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“Accordo sulla produttività”. L’infamia senza limiti

Il testo dell’accordo:

Per una volta non ci sono grandi dubbi interpretativi: è un’infamia che punta a consegnare nelle mai delle imprese i lavoratori nudi e indifesi, con “sanzioni” per quei sindacati (conflittuali) che pretendessero ancora di difenderli.
La Cgil non ha firmato, ma questo non significa che si opponga davvero. Basti ricordare che con quello stesso testo in ballo, già proposto al tavolo di “trattativa” qualche settimana fa, non è andata oltre uno sciopero fatto di controvoglia e di sole quattro ore, mercoledì 14 novembre, e solo perché era stato indetto dalla Confederazione europea.
Il resoconto fatto da Repubblica è per una volta fedele, riprendendo i punti critici che hanno motivato anche la scelta della Cgil.
Ci limitiamo a citarlo, rinviando a un editoriale le nostre valutazioni più ponderate.

Via i paletti su orario e mansioni. Un colpo al contratto nazionale
ROBERTO MANIA

Un colpo al contratto nazionale. Questa volta, dopo essere stato per decenni la spina dorsale del sistema di relazioni industriali, il contratto nazionale rischia di essere relegato a un ruolo da comprimario. Il protagonista sarà il contratto aziendale e, nelle imprese di piccole dimensioni, quello territoriale. Questo perché gli aumenti retribuitivi dovranno essere il più possibile collegati all’andamento della produttività. E insieme se ne va in soffitta il sistema degli automatismi, che dalla scala mobile degli anni ‘70-‘80 all’indice Ipca (l’indice dei prezzi al consumo depurato dai prezzi dei prodotti petroliferi) dell’ultimo periodo ci hanno accompagnato fino ad oggi, passando per la lunga e controversa stagione della concertazione con il tasso di inflazione programmata.

SVOLTA E INCOGNITE
Si punta a girare pagina. Una svolta, ma con tante incognite. Prima tra tutte quella della Cgil. Come si potranno sottoscrivere i nuovi accordi se il sindacato più grande e più rappresentativo in tutti i settori non condivide le nuove regole del gioco? E le nuove regole saranno applicate subito o bisognerà aspettare la prossima tornata contrattuale, cioè tre anni, visto che l’attuale è già aperta? Ma alla fine, se dovessero essere applicate le novità, il cambiamento ci sarà, eccome.

MINIMO CONTRATTUALE
Partiamo, allora, proprio dal contratto nazionale di ciascuna categoria. L’intesa dice che dovrà tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni, ma non c’è più alcun riferimento all’indice Ipca che dal 2009 (con l’accordo separato tra Confindustria, Cisl e Uil, ma non la Cgil) vincola gli aumenti. Nel nuovo protocollo c’è una formula molto più complessa, e certo meno stringente, secondo la quale la dinamica degli aumenti salariali dovrà essere «coerente con le tendenze generali dell’economia, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo internazionale e gli andamenti specifici del settore». Saranno le parti a fissare i paletti, ciascuna categoria per sé. Molto dipenderà dai rapporti di forza. Ma anche all’interno della medesima categoria i minimi retributivi potrebbero non essere uguali per tutti. L’accordo, infatti, prevede che una quota degli aumenti concordati a livello nazionale possa essere “spostata” a livello aziendale (o territoriale), collegandola alla produttività. Così facendo quell’aumento otterrebbe lo sconto fiscale (fino a 40 mila euro di reddito, si pagherà al posto dell’aliquota Irpef un’imposta secca del 10%). In questo modo cambieranno i minimi tra chi fa la contrattazione aziendale o territoriale (oggi riguarda un po’ meno del 30 per cento dei lavoratori) e chi ha solo il contratto nazionale.

ORARI E MANSIONI
E sempre all’interno delle aziende si potranno modificare, per via negoziale, gli orari di lavoro, la loro distribuzione, gli straordinari, le mansioni dei lavoratori e pure definire come utilizzare i nuovi strumenti tecnologici (telecamere o altro) per il controllo della prestazione lavorativa.

