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Citriniti: “Continuerò finché la vita di Samer sarà salva”

Signor Citriniti fatti non solo parole, ma questo gesto serve?

Quando si può fare poco e non si fa neppure quello… E’ un gesto, un tentativo di sensibilizzazione alternativo anche alle solite manifestazioni inascoltate da amministratori e politici totalmente prostrati ai poteri forti. Ho scelto un luogo sacro, sono davanti alla chiesa di Pentone, chi passa guarda, chiede, parla. E’ un’azione forse esasperata in un clima esasperato prodotto dalla mancanza d’ascolto.

Ha scelto di proposito gli ultimi giorni di campagna elettorale in Italia?

I partiti sono proiettati sulla loro fiera delle vanità e delle promesse, tutti evitano di esporsi. Evitano responsabilità su ogni tema, figurarsi su una questione annosa come quella palestinese che crea divisione fra i potenziali elettori e finanche fra gli iscritti. I partiti girano alla larga dal prendere posizione su ogni cosa; princìpi come i diritti umani, il rispetto della vita – perché per un uomo come Issawi che può morire da un momento all’altro di questo si tratta –  non li affrontano proprio.

Neppure a sinistra?

Qualcuno sensibile c’è. Ci sono comitati e associazioni che organizzano viaggi, visite ai campi profughi, un grande attivista è stato Stefano Chiarini (il compianto giornalista del Manifesto, ndr) che era anche candidato in un partito della sinistra. Chi continua a stare nello stesso gruppo conserva quest’impegno.

Perché anche figure sociali antagoniste – precari, disoccupati, licenziati – insomma coloro che da noi tuttora lottano paiono poco sensibili a queste tematiche?

Le uniche prese di posizione concrete le ho trovate in alcuni centri sociali,  chi è cosciente per una scelta militante ovviamente si mobilita. Oggi l’operaio e il disoccupato sono già afflitti da una quotidianità ossessionata dal carovita e da quella giungla che sono diventati i rapporti sociali e diventano poco propensi a guardare oltre.

La solidarietà internazionale politicizzata o generica sono scomparse?

Una personale accusa rivolta ai partiti riguarda la progressiva disincentivazione alla partecipazione. Stessa pratica diffusa dal sindacato che per più d’un ventennio ha attaccato la rappresentanza diretta. Queste tendenze hanno creato spettatori, utenti, più o meno plaudenti, non cittadini attivi e il panorama odierno non offre scenari migliori. Mediamente si torna a casa, si accende la tele, si sintonizza verso quell’informazione che si crede più confacente al proprio pensiero o più alternativa e inizia la flebo. Si tratta in ogni caso di un’informazione che arriva dall’alto, senza confronti.

Sarà forse l’irrisolutezza della questione palestinese a produrre certe indifferenze?

Israele con la propaganda ha puntato a presentare la situazione come complicata. Se la questione fosse recepita com’è realmente, come esplicito colonialismo o pulizia etnica d’un popolo, la gente risponderebbe con maggiore risolutezza e speranza. Invece Israele ha abilmente diffuso l’idea d’una soluzione difficile, peraltro praticabile coi soli mezzi da lui usati: occupazione, guerra, morte, carcere. Gli argomenti per cui ora si sciopera.

Sono forse inefficaci i metodi di sostegno?

Qualsiasi metodo dà sempre un valore aggiunto alla lotta e alla solidarietà con la Palestina. Naturalmente serve anche fermarsi e vedere se gli sforzi sono commisurati ai risultati, ciascuna azione dovrebbe essere valutata per gli effetti positivi che produce, in questa fase penso sia efficace insistere sul rispetto dei diritti umani e sul BDS come forma di pressione, sono questi valori e strumenti molto condivisi.

Oppure, terza ipotesi, la forza d’Israele sta nel sostegno incondizionato e trasversale che riceve da tutti ovunque nel mondo?

Molte volte mi sono chiesto cosa spinge Saviano a prendere le parti d’Israele; cosa spinge Erri De Luca a mistificare la realtà palestinese. Sicuramente dietro questi discorsi ci sono opportunità di coloro che si pongono nell’area di pensiero filo israeliano. Lo Stato ebraico ha promosso campagne di reclutamento per artisti che possano trasformarsi in suoi propagandisti, negli anni passati al Salone del libro di Torino l’elenco degli intellettuali accreditati è stato fatto dai ministeri degli Esteri e della Difesa non dei Beni Culturali. Personaggi noti servono