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“il manifesto” diviso: padrone-padrone o azionariato diffuso?

Domenica abbiamo seguito l’assemblea pubblica convocata dai lettori e dalla redazione de Il manifesto a Roma. Il giorno prima la Federazione della Sinistra, in un altra sala, era implosa al suo interno scatenando sui blog e sui social network le reazioni spesso viscerali dei suoi militanti ed elettori. Cosa avevano in comune le due iniziative?
Sicuramente la dimensione generazionale. Età medio-alta dei protagonisti. Ma soprattutto il passaggio storico. Un passaggio che costringe – nel senso più brutale della parola – a fare i conti con una nuova fase della storia ed a viverla senza più alcun paracadute o consolazione lasciata in eredità dal recente passato. Un passagio che molti non vogliono vedere o non riescono ancora a metabolizzare.
Il manifesto non poteva che essere travolto da questo gorgo. Ma a complicare le cose non c’è solo la “linea politico-editoriale”, quanto il destino materiale. Dal 3 febbraio il giornale è in liquidazione coatta amministrativa. I liquidatori ragionano sui numeri e questi sono impietosi: troppi debiti, troppo personale, poche copie vendute. Sopravvivere o meno non è solo una questione di volontà, ma anche di possibilità. Ed è proprio su questo che – per apparente paradosso – la “linea” è l’unico elemento che può fare o meno la differenza.
L’introduzione della direttrice Norma Rangeri prova a riassumere la situazione. Quella nota anche ai lettori e quella nota – a quanto pare – solo alla redazione. Esplicita le divisioni interne al collettivo redazionale – trasparite qua e là sul giornale – ma non dà le risposte attese dai lettori, soprattutto quelli da anni organizzati nei circoli e che in innumerevoli occasioni hanno “salvato” il loro giornale con le sottoscrizioni, le cene sociali, le iniziative di sostegno; insomma, pescando nelle proprie tasche.
Quando Norma Rangeri evoca l’esistenza di un finanziatore privato “ignoto” (sembra che sia attivo nel settore delle assicurazioni) disposto a comprare il giornale, ma per farne solo “un giornale”, si capisce subito quale sia la posta in gioco. Ma ce n’è anche un secondo, presentato in veste di “traghettatore”, e che invece sembra lì per lì non dispiacere affatto alla direzione; uno “stampatore”, che quindi troverebbe il suo vantaggio nei servizi editoriali che può offrire (tipografia, ecc), senza ingerenze sulla natura politica del giornale e le sue scelte.
Gli interventi degli esponenti dei circoli de Il manifesto (Bologna, Salerno, Terni, Sardegna, Versilia, Padova, ecc) sono piuttosto omogenei: siamo disposti a fare ancora una sforzo per finanziare il giornale, ma a patto che non diventi solo un giornale.
“Il padrone in redazione” è una prospettiva di cui i lettori – e una parte della redazione – non vogliono sentir parlare. Il manifesto non è stato, non è e non può diventare soltanto “un giornale”. E’ una levata di scudi nettissima contro la manipolazione della tesi di uno dei fondatori – Luigi Pintor – secondo cui “un giornale è un giornale e un giornale”. Il giornalismo di Pintor stava dentro una militanza nell’uso della comunicazione e nel rifuto di farne un “bollettino di partito” (allora il Pdup); quello proposto dalla Rangeri è un giornalismo finalizzato al massimo ad una battaglia di opinioni, senza averne una forte e senza quindi “scremare” ciò che serve alla ricostruzione di un’opposizione culturale e politica forte.
La sua polemica contro chi (Valentino Parlato, Rossana Rossanda e altre firme storiche) vorrebbe un “giornale partito” appare a molti una caricatura di comodo, cui contrapporre la sua idea di giornale della “sinistra plurale”, naturalmente “aperto, tollerante” e via banalizzando. Una “sinistra” a questo punto talmente stiracchiata da comprendere sia chi sostiene il governo Monti (come il Pd), sia chi gli si oppone apertamente. Più che “plurale”, insomma, una poltiglia senza speranze di trovare una ragione comune.

