli altri paperi annuirono, nient’altro da dichiarare.
Il 2 febbraio 2007 alla redazione di Radio Black Out di Torino, un riferimento per l’area anarchica, arriva un documento prodotto dalla Fai, dal titolo «Quattro anni», e datato «Dicembre 2006». La prima parte è un elenco delle azioni compiute fino a quel momento, la seconda, più interessante, è la trascrizione integrale di un incontro tra i rappresentanti dei gruppi fondatori della Fai, avvenuto secondo i carabinieri del Ros all’Immensa, un centro sociale nel quartiere di Bolzaneto, poi chiuso nel 2010, dove i presenti al dibattito si erano dati nomi di fantasia ispirati ai personaggi di Walt Disney.
Ci sono corsi e ricorsi tutti genovesi, nella breve storia della Fai, anche per questo le indagini su tutti gli attentati firmati dall’organizzazione sono confluiti in una inchiesta della procura del capoluogo ligure, che conta oltre venti indagati per associazione a delinquere con finalità eversive. La prima volta che apparve questa sigla era scritta a piccoli caratteri, quasi una nota a piè di pagina nel documento di rivendicazione dell’attentato alla questura di Genova, due bombe destinate a uccidere, le più potenti del lungo stillicidio di attentati. Era il dicembre 2002, e gli occhi di tutti caddero sulla scritta più grande, Brigata 20 luglio, chiaro riferimento al giorno della morte di Carlo Giuliani. Ma in quel momento la Federazione non esiste ancora, o almeno non ha una importanza tale da sovrastare le sigle originarie.
Il 21 dicembre 2003, a Bologna in Strada Maggiore, esplodono due ordigni davanti alla casa di Romano Prodi, allora presidente dell’Unione europea. Due giorni dopo, il documento, inviato alla redazione locale de La Repubblica , dove gli estensori comunicano di aver dato inizio «alla prima campagna di lotta della Federazione anarchica informale», sancisce la nascita ufficiale della nuova struttura, che raggruppa la Brigata 20 luglio, Solidarietà internazionale, Cellule contro il Capitale, il Carcere, i suoi Carcerieri e le sue Celle e la Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (occasionalmente spettacolare), le sigle che nei due anni precedenti avevano talvolta anteposto la dicitura «F.A.I.» alla loro.
Il 29 marzo 2004 la Fai ricompare a Genova firmando la bomba che scuote il commissariato di Sturla, anche se gli inquirenti sono convinti che si tratti di un apocrifo, data una rivendicazione confusa e delirante in alcuni passaggi. Il vero debutto della Federazione avviene il primo marzo 2005, con l’avvio di quella che a tutti gli effetti è la prima vera campagna sotto le insegne Fai, dopo l’enunciato del dicembre 2003. L’esplosione di due bombe in altrettanti cassonetti davanti alle caserme dei carabinieri di Voltri e Pra’ avviene in contemporanea con l’attentato alla caserma Montebello di Milano. Due fogli inviati alla redazione de Il Secolo XIX di Genova descrivono nel dettaglio la composizione degli ordigni, e fanno riferimento a un ordigno «scatola elettrica più dinamite», del quale non si trovò mai traccia, collocato all’interno del teatro Ariston di Sanremo, dove si stava svolgendo il Festival.
L’operazione, denominata «Viva Villa», con riferimento all’eroe della rivoluzione messicana e al reuccio della canzone italiana, era dedicata a Marcello Lonzi, un ragazzo morto nel 2003 in carcere a Livorno, e citava una lunga serie di detenuti anarchici, italiani, spagnoli e greci. Doveva essere «un monito al sistema del privilegio e del dominio», è ancora adesso un mistero. Sanremo venne setacciata in lungo e in largo, senza trovare nulla, e ancora oggi non si capisce se quel mancato attentato, dato come avvenuto nella rivendicazione, sia frutto di una rinuncia improvvisa o di una strategia volta a tenere sulla corda uno degli eventi più seguiti dagli italiani. Ma il documento «sanremese» contiene anche un secondo foglio, un allegato, chiamiamolo così, intitolato «Chi siamo», dove si rielaborano le linee guide dell’organizzazione, che si definisce «parcellizzata e priva di strutture». «Preferiamo adattarci a una forma federativa priva di centro decisionale – continua il testo – dove si diviene militanti solo nel momento specifico dell’azione e della sua preparazione».
Nel novembre 2005 la vicenda del plico esplosivo destinato all’allora sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, ha un prologo curioso. Il giorno prima dell’arrivo della lettera, spedita da Milano, una telefonata anonima a Genova annuncia la presenza di un’autobomba sotto casa della fidanzata dell’ex segretario generale della Cgil. Magari è una coincidenza, magari la conferma del fatto che la breve vita e le opere della Fai si svolgono tra queste due città, con Milano a fare da terzo lato del triangolo. L’attentato del dicembre 2009 alla Bocconi è l’ultimo di un certo spessore a venire rivendicato con questa sigla. Poi, due anni abbondanti di silenzio e di basso profilo. Fino agli spari contro l’ingegner Roberto Adinolfi, il salto di qualità enunciato per la prima volta proprio a Genova, in quell’ormai lontana riunione della Fai. I nipoti di Paperino sono cresciuti, e adesso usano la pistola.
Marco Imarisio
dal Corriere della sera

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