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Un fascista nella trattativa tra Stato e mafia

La casella nera in questione riguarda un noto neofascista, Paolo Bellini, ex esponente di Avanguardia Nazionale e con un passato che colloca in posizione di rilievo nella rete degli “uomini neri” di questo paese.
Il Gup Morosini, ha deciso di ascoltare Bellini in una delle prossime udienze preliminari del processo sulla trattativa Stato-mafia. Il motivo? Bellini sarebbe stato protagonista di una prima trattativa stato-mafia in parallelo con quella sulla quale stanno indagando i giudici palermitani.
Bellini tra il 1992 e il 1993 mise in moto i suoi contatti piuttosto consolidati con esponenti di vertice di Cosa Nostra. A suggerirgli di esplorare i suoi contatti con i mafiosi pare che sia stato un maresciallo dei carabinieri, Roberto Tempesta. Lettera 43 riferisce che “Il maresciallo dei Carabinieri Roberto Tempesta sarebbe coinvolto in quella che viene ritenuta la prima trattativa Stato-mafia che ha avuto come protagonisti il mafioso Antonino Gioé e Paolo Bellini, un neofascista vicino ad Avanguardia Nazionale e agli ambienti della malavita. Il maresciallo Tempesta, lavorava al Nucleo Tutela Patrimonio Artistico, avrebbe conosciuto Bellini nell’ estate del 1992 e gli avrebbe chiesto un aiuto per recuperare alcuni quadri rubati alla Pinacoteca di Modena. Bellini avrebbe girato la richiesta a Gioé, che aveva conosciuto in carcere nel 1981. Bellini viene così spedito ad Altofonte, in Sicilia, per parlare con il  mafioso Antonino Gioè.
Gioè gli avrebbe risposto che per i quadri della pinacoteca di Modena non si poteva fare nulla, ma che avrebbe potuto fargli recuperare opere molto più importanti. In cambio chiedeva gli arresti ospedalieri per motivi di salute per 5 boss tra i quali Luciano Liggio, Pippo Calò (condannato per la strage del treno 904), Bernardo Brusca. Ma questa “trattativa”, a quanto pare, non avrebbe portato a risultati. In compenso aveva aperto un canale di contatto con le cosche mafiose.
E’ lo stesso Totò Riina in aula a parlare del fascista Bellini e a far intendere che questo stava lavorando per gli apparati dello stato. Nel 2003, in tribunale durante un processo, il “capo dei capi” ha detto testualmente: “Ma questo Paolo Bellini che si affaccia nelle stragi di Bologna, in certi processi e poi non si vede più, ma che ci andò a fare a discutere con Gioé ad Altofonte, dove c’ha detto e c’ha messo in testa di potere fare queste stragi verso Firenze, verso Pisa (il progettato attentato alla Torre, ndr), verso l’Italia… Io questo Bellini me lo trovo in mezzo ai piedi con i servizi segreti perché era manovrato di concordi dal colonnello dei carabinieri di Roma, quello che cerca le Belle Arti e questo amico del generale Mori – oggi – Mori che c’é dietro a tutte queste situazioni che io mi vengo sempre a trovare in mezzo ai piedi? Bellini, Gioé, servizi segreti… ma che cosa c’é? Che cosa ci traso io nei fatti di Firenze? Perché sono nei fatti di Firenze?”.

La vicenda deve essere parecchio ingrovigliata e nella storia del nostro paese lì dove si aggroviglia scappa sempre qualche suicidio. In questo caso a suicidarsi è il mafioso Antonino Gioè. Ma gioè non è un mafiosetto qualsiasi, anzi. Il mafioso Gioè, che Bellini ha conosciuto in carcere, si suiciderà in cella il 28 luglio 1993 lasciando un biglietto sul quale aveva scritto: “Io sono la fine di tutto”. Gioè è uomo appartenente al clan dei corleonesi, è colui che poco più di un anno prima si infila in un cunicolo sotto l’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi conduce al capoluogo siciliano per piazzare una carica esplosiva che farà saltare per aria Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta: Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montanaro nella strage di Capaci il 23 maggio del 1992.

Se è chiaro chi era l’interlocutore mafioso della trattativa, sarà bene sapere chi è il fascista Paolo Bellini e quali siano le sue relazioni con gli apparati dello stato. A farne un identikit inquietante è il giudice Pierluigi Vigna, recentemente scomparso e che si è occupato per lungo tempo dell’inchiesta sulla strage di via Georgofili a Firenze, un episodio chiave della trattativa stato-mafia. Secondo Vigna, Paolo Bellini “E’ un uomo che ha saputo inserirsi in un ventennio di vicende criminali italiane perché ha le caratteristiche ideali del mercenario della malavita: sangue freddo nell’uccidere, fantasia, sa pilotare gli aerei, conosce le lingue. Come collaboratore ha reso un buon servizio allo Stato”. Una conclusione sulla quale il dott. Vigna probabilmente sapeva più di quanto detto e che fa porre una domanda inevitabile: a quale genere di servizio allo stato si riferiva il procuratore Vigna? Paolo Bellini oggi gode dello status di “collaboratore di giustizia”, e sconta in un luogo protetto, la pena per gli omicidi che ha commesso.

