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L’elmetto di Scipio


”In tempi recenti, l’ulteriore rapida evoluzione degli scenari, con il sopraggiungere di una grave e persistente contingenza economico-finanziaria e l’emergere di nuove potenziali cause di conflittualita’, ha posto l’esigenza di una profonda riqualificazione degli interventi e dell’organizzazione delle forze armate fermo restando l’impegno del paese, in ambito Onu, Unione europea e Nato”. E’ quanto si legge nel messaggio inviato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al convegno ”Il ruolo dell’Italia nelle missioni internazionali”. Una posizione – quella di Napolitano – che ha fornito l’assist al Ministero della Difesa Di Paola, il quale ha affermato che “
le missioni internazionali siano una componente importante nella nostra politica internazionale non lo dico io, ma in prima persona il Capo dello stato. Se noi oggi possiamo sostenere questo sforzo e’ perche chi ci ha preceduto ha calibrato gli investimenti e le strutture in maniera tale per cui noi oggi possiamo ereditare i frutti di quel lavoro e quindi gestire queste operazioni”.
Intervenendo nei lavori del convegno sulle missioni internazionali in corso alla Camera dei Deputati, anche il presidente della Camera Fini ha rincarato la dose sulla validità degli interventi militari italiani sui teatri di crisi all’estero. ”Le missioni hanno fornito un potente impulso ai processi di innovazione delle nostre Forze Armate avviati dalla professionalizzazione realizzata con le riforme degli anni ’90 e del decennio scorso. Per tali ragioni e’ necessario che le forze politiche e la societa’ civile operino per mantenere alto il sostegno alle nostre missioni anche in una fase in cui la scarsita’ di risorse finanziarie puo’ aprire la strada a tentazioni di rinuncia. La congiuntura economico-finanziaria ci impone semmai di definire al meglio i nostri obiettivi e le nostre priorita’ sullo scenario internazionale’ ha affermato Fini confermando così che anche in tempi di crisi e di tagli i soldi per le forze armate e per gli interventi militari non dovranno mai venire a mancare.
Ma a fare più rabbia è un altro passaggio che rivendica i vergognosi atteggiamenti di complicità bipartizan che hanno sempre sostenuto le missioni militari italiane all’estero “Il Parlamento italiano, per espressa disposizione costituzionale, autorizza preventivamente le missioni internazionali, accompagnandole poi nel corso del loro svolgimento. Se guardiamo complessivamente all’esperienza italiana di controllo democratico della partecipazione a contingenti multilaterali, dobbiamo riconoscere che essa ha raggiunto un equilibrio che risulta fra i piu’ avanzati rispetto alle soluzioni politico-istituzionali adottate dalle principali democrazie occidentali: e’ un modello che ha saputo temperare efficacemente le esigenze di riservatezza e tempestivita’ insite nell’azione di Governo e le ragioni del controllo democratico e dell’indirizzo politico, prerogative irrinunciabili del Parlamento”. Un inno alla complicità bipartizan sulle missioni di guerra che solo in rarissimi casi (vedi il no di Rossi e Turigliatto nel 2007 durante il secondo governo Prodi) è stata rotta. Un episodio, purtroppo, che non si è più ripetuto rendendo il nostro paese pienamente corresponsabile della sanguinosa occupazione dell’Afghanistan, dell’aggressione alla Libia e dell’oltranzismo nell’escalation contro la Siria.

Ma l’esaltazione del fattore militare come elemento decisivo della “politica” è una tesi che non è aleggiata solo nel convegno di oggi. Embematicamente, nella riunione del Consiglio Supremo di Difesa del febbraio scorso, il Presidente della Repubblica Napolitano aveva spiegato come una “innovativa iniziativa italiana” nel campo dell’integrazione multinazionale delle Forze armate in ambito europeo “potrebbe concorrere al consolidamento della coesione politica europea” e “dare impulso al processo di integrazione economica ed istituzionale dell’Unione, che sempre di più si rivela di importanza davvero fondamentale per il futuro del nostro Paese”. Insomma la politica ha bisogno del militarismo, soprattutto se punta ad affermare le proprie ambizioni internazionali, fino a ieri come stato nazionale ma già da oggi come polo europeo, aprendo così scenari inquietanti sul futuro delle relazioni internazionali già alle prese con tutte le possibili “rotture” insite nella competizione globale in corso.

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