LE MODIFICHE DI LEGGE
Questioni delicatissime che le parti – per quanto si intuisce – punterebbero ad affrontare anche per superare i vincoli che oggi pone il Codice civile e lo stesso Statuto dei lavoratori. Sostanzialmente sembra riproporsi lo schema dell’“articolo 8” che l’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, introdusse, su richiesta della Fiat, per consentire ai contratti di lavoro di derogare alle disposizioni di legge. Una volta trovato l’accordo, il legislatore dovrebbe intervenire a “sanare” la modifica. Ciò dovrebbe riguardare anche il demansionamento, oggi impossibile. Un lavoratore potrebbe vedersi ridotta la mansione e di conseguenza la retribuzione. È una richiesta che è venuta in particolare dal sistema delle banche alle prese con un processo di ristrutturazione per la gestione del quale non può più ricorrere ai prepensionamenti per effetto della legge Fornero.
da Repubblica

Videocamere spia sul posto di lavoro
Arriva una nuova flessibilità. Questa volta non più in entrata nel mercato del lavoro (o in uscita), ma all’interno della stessa prestazione lavorativa. Le parti (imprese e sindacati) potranno definire nuovi orari ma anche cambiare le mansioni di un lavoratore e, di conseguenza, ridurgli la retribuzione. Attualmente è impossibile per i vincoli del Codice civile (l’articolo 2103). L’eventuale accordo tra le parti dovrebbe portare a un successivo intervento legislativo nella stessa direzione. Con lo stesso schema potrebbe essere superato il divieto di videosorveglianza sui lavoratori introdotto con lo Statuto dei lavoratori del 1970 .

Sogglia di rappresentatività al 5%
Entro la fine di quest’anno imprese e sindacati stabiliranno le modalità per eleggere i nuovi rappresentanti sindacali sulla base dei principi già concordati con la Confindustria il 28 giugno del 2011. La rappresentatività di ciascuna sigla sindacale sarà misurata attraverso un mix di criteri: da una parte i voti ottenuti tra i lavoratori per l’elezione delle Rsu, dall’altra il numero degli iscritti. Per poter essere ammessi al tavolo negoziale si dovrà superare la soglia del 5%. Proprio perché sicuramente rappresentativa, la Cgil aveva chiesto alla Confindustria di ammettere la Fiom alle trattative per il contratto dei metalmeccanici

L’esultanza (e la preoccupazione) delle imprese traspare dal pezzo del IlSole24Ore.

Accordo produttività, firmano tutti tranne la Cgil. Monti: «passo importante» per le imprese

«Immaginiamo non sia stato facile trovarvi sulla stessa posizione». Lasciando aperto uno spiraglio per la Cgil, che lascia il tavolo Governo-sindacati-imprese sull’accordo per la produttività senza siglare il documento («Speriamo che si unisca alla sottoscrizione del documento quando lo riterrà opportuno») il premier Monti sottolinea lo sforzo delle parti sociali per trovare un’intesa valida. Poi si rallegra «per l’eccellente e duro lavoro», ed esalta i contenuti del testo (firmato da Abi, Ania, Confindustria, Lega Cooperative, Rete imprese Italia, Cisl, Uil, Ugl), che definisce «articolato, valido e innovativo». Ora, riconosce, ci sono «le condizioni per confermare l’impegno di risorse destinato alla riduzione del cuneo fiscale del salario di produttività».

Monti: in vista «un buon impiego del denaro pubblico»
Nella successiva conferenza stampa, un Monti visibilmente soddisfatto ha continuato ad elogiare il risultato appena raggiunto: «Qui abbiamo chiesto alle parti di dare loro un contributo alla crescita. È un buon impiego del denaro pubblico». Dal premier, anche un altolà alle possibili polemiche sulla mancata firma di Susanna Camusso, leader della Cgil: «Nessuno pensi che ci sia stato intento di isolare alcuni rispetto ad altri, tanto è vero che siamo qui a sollecitare la firma» della Cgil.

