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Lombardia Express, il fallimento del “lusso di massa”

La vicenda è riassunta ottimamente dal quotidiano di Confindustria, IlSole24Ore.

Lanciato lo scorso settembre come il “pendolino” per i pendolari di lusso il Lombardia Express che avrebbe dovuto portare da Varese e Bergamo migliaia di viaggiatori dopo appena quattro mesi viene sospeso e forse soppresso proprio per mancanza di clienti. Sul sito di Trenord si legge solo uno sconsolato comunicato con il quale la società informa “che a partire da lunedì 7 gennaio 2013 e fino a nuovo avviso, il servizio Lombardia Express sarà sospeso”.
Pensato per il pendolarismo dei vip dato il costo maggiorato, sui dodici euro a tratta, rispetto ad una corsa ordinaria il treno permetteva di collegare direttamente le città lombarde in poche decine di minuti e senza soste, ma evidentemente non c’era la domanda necessaria in quanto i treni viaggiavano semivuoti. Il servizio è stato inaugurato il 17 settembre, dall’allora assessore alle Infrastrutture e Mobilità della giunta Formigoni Raffaele Cattaneo (Pdl, in quota Cl) che l’aveva fortemente voluto e che si reputava un grande manager al punto da sostenere ad Ottobre che i “politici bravi devono essere pagati adeguatamente”.
Fu la sua reazione a caldo dopo avere letto il decreto sul taglio alle Ragioni e alle indennità degli assessori e consiglieri sostenuta con le famose e provocatorie parole ” vivo di ciò che fra un mi verrà dimezzato e tra mutuo rette ecc. non so come fare.” Nonostante i biglietti promozionali e i tempi di percorrenza limitati, i viaggiatori non si sono fatti vedere. La media, secondo i dati che Legambiente Lombardia aveva diffuso appena un mese dopo l’entrata in vigore del servizio, era compresa tra i 50 e i 60 passeggeri per corsa (sui quasi 300 posti disponibili). Così mentre veniva garantito in quei quattro mesi un “normale servizio ” ai normali pendolari di Varese e Bergamo, sottoposti a lunghe ed estenuanti attese di treni sovraffollati, spesso freddi e costantemente in ritardo, circolavano convogli praticamente e comodamente vuoti.

Quel che il Sole non dice, naturalmente, riguarda non tanto la vanesia dabbenaggine di un amministratore buttato lì da qualche segreteria di partito-arraffatore, ma la natura intima del capitalismo a confronto con i servizi pubblici, Soprattutto quelli di trasporto.
Nei territori metropolitani, altamente antropizzati e costruiti, la necessità quotidiana di milioni di persone è spostarsi. Per lavoro, studio, acquisti, in primo luogo. L’uso dei mezzi privati è altamente costoso (carburante, assicurazione, usura, manutenzione, tasse, contravvenzioni, ecc), ma spesso diventa insostibuibile per assenza di alternative, almeno sui brevi tratti.
Sul “medio-lungo raggio”, i servizi pubblici potrebbero fare la differenza, a patto di essere in misura sufficiente (numero delle corse quotidiane e posti disponibili) e funzionare bene.
Queste due condizioni (che mettono al centro il “valore d’uso” del trasporto) comportano in genere una conseguenza economica: il servizio diventa strutturalmente “in perdita”. La convenienza sociale a tenerlo in funzione necessita quindi di un finanziamento pubblico a carico della fiscalità generale (nazionale o locale, a seconda).
E’ noto che negli ultimi venti anni (dagli accordi di Maastricht in poi, anche quelli sottoscritti da un “governo tecnico” sostenuto con voti bipartisan) è stata seguita la strada opposta: riportare i costi di gestione in attivo, tagliando corse, personale, manutenzione. I ferrovieri italiani erano oltre 220.000, ora sono circa 80.000. I treni sono molti di meno, da e verso il Sud sono stati praticamente abolit, quelli pendolari metropolitani lasciati al disfacimento. Il che, anche economicamente, è abbastanza stupido: il valore degli immobili “in provincia” (quelli dei pendolari, insomma) mantengono o perdono valore anche grazie all’esistenza o meno di collegamenti pubblici effiienti. La macchina produttiva stessa risente in varia misura dei disservizi nel trasporto (ore perse da pendolari in ritardo non per propria colpa), ecc.
Il minus habens messo a capo di Trenord aveva quindi tirato fuori la “grande pensata”: un trenino rapido e costoso, solo per “pendolari vip”, che possa coprire i costi tramite il prezzo alto, lasciando a piedi “la plebe” che non si può permettere di spendere 24 euro al giorno solo per andare a lavorare (fanno in media 1.250 euro al mese, vediamo un po’ in quanti li guadagnano…).
“Stranamente”, la domanda sociale per questa favolosa offerta era assente… Forse perché i ricchi diffidano del treno (non si sa mai chi ti puoi trovare vicino, signora mia…), forse perché i ricchi di solito vanno in macchina con l’autista così possono leggere il giornale…
Forse perché, semplicemente, perché i ricchi sono pochi.
E se non ce ne fossero affatto tutti vivremmo decisamente meglio. Anche quando prendiamo il treno.

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