L’Espresso del 26 luglio 2012 riferisce che i giudici della strage di via dei Georgofili hanno intitolato il capitolo sulle cause delle autobombe del ’93 a Firenze “La trattativa Gioè-Bellini: nascita di un’idea criminale”. Antonino Gioè è un mafioso vicinissimo ai boss stragisti. Paolo Bellini è un ex neofascista di Avanguardia nazionale, scivolato nella malavita: ha scontato due condanne per furti di mobili antichi. Bellini conosce Gioè in carcere, nel 1981 dove però, stranamente il neofascista è detenuto sotto falso nome. Un colonnello dell’esercito verrà arrestato per aver nascosto la scheda con le sue impronte digitali.
Bellini, nel 1976 quando in Italia parte una inchiesta contro i fascisti di Avanguardia Nazionale, come molti altri fascisti italiani si dà alla latitanza presso le dittature militari in America Latina. Ricompare in Italia qualche anno dopo, ma viene intercettato a Pontassieve, in provincia di Firenze, mentre è alla guida di un camion che trasporta mobili rubati. Fermato, è identificato – e non smentito – come Roberto Da Silva e con questa identità finisce in galera. Per scoprire il suo vero nome sarebbe stato necessario confrontare le impronte digitali che gli vengono rilevate con quelle già archiviate in occasioni precedenti. Ma il suo cartellino segnaletico – si scoprirà più avanti – è andato perduto. Scomparso.

La prescrizione salva poi Bellini dall’accusa di omicidio. La sentenza per l’omicidio di Alceste Campanile (giovane di sinistra di Reggio Emilia) viene emessa il 30 ottobre 2007 e Bellini viene riconosciuto colpevole dell’omicidio ma il reato è prescritto proprio per l’assenza di premeditazione e se resta in carcere è solo perché nel frattempo è stato condannato anche per altri reati. Insomma, non ci saranno punizioni per l’omicidio di Alceste Campanile commesso nel lontano giugno 1975. Bellini si era autoaccusato dell’omicidio di Campanile parlandone in cella con il mafioso Antonino Gioè.

Mafia e stragi. Non sarebbe la prima volta

Per la strage sul treno 904 nel dicembre del 1984, è stato condannato con sentenza definitiva, tra gli altri, il boss mafioso Pippo Calò, oggetto della prima trattativa stato-mafia attraverso il canale Bellini-Gioè. Nell’89 sono stati condannati in primo grado dalla Corte d’Assise di Firenze per “reato di strage, attentato per finalità terroristica ed eversiva e di banda armata” esponenti del gruppo definito ‘romano-siculo’ come Pippo Calò, Guido Cercola, Franco d’Agostino e Friedrich Shaundin, esponenti del gruppo ‘napoletano’ come il boss Giuseppe Misso, Alfonso Galeota, Pirozzi, Esposito e Luongo. Allora fu disposta la separazione degli atti per l’ex parlamentare fascista del Msi Massimo Abbatangelo in quanto eletto al Parlamento.

La corte di Cassazione, dopo gli altri giudizi, con sentenza 24 novembre 1992, confermava l’ergastolo a Calò e a Cercola, la pena ridotta a 24 anni di reclusione a d’Agostino, 22 anni di reclusione a Shaundin, assolto dal reato di banda armata, la pena di 3 anni di reclusione per Misso, Galeota e Pirozzi, colpevoli. Il fascista Abbatangelo, fu condannato inizialmente all’ergastolo nel ’91 dalla Corte d’Assise di Firenze, ma in seguito agli altri gradi di giudizio, il 19 dicembre 1994, la Cassazione confermerà la sua assoluzione dalle imputazioni di strage, condannandolo a 6 anni per detenzione di armi ed esplosivo.

La Procura antimafia di Napoli, a luglio 2010, ha riaperto l’inchiesta sulla strage del Treno 904, avvenuta nel 1984 a Vernio, in un tratto delle ferrovia tra Firenze e Bologna non lontana dall’altra strage, quell’Italicus avvenuta nell’agosto di dieci anni prima. La procura ha iscritto cinque persone nel registro degli indagati. Sono accusate di strage in concorso con altri soggetti ancora da identificare. Sono coloro, è l’ipotesi dei pm Sergio Amato e Paolo Itri, che alle 18,30 del 23 dicembre 1984 avrebbero collocato l’esplosivo nel convoglio, all’interno della stazione Santa Maria Novella, durante la fermata a Firenze. Si tratta di cinque uomini della camorra, tutti della Sanità e vicini a Giuseppe Misso: Luigi Improta, Gennaro Palmieri, Mario e Salvatore Savarese, Raffaele Stolder. La loro messa sotto accusa sarebbe emersa dalle rivelazioni di almeno due persone di alto rango camorristico, e provenienti anch’essi dal rione Sanità, e che risultano attivi nell’elenco dei collaboratori di giustizia. Il primo è Giuseppe Misso, detto ’o nasone, assolto dal reato di strage – per il treno 904 – ma con sentenza passata in giudicato e, quindi, non più processabile per lo stesso reato. Così come avvenuto per i primi imputati della strage di Piazza Fontana, prima condannati, poi assolti e poi riconosciuti colpevoli – ma non più perseguibili – nel secondo processo per la strage.
L’altra fonte è Luigi Guida, noto come ’ndrink, uomo di strettissima fiducia di Misso, dei fratelli Savarese, di Improta. È stato anche il braccio destro di Francesco Bidognetti, reggendo per suo conto la parte del cartello casalese che controllava il litorale domiziano. Le rivelazioni di due pezzi grossi come Misso eGuida potrebbero risultare molto utili per ricostruire la verità sulla strage del treno 904 e forse anche sulla trattativa tra stato e mafia negli otto anni successivi.

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