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Saviano si è fermato a Scampia

In qualche misura inevitabile la reazione degli abitanti, sia perbene che no, che non ci stanno a diventare – a livello internazionale, addirittura – l’archetipo del territorio in mano alla criminalità più feroce. Sappiamo bene che l’immagine è più forte (e labile) di centomila parole, e la skyline delle “vele” riprodotta migliaia di volte come sfondo di omicidi, arresti, morti di overdose, ecc, non può far piacere. Soprattutto per quanti si battono, da lì, per far diventare prima o poi Scampia un quartiere “normale”, senza le stigmate che l’hanno purtroppo resa famosa in Italia.

L’obiezione che alcuni giornali rivolgono contro la protesta incarnata dal presidente del municipio, Angelo Pisani, è che vietando le riprese si farebbe un favore alla camorra. Un po’ stupida, non c’è dubbio.

L’attenzione della magistratura e delle varie polizie su Scampia non si alza o si abbassa in conseguenza del numero di sceneggiati che vi si girano, ma sulla base del numero di reati che vi vengono commessi. Quindi, per quanto riguarda il fronte “repressivo”, non c’è alcun guadagno serio nell’evitare di girare in loco.

In secondo luogo, è quasi certo che la permanenza delle troupe televisive sul terreno diventerebbe a sua volta un’occasione di business malavitoso. Un po’ di coca o altro, alle troupe e agli altri “stranieri”, si può sempre far arrivare. I camper e i camion con le attrezzature richiederebbero “protezione”, e meno di non far scortare dalla polizia ogni automezzo alla fine un po’ di “pizzo” andrebbe pagato. Da Sky che filma un altro libro di Saviano, Non vi sembra istruttivo?

In terzo luogo, la camorra – come la mafia in Sicilia, ecc – non si sente affatto “disonorata” dall’essere rappresentata al cinema o in tv. La storia degli arresti di decine di boss racconta con quanta cura venissero guardati film come “Il padrino”, “Scarface”, ecc. E persino “Gomorra”. È assolutamente normale che gente che vuol sentirsi “potente” goda nel venir raccontata sullo schermo. È un modo di veder riconosciuto un ruolo, una “cultura”, una presenza incombente e minacciosa. E ogni romanzo o film, come ben sa chi li scrive e gira, conferisce ai personaggi protagonisti un’aura sempre superiore alla statura reale.

Ma vediamo alcuni esempi tratti dalla stampa nazionale.

Il Messaggero, con il titolo “Gomorra, vietato girare a Scampia le scene del sequel”, quasi accusa in presidente del municipio di voler favorire i camorristi:

Il presidente della Municipalità di Scampia, a Napoli, Angelo Pisani, ha reso noto di aver negato «qualsiasi autorizzazione allo sfruttamento di immagini e luoghi in danno del territorio» per una Gomorra-Scampia. Richiesta avanzata, spiega, «da una società per conto di Sky, che ha acquisito i diritti del libro di Saviano».Le riprese cominceranno nei prossimi giorni.
«Come presidente della municipalità e per gli investimenti in cultura e legalità che noi stiamo facendo certo di interpretare anche i sentimenti di quanti vivono nelle zone a Nord di Napoli, per troppo tempo lasciate colpevolmente abbandonate, mi oppongo decisamente alle riprese della nuova “Gomorra” versione Scampia», ribadisce Pisani. «Non consentiremo di danneggiare presente e futuro di tanti giovani che devono essere orgogliosi di vivere in questa zona a Nord di Napoli e fieri di continuare a pretendere dallo Stato messaggi positivi nella lotta ai camorristi e alla necessità di estirparli da questo territorio per metterli in galera. Ma dopo la repressione -ha proseguito Pisani- servono risorse per il rilancio dell’economia e del lavoro».

La Stampa di Torino, e della Fiat, se non altro si accorge che ci sono anche buone ragioni per dire no alle riprese. Tanto che un ex magistrato, ma ora sindaco, come De Magistris, che a Napoli è stato “affettuosamente” soprannominato “Gigino ‘a manetta” per il cuo modo di affrontare le lotte sociali, si è sentito in dovere di proteggere una parte della città che è comunque da lui amministrata.

A dare man forte a Pisani (presidente del municipio, ndr) Luigi De Magistris e i Verdi della Campania che propongono uno stop a tutti i film sulla camorra a Napoli e nella sua provincia. 