Squinzi (Confindustria): «Elemento nuovo nelle relazioni industriali»
Tutte le parti coinvolte nel “tavolo” sulla produttività, ha invece sottolineato il leader di Confindustria, Giorgio Squinzi, «Hanno rinunciato ad alcune legittime esigenze per favorire un accordo nell’interesse del paese». In questo senso, l’accordo sulla produttività può essere un «elemento nuovo nelle relazioni industriali. L’inizio nuova fase di sviluppo e occupazione». La contrattazione collettiva, ha aggiunto, «è uno strumento utile e abbiamo chiesto che la detassazione al 10% del salario di produttività venga resa stabile fino a un tetto di 40mila euro».

Tavolo affollato di ministri
Il confronto, iniziato poco dopo le 19.00, vedeva intorno al tavolo, oltre alle parti sociali, una fetta consistente del Governo (il premier, ma anche anche i ministri Fornero, Passera, Grilli, Patroni Griffi, e Moavero Milanesi). In apertura, le parole ottimistiche del premier Monti: «Siamo all’incontro conclusivo su un tema cruciale che é quello di rilanciare la produttività e la competitività per le imprese e per il sistema paese. La nostra speranza é che tutte le parti aderiscano a quanto avete elaborato e condiviso».

Risorse accresciute per gli accordi
Dal premier, anche la conferma delle risorse a disposizione, “lievitate” in seguito ad alcuni emendamenti contenuti nel ddl Stabilità 2013: dall’1,6 miliardi iniziali ai 2,1 attuali. Oltre due miliardi di euro con modalità di utilizzazione, ha aggiunto il ministro dello Sviluppo Passera, «che saranno precisate in un Dpcm». «Nell’accordo – ha sottolineato ancora – ci sono cose molto concrete, ci ritroviamo molto nei principi e nella stimolazione degli accordi di secondo livello».

Bonanni (Cisl): definito quanto serve «al rilancio del paese»
Sull’accordo, giudizio positivo nel corso del confronto anche da parte del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni: «Siamo riusciti a definire quello che serve per ridare slancio al Paese»: L’intesa, infatti, «Serve a dare forza ai salari, ecco perché insisto – ha sottolineato ancora il leader Cisl, per detassare gli accordi di produttività. Anche lo Stato avrà più entrate».

Angeletti (Uil): con gli incentivi entrate statali in aumento
Un aspetto questo, ripreso anche il segretario generale Uil, Luigi Angeletti, che chiede al governo di rendere strutturale la detassazione dei salari di produttività «perché la mancanza di certezza rende difficile l’incentivazione e lo svolgimento del negoziato di secondo livello». Peraltro, conclude, «più l’incentivo é efficace, più ci saranno premi, più le entrate dello Stato aumenteranno».

Camusso (Cgil): «Si è persa un’occasione»
Di segno opposto la lettura di Susanna Camusso (Cgil), unico leader sindacale a non aver siglato il documento: «è stata scelta una strada sbagliata – ha spiegato nel corso dell’incontro a Palazzo Chigi – per cui il contratto nazionale non tutelerà più il potere d’acquisto dei lavoratori», concetto poi ribadito anche nella conferenza stampa separata che la Cgil ha ospitato nella sede di Corso d’Italia. L’intesa, ha spiegato Camusso, «è coerente con la politica del Governo che scarica sui lavoratori i costi e le scelte per uscire dalla crisi. Si è persa un’occasione». «Le soluzioni unitarie, ha aggiunto, si costruiscono, non si aderisce a posteriori, quando il tentativo numerose volte fatto di trovare una soluzione è stato respinto». Il giudizio è dunque è assolutamente negativo: «È un altro intervento che accentua e alimenta la recessione», e conferma l’accanimento del Governo verso «la parte più debole del paese».


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