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Il Cavaliere appiedato

Stavolta pare proprio che sia vero. Il teatrino della politica mediatizzata perde il suo baricentro, la sua cifra, il suo linguaggio di riferimento. L’essere che ha imposto una modalità di discussione pubblica totalmente indifferente al merito, al riconoscimento dell’altro, alla realtà dei problemi. L’essere che ha cancellato la differenza tra sfera pubblica e vizi privati, nel disperato e alla fine impossibile tentativo di far diventare i secondi “pubbliche virtù”.

Ma non ci aspetta un mondo migliore.

Quello che abbiamo davanti è un Palazzo improvvisamente chiuso, protetto (lo era anche prima, certo), soprattutto al riparo da sguardi indiscreti. Dove non si celebrano festini, ma soltanto affari privatissimi spacciati – come Berlusconi ha insegnato a tutti – per “salvezza del paese”. Un Palazzo programmaticamente sordo ad ogni istanza esterna, comunque espressa o motivata. Ed esoso come lo sceriffo di Nottingham.

Ma non è solo il “dramma di un uomo”. È un blocco sociale al capolinea. Un blocco di interessi negativi che ha riprodotto una cultura antica, mutagena, fetida e tipicamente italiana che non trova più ragion d’essere in questo triste nuovo mondo. È il mondo degli intermediatori tra soggetti che potrebbe meglio vivere facendone a meno, il mondo dei Ghino di Tacco perennemente in cerca di una strozzatura del sistema in cui posizionarsi per rivendicare o imporre un pedaggio, una mazzetta, una tangente. Un modo dove il confine tra l’emerso e il sommerso è questione di un attimo di una scappatoia, di una furberia.

È il mondo del capitalismo familiare ridotto a nicchia produttiva o a cosca; quello in cui le sinecure sono più numerose dei siti produttivi, dove i mantenuti “pretendono”, invece di ringraziare il cielo per la fortuna che hanno avuto. E finché li tocca.

È il sottobosco elevato ad ambiente dominante. Non aveva la struttura e le caratteristiche per reggere la luce del sole diretta, le “leggi del mercato” – quelle vere, non quelle dichiarate – e le “regole della competizione globale” che sono il paradigma dell’Unione e della nascente borghesia europea. Protezionisti nel codice genetico, dunque, impossibilitati ad evolvere perché ogni altro ambiente che non sia penombra è per loro mortale.

Non deve essere stato difficile per Mario Monti, ieri, mettergli davanti le alternative. O ti levi dai piedi subito, con tutti gli onori da “padre della patria” della Seconda Repubblica, o ti facciamo a fette: manovrando i corsi azionari delle tue aziende scombiccherate e lasciando campo libero a qualsiasi giudice ti voglia vedere da vicino. È la stessa alternativa messagli davanti il novembre 2011, quando in due ore lo spread dei Btp italiani arrivò a 575 punti e il titolo Mediaset perse il 12%. Messaggio forte e chiaro. Sufficiente a farlo uscire da Palazzo Chigi con le mani ben alzate.

I guardoni non potranno più gioire nel vedere uno così comandare il paese. I benpensanti “di sinistra” – alla Norma Rangeri, si parva licet – dovranno cercarsi un’altra ideologia dominante per giustificare il fiancheggiamento snob della “sinistra adatta a governare”.

Tirando le somme, dovremmo ringraziarlo per aver ora involontariamente diradato le nebbie in cui aveva potuto prosperare a lungo. E in cui si erano moralisticamente persi i suoi “oppositori perbene”.

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