«Non appartiene a questa Amministrazione il diniego di autorizzazioni che riguardano le varie attività culturali e comunicative, ma siamo stanchi di vedere Scampia ridotta, anche sul piano dell’immagine e non solo nazionale, a territorio di conquista della camorra» afferma su facebook il sindaco di Napoli, che conclude polemicamente:’’ «chiedo allora perché i diritti televisivi pagati lautamente non vengono riconosciuti, per esempio, al finanziamento dei progetti delle associazioni e delle scuole impegnate sul territorio? Sarebbe non solo un segnale d’amore verso questo quartiere e questa città, ma anche un aiuto concreto per sostenere il cammino di emancipazione e riscatto che Scampia e Napoli stanno compiendo».  

Repubblica, naturalmente, lancia in pista direttamentre l’autore del libro, ovvero Saviano, con un pezzo incommentabile fin dal titolo: “Se a Scampia fa paura una cinepresa”, e del tutto dimentico del “conflitto di interesse” che lo riguarda (è l’autore del testo su cui si fa il film, non un osservatore qualunque).

Mi domando, ma davvero è possibile bloccare il racconto di un territorio? Davvero è possibile bloccare il racconto di un territorio dove negli ultimi mesi è riesplosa una guerra per il controllo delle piazze di spaccio? È possibile bloccare il racconto di un territorio dove le organizzazioni criminali hanno violato i cancelli di una scuola materna facendola diventare zona di guerra? È possibile vietare il racconto di un territorio dove sono esplose bombe in strada? Dove quelle bombe hanno ferito bambini che giocavano? Ma davvero questa ennesima trovata elettorale di vietare l’accesso alle telecamere è il modo giusto per attirare attenzione o per distoglierla? La luce sul dolore di Scampia la accendono le tragedie. Allora bisognerebbe tenere fuori le telecamere dei telegiornali, i video dei giornalisti, lo sguardo degli osservatori internazionali
.Ecco cosa accade quando la politica è inadeguata: preferisce bloccare il racconto. Quando nulla cambia, per incapacità di gestione, allora è meglio che gli organi di stampa, che le penne degli scrittori e le telecamere dei registi restino silenti, spente, ferme, immobili. E se invece lavorano, e se invece si muovono, meglio far passare la solita incredibile “verità” costruita ad arte: speculate su un male, speculate sulla sofferenza.In attesa che il potere trovi il modo di giustificare la propria inadeguatezza.
In attesa che il potere politico locale trovi il modo giusto per raccontare ciò che accade. Per raccontare se stesso.
Come al Nord non c’era criminalità, ora anche da Scampia è stata miracolosamente debellata. O meglio, bisogna raccontarla come gli amministratori chiedono, altrimenti è speculazione.
Parlare, raccontare, è difficile ma è l’unico modo per portare risorse e attenzione a un territorio che sembra irredimibile. Molti diranno che sono anni che si racconta Scampia eppure nulla è cambiato. Falso. Ora Scampia ha una centralità che fino a qualche anno fa non aveva. Così Casal di Principe, così la Locride. Cittadini, magistrati, poliziotti, preti, giornalisti e associazioni hanno sempre lavorato in questi territori a un contrasto che sembrava impossibile, ma la luce arrivata su questi luoghi ha permesso di dare cittadinanza non solo nazionale a territori colpevolmente dimenticati. A territori che conveniva fossero dimenticati.
Nessuno può più dire: problemi loro, o peggio, problema locale. Ma se guardiamo al lavoro delle istituzioni, a quanto si è fatto per portare la città di Napoli nel quartiere di Scampia, per sottrarlo al sequestro forzato da parte delle organizzazioni criminali, è triste constatare quanto scarsi siano i risultati. E quella di queste ore è l’ennesima, insulsa polemica che viene fatta su “Gomorra”, salvo poi chiamare Gomorra qualunque cosa accada in terra di camorra.
È l’ennesima polemica sul film, sul libro e adesso quale migliore opportunità di una serie televisiva? Il racconto delle piaghe del nostro Paese, in ogni sua forma  –  idea peraltro più volte espressa dallo stesso Berlusconi  –  viene visto come un modo di diffamare. Come la diffamazione massima di un territorio. Si utilizza la scusa del “basta speculare su questa terra” per nascondere le contraddizioni, per non mostrarle.
Le riprese per un film, per una fiction, magari si possono bloccare, ma come si farà a bloccare tutti i cronisti di tutti i giornali e telegiornali italiani, gli inviati stranieri? Come è possibile voler bloccare il racconto delle contraddizioni di un territorio che invece dovrebbe essere tutti i giorni in cima agli interessi nazionali? È una polemica un po’ furba voler spostare l’attenzione dal problema al racconto del problema. Furba perché in Italia dimentichiamo quante volte il potere ha utilizzato questo strumento per delegittimare il racconto e la denuncia.