Un finanziatore che valuti Il manifesto come prodotto che può stare sul mercato, vuole un giornale e una redazione di giornalisti e basta. Il valore aggiunto dell’identità, della militanza, della storia, dell’indagine dei processi in atto, del nuotare controcorrente non gli può interessare. Sembra invece interessare ad alcuni redattori, specie quelli della “sezione politica”. Lo si capisce da come e quanto balbetta Andrea Fabozzi, sia quando cerca di argomentare contro una presunta “spocchia dei lettori“, sia quando evoca con palese accettazione uno dei due finanziatori fin qui occulti. Il mormorìo in sala diventa presto una esplicita richiesta di spiegazioni. La stessa che alcuni lettori e animatori dei circoli avevano avanzato, proponendo alternative concrete sull’assetto proprietario del giornale, attraverso una sorta di azionariato popolare o di una cooperativa in cui i soci-lettori non siano solo “portatori d’acqua” e di sottoscrizioni; “elemosinieri”, dice più d’uno.
Guido Ambrosino, ex corrispondente de Il manifesto dalla Germania, racconta come la Tageszeitung,il giornale della sinistra berlinese, si sia salvata così proprio quando la direttrice puntasse invece a trovare “il proprietario” suscitando la reazione dei soliti redattori “a Norma”.

Nel pomeriggio le posizioni diventano molto più chiare. Angelo Mastrandrea, Matteo Bartocci e Daniela Preziosi spingono esplicitamente per il “padrone stampatore”, che acquisterebbe la testata lasciando alla “cooperativa editoriale” il compito di gestire il giornale quotidianamente in ogni suo aspetto (anche amministrativo). Ai lettori, in questa chiave, verrebbe chiesto di “convergere” e “contribuire” anche economicamente per garantire l’avvio della nuova gestione.

Questa ipotesi sbatte contro un muro. Molti lettori ricordano che in 30 anni le sottoscrizioni hanno “regalato” al giornale oltre 18 milioni di euro. Buttati spesso dalla finestra con una gestione economica “allegra” e – fanno notare diverse “firme storiche” in platea – un impegno lavorativo in alcuni casi molto basso; fino all’accettazione pacifica del “secondo lavoro”, spesso per alcuni chiaramente prevalente sul “primo” (ossia fare il manifesto).
Ida Domijanni precisa meglio e senza fronzoli la fisionomia e l’identità del “filantropo-stampatore”: Andrea Mastagni, alla guida di un gruppo specializzato nella rilevazione di aziende in crisi (gruppo Seregni, ecc), che spacchetta, reimposta, risana; lungo una varietà di interessi che va dalla meccanica all’immobiliare, dalle stamperie all’editoria. Un piccolo Gekko che non tranquillizza davvero nessuno che non abbia deciso di essere tranquillizzato.

Alcuni dei circoli presentano una proposta chiara:
a) creare una “cooperativa per azioni” che raccolga i soldi e acquisti la testata, con una ripartizione delle quote e dei posti nel cda così congegnata: 51% ai lettori, il 35% alla cooperativa editoriale che gestirà il giornale in futuro, il 14% ai collaboratori; una società che insomma garantisca un controllo sulla sorte del “capitale comune”, non più abbandonato alle altelenanti passini di questa o quella maggioranza nel collettivo redazionale.
b) questa nuova cooperativa si vincola fin dallo Statuto a dare in affitto la testata esclusivamente alla cooperativa editoriale che si candiderà a gestire il manifesto.

Nonostante il malessere di una parte della redazione (Rangeri, Fabozzi, Bartocci, Tommaso Di Francesco, Preziosi) la proposta viene messa ai voti a passa con una maggioranza vicina all’unanimità (6-7 i contrari, altrettanti astenuti).

Il manifesto è dunque salvo? Niente affatto, ci sembra di poter dire.
C’è come prima cosa una grande incertezza sulla possibilità di raccogliere, attraverso questo meccanismo, i fondi necessari in tempo utile. Il 31 dicembre, nella comunicazione dei commissari liquidatori, cessa l’attività produttiva. Il ministero dello sviluppo, che li ha nominati, potrebbe concedere una breve proroga (uno o due mesi, non di più) per consentire a questo tentativo di verificare la fattibilità finanziaria.
La redazione appare palesemente spaccata in almeno due parti, sia sul piano politico che “proprietario”. Senza voler semplificare troppo, c’è una “destra” politica che accetta anche un padrone-stampatore, e una sinistra politica che sposa l’idea della proprietà collettiva ad azionariato diffuso. A noi sembra chiaro che difficilmente la prima parte della redazione potrebbe convivere con la proprietà collettiva. In ogni caso, per tutte le parti in causa (“destra” e “sinistra” interna, compratore “A” e compratore “B”, lettori e azionisti della Manifesto spa) i livelli occupazionali futuri saranno molto più bassi degli attuali: 25-30 persone al massimo, contro gli attuali 68 a busta paga.

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4 Commenti


  • MaxVinella

    La soluzione è quella indicata da Luciana Castellina un anno fà : giornale online !!

