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Terra bruciata intorno all'”usato finale”

Pure la Lega lo ha lasciato senza sponda. Roberto Maroni, il più democristiano dei dirigenti leghisti, era pure tentato dal rifare l’alleanza che li aveva portati al governo. In fondo si è candidato a “governatore” della Lombardia e le sue (poche) speranze di successo dipendevano in tutto e per tutto da un “ticket” con il Pdl.
Ma “la base”, interpretata da Tosi e Salvini, ha messo un veto verticale: non se ne parla proprio. E quindi il democristiano si è assunto la paternità della decisione: “Ho deciso così – confida il segretario federale prima di varcare il portone di Palazzo Grazioli, per un incontro serale con Berlusconi – perché questa è la linea della Lega, così come è uscita negli ultimi due giorni per bocca dei segretari nazionali”. È una linea che “interpreta fino in fondo i sentimenti dei nostri militanti, degli amministratori e dei parlamentari”.

Anche gli opinionisti del Corrierone, preoccupati di tenere in vita il pupazzo, ma di non dargli corpo, sono scesi in campo con i loro consigli. A chi? Al centrosinistra, naturalmente. Scrive oggi Galli Della Loggia, che conosce benissimo quanto siano polli i suoi polli: “forse dentro di sé l’ex premier conta soprattutto su qualcosa che non dipende da lui. Conta sull’aiuto dei suoi avversari: aiuto che ogni volta gli è puntualmente arrivato e che anche stavolta sembra sul punto di non mancare”.
Una fissazione centrata soprattutto sugli aspetti moral-giudiziari, invece che sulle politiche economiche, e che non ha mai dato risultati positivi ai partiti che l’hanno cavalcata (mentre hanno invece premiato, per qualche tempo, i quotidiani specializzati in intercettazioni bollenti, come Repubblica, Il fatto, lo stesso Corriere). “Già in passato questo si è rivelato il modo migliore per galvanizzare l’uomo e quell’Italia che ne apprezza la ruvida personalità; fatta perlopiù di gente non sofisticata che di Ruby e delle «olgettine» se ne infischia pensando che l’Imu è ben più importante”.
Eh, i borghesi… Loro sì che sanno che “l’essere sociale determina la coscienza”. La frase è di Marx, quelli che una volta si dicevano comunisti se ne sono scordati presto; i “consigliori” del capitale, invece, ricordano sempre che si vota col portafoglio in testa, senza badare al gossip.

Tempi passati, comunque. Oggi il “pericolo” maggiore viene da un altro argomento retorico che il Pd, repubblica, e persino Monti e Napolitano (oltre a tutti i ministri che se ne vanno in giro da mesi a prender fischi e contestazioni popolari): “ce lo chiede l’Europa”. Che sciocchezza, avverte i Galli ecc. “il miglior favore che gli avversari possono fare a quest’ultimo (Berlusconi, ndr)  è di opporre alle sue promesse, invece di un proprio autonomo e ragionato «no», la litania dell’Europa e del suo «non si può», il cipiglio di Barroso, i «mercati», lo «spread», quello che dice Bruxelles, quello che pensa Berlino”.
Noi ci limitiamo a cogliere due aspetti di questo argomento.
Uno: anche al Corriere sanno benissimo che “l’agenda Monti” e tutti i suoi corollari sono altamente indigesti per la stragrande maggioranza della popolazione; e ormai anche per chi vive da sempre nelle “zone grigie” della classe medio-alta, non solo tra lavoratori, pensionati, precari, studenti.
Due: non fatevi schermo con “l’Europa” perché ne fate un giusto bersaglio di odio, che poi non potrete controllare quando – assunte formalmente responsabilità di governo, anche se sarete soltanto dei fedeli esecutori del mandato della Troika – vi troverete a disegnare altre “riforme strutturali” che tagliano nella carne viva della gente. Fatevi la vostra onesta campagna elettorale, silenziate l’influenza (negativa) delle posizioni continentali; poi farete meglio quel che dovete in ogni caso fare.
Sbagliare approccio (come fanno per esempio oggi Repubblica e l’Unità, che usano come idioti “l’Europa” per dire che Berlusconi è una sciagura, come se non ci fossero altre prove tangibili) rischia non tanto di far tornare il Caimano a palazzo Chigi (questo non avverrà mai, a prezzo di un’invasione europea; questa volta con mezzi militari) ma di rendere altamente popolare il sentimento di rifiuto dei “sacrifici” imposti a suon di sballottamenti dello spread.
L’ultima cosa che si desidera, nelle stanze dei poteri veri, è che “l’antieuropeismo” trovi un campione (magari involontario). A quel punto sarebbe “sdoganato”, sia sulla destra che sulla sinistra del futuro governo, aprendo le porte a scenari oggi fantascientifici, ma comunque pericolosi per gli equilibri interni all'”Europa imperialista”.

Un punto di vista altrettanto importante è quello del Sole24Ore.

Il labirinto di Berlusconi

di Stefano Folli
Con la campagna elettorale appena cominciata il bilancio di Silvio Berlusconi è già molto negativo, per non dire disastroso. L’isolamento dell’ex premier è totale in Europa, in forme mai sperimentate in passato.
Non ci sono solo i toni sferzanti della stampa e l’ostilità unanime delle cancellerie: c’è soprattutto la condanna arrivata dal Partito Popolare Europeo, la formazione sovranazionale di cui Berlusconi un tempo era un socio autorevole e che oggi di fatto lo ha disconosciuto.
Ancora. Il Pdl è frantumato e sull’orlo della scissione, non solo in Italia ma soprattutto al Parlamento di Bruxelles, dopo l’addio del capogruppo Mauro. A loro volta la Chiesa e il mondo cattolico hanno assunto una posizione di totale chiusura verso questo bizzarro «ritorno in campo»: lo confermano al di là di ogni dubbio le dichiarazioni del presidente della Cei, Bagnasco, e i commenti di «Avvenire». Ma anche gli ambienti di Comunione e Liberazione, un tempo alfieri del berlusconismo, oggi sono spietati. Come ha detto il direttore di «Tempi», Amicone, il solo nome dell’ex premier evoca «delusione e rabbia» in tutti coloro che un tempo avevano creduto in lui. La frattura non potrebbe essere più profonda.

Si potrebbe continuare. L’intesa con la Lega, asso nella manica berlusconiana, è in alto mare. Maroni non ha voglia di farsi ingabbiare in un patto di Arcore se il candidato premier fosse davvero lui, il vecchio leader che sogna un altro, irrealistico 1994. Il capo leghista è pronto ad allearsi di nuovo con il Pdl, in Lombardia e altrove, ma chiede un volto nuovo per Palazzo Chigi.
E dunque: l’Europa, il Ppe, gli scissionisti del Pdl, la Lega. Non c’è un solo fronte che sia favorevole a Berlusconi. Come se non bastasse, la sua strategia in vista delle elezioni fa acqua da tutte le parti. Per sfuggire al peso dell’isolamento, è indotto a scivolare sempre di più lungo la china di un populismo deteriore. La frase sullo “spread” («ma cosa ce ne importa?») non è una battuta sbagliata: è un’uscita obbligata dalle circostanze perché solo così Berlusconi può trovare il consenso di un certo tipo di elettorato. Lo stesso che in Francia può votare Marine Le Pen o in Gran Bretagna il nazionalista Nigel Farage. Entrambi esponenti di correnti minoritarie e, peraltro, nessuno dei due gravato dai conflitti d’interesse che il loro omologo italiano si porta dietro.

La domanda è se Berlusconi è in grado di reggere il ruolo che egli stesso si è scelto nella campagna. Certo, il suo obiettivo non è vincere, è ovvio, bensì garantirsi un potere contrattuale nella prossima legislatura. Ma a quale prezzo? Man mano che Monti occupa il centro della scena e interpreta la posizione europeista, Berlusconi sarà costretto ad andare a destra, assumendo toni sempre più nettamente contrari all’Europa. Siamo già al complotto tedesco ai danni dell’Italia e magari alla denuncia dei poteri forti finanziari che tramano contro il leader carismatico pronto a smascherarli.
La risposta molto dura che il governo di Berlino ha riservato ieri a Berlusconi dimostra che per lui non esiste più una via di ritorno. L’Europa ha cancellato l’ex premier italiano, lo vede solo come un elemento di disturbo e d’inquinamento. In altri tempi Berlusconi avrebbe tratto vantaggio, in termini elettorali, dall’essere attaccato con tanta virulenza dai governi stranieri. Ma oggi non è più così. Sulla scena c’è solo un uomo isolato e disperato. La logica e il buonsenso dovrebbero suggerirgli di ritirarsi, passare la mano e ricollocare il suo partito nel solco del Ppe. Non è ancora troppo tardi per un gesto realistico e risolutivo.

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