Ma per bloccare il racconto bisognerebbe bloccare siti, blogger, carta stampata, tutto. Ecco quindi come questa diventa l’ennesima vergogna della nostra politica, l’ennesimo espediente per “rassicurare” che su Scampia non si speculerà più, che Scampia sarà difesa dai cattivi giudizi. Nulla di peggio può accadere, perché è raccontando che si mutano le cose, che si trasformano. Non nascondendole. E il consenso sul territorio si acquista costruendo cose, avendo la forze di costruire iniziative concrete e possibilità di azione e non mostrandosi censori.
Le telecamere bloccate a Scampia volevano solo raccontare Scampia. Cosa che avviene da decenni, ma fa paura quando quelle immagini arrivano nel mondo. Non so quanta centralità avrà in questo progetto di fiction Scampia, ci saranno senz’altro molti altri territori descritti, ma la cosa fondamentale è continuare a raccontare e, per quanto si possano bloccare o vietare le riprese, è fondamentale che chi ha un ruolo di responsabilità in quei territori capisca che bloccare le riprese è il messaggio peggiore che si possa dare. Che si è in ritardo in tutto, anche per la censura. Ciò che accade a Scampia è ormai emerso, i racconti sono stati fatti, Scampia non è più un territorio locale, marginale, periferico, ma è diventato un problema nazionale, anzi internazionale. E non è possibile davvero sentire senza provare un moto di disgusto, una stretta allo stomaco, le stesse parole, le stesse identiche frasi pronunciate da chi dovrebbe avere idee agli antipodi. Finisco per essere uno “spione”, un “traditore”, uno “speculatore”, un “arricchito” per chi distrugge Scampia e per chi dovrebbe salvarla. Inutili le paternali sul mancato rispetto della parte sana di Scampia: il valore della parte sana è un valore noto, è sotto gli occhi di tutti. Da sempre scrivo e mi occupo di chi è vittima del potere criminale, di chi resiste cercando di trasformare un inferno quotidiano in opportunità, in speranza, in vita.Da sempre racconto come Scampia sia un territorio soprattutto sano ma dominato da un cartello feroce e ricchissimo che non può essere aggredito come si continua a fare da anni. A Scampia ci sono associazioni di quartiere, scrittori, giornalisti, cittadini, chiesa, volontari, lavoratori. Ciò che manca a Scampia è lo Stato. Inteso come diritti, creatività sociale, costruzione di alternative. E invece qui si vuole far credere il contrario, che fiction, racconti, reportage siano il male, che siano un modo per diffamare la parte sana: pura furba censura.Mentre scrivo, leggo che anche il sindaco di Napoli condivide questa volontà censoria su Scampia pur non intervenendo a bloccare le telecamere direttamente. Ma a pensarci bene è normale, è sempre stato così: quando si è all’opposizione, e si racconta il male, si dice che raccontare sia un modo per resistere e permettere un cambiamento. Quando si va al potere, quando le stesse persone che un attimo prima erano all’opposizione vanno al potere, cambiano idea e chi racconta il male finisce per diventare il nemico che sta boicottando il cambiamento, che sta diffamando il territorio e guadagna dal male.È sempre stato così, il rivoluzionario al potere è il più zelante dei reazionari perché convinto che il suo potere sia quello giusto. È una vecchia dinamica, cari censori, una dinamica che altri prima di voi hanno utilizzato e altri dopo di voi utilizzeranno. Non posso assicurarvi che accetterò questo divieto, ma vi assicuro che io e tanti altri continueremo a raccontare come fatto prima e dopo di voi. Per fortuna la politica, quella cattiva, fa tanti danni, ma passa. Il racconto e l’azione che ne genera restano.

In attesa dell’opinione di compagni che lavorano politicamente sul difficile territorio campano, e visto che questo articolo ben poco nobile parte con una raffica di domande che vorrebbero essere delle affermazioni inconfutabili, una domanda ci sentiamo di farla noi a Saviano: ma davvero il modo migliore di raccontare un territorio è fare fiction? C’è la cronaca, il documentario, l’inchiesta, il reportage… Sono migliaia i modi di raccontare una realtà difficile e spesso infame.

Altro è la “narrazione” fatta a sceneggiatura, il contemperare brandelli di realtà con il ritmo delle sequenze rispettando le esigenze del climax, inframezzare episodi veri con altri solo “verosimili” nel contesto di una struttura narrativa che – per principio – ha a che fare con se stessa, non con la realtà.
Perché una sola cosa è certa: non è per niente vero che “Le telecamere bloccate a Scampia volevano solo raccontare Scampia”. Come ogni “narrazione” filmica volevano disegnarne una che si possa vendere bene. Non è infatti per nulla sicuro che “la realtà” brutta sia anche appetibile al botteghino.

Senza nemmeno voler considerare il fatto che, con la fiction, si fa business d’autore…

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