    E’ chiaro che un giornale online costa molto meno perchè non c’è il costo della carta e lo fai con una decina di addetti, comportando però un grosso sacrificio occupazionale !!

    Ma se non fai così sarà difficile scongiurare la chiusura e allora vanno a casa tutti e perdi l’unica voce di giornalismo alternativo presente nel mondo dell’editoria !!


  • Roberto Verdi

    Norma Rangeri nell’assemblea di ieri ha esordito dicendo che c’e una
    “differenza di prospettiva tra chi pensa, scrive e fa il giornale e tra chi lo utilizza” e che “vanno illuminate le divergenze interne e tra interno e circoli,illuminarle e ridurle al minimo”
    Il risultato dell’assemblea con la votazione che accetta la proposta dei circoli va assolutamente in questa direzione e non concordo
    con Norma che alla fine dell’assemblea parla di una ” brutta assemblea, non mi e’ piaciuta”. Si puo’ concordare forse in parte e
    a proposito, lo dico per sincerita’ alla quale mi obbligo, di quando
    parla la redazione attuale che purtroppo evidenzia una difficolta’
    dilalettica e personale importante ed un accartocciamento sul su singoli dettagli del dibattito che riportano, ad un esterno, un circolo vizioso. Va spezzato. E va spezzato anche ” il patto con il diavolo” per
    dirla così, che tutti gia’ sanno saranno che faranno il giornale sia
    che lo compri ” la Societa’ finanziaria traghettatrice” che lo nuova
    cooperativa metta in sicurezza la testata. Perché’ non 250 persone?
    Io sono convinto che i lavoratori italiani dopo anni di vere bastonate
    prese da tutti sono al punto di darsele da soli.
    E’ il disegno dell’europa autoritaria del capitalismo che ha la faccia
    dell’astratto finanziario senza volto. Per questa ragione non ci sto,
    Non ci sto e sono convinto che se il manifesto ha una prospettiva
    realistica e’ lavorando come deciso dall’assemblea e questo comitato di lavoro il suo primo compito cultura e’ il disintossicarsi da piani
    liquidatori fatti apposta per distruggere e non per creare e far vivere.


  • Bepi Bertoncin

    Il problema vero è quello dello “spettro” dei lettori.
    Penso troppo pochi e (ahimé) troppo vecchi.
    Perchè non incidiamo? pèarte il Fatto Quotidiano e
    sfonda una buona fetta di mercato. Anche Telese
    fonda un giornale e ritengo pensi di trovare audience.
    Perchè il manifesto non cresce, anzi perde per strada
    i lettori?
    E’ il probema vasto della politica. Irrompe un guitto
    sulla scena e monopolizza la protesta. Cresce pescando a dritta e a manca, purtroppo anche a manca, sbaraglia a due cifre, tutta la “sinistra” unita non raggiunge il quorum. La FdS arroccata è data a percentuali ridicole ma si continua a stare sulla Rocca
    Bastiani. Ognuno difende il proprio orticello vantando primogenitura e purezza. E’ una sinistra che snobba il manifesto sentendolo altro da sè, peggio ancora: un concorrente temibile
    Possiamo farlo sopravvivere ma solo se riusciamo a capire come farlo leggere !
    Hasta siempre


  • antonino leotta

    Il resoconto di Cararo su Contropiano.org è puntuale e riassume bene, per i non presenti, l’andamento dell’incontro di ieri a Roma, conclusosi, purtroppo, in modo confuso e disordinato.
    E tuttavia dispiace che Norma Rangeri abbia voluto sottolineare, prima di andar via, solo quest’ultimo aspetto negativo dicendo che l’assemblea non le era piaciuta.
    È stata invece una bella assemblea: una giornata bella e interessante, un’occasione per rivedersi tra vecchi e nuovi compagni e conoscenti, non solo dei circoli.
    Ascoltare gli interventi, individuare le “correnti” di pensiero, scoprire, finalmente!, le famose divisioni interne alla redazione, prendere consapevolezza di ciò che è in gioco da qui a poche settimane, hanno rappresentato il valore indiscusso di quella forma di partecipazione indispensabile alla sopravvivenza del giornale.
    I commenti a margine (in fondo alla sala tanti lavoratori del manifesto prossimi al licenziamento), taluni battibecchi fuori luogo, insinuazioni più o meno palesi, hanno fatto da naturale contorno ad un salutare confronto tra persone in carne ed ossa, in cui le passioni e gli interessi politici costituiscono la forza ideale de Il manifesto.
    Due-tre assemblee l’anno (magari decentrate rispetto alla capitale) sarebbero ossigeno puro per il rilancio del giornale.
    Antonino Leotta, circolo di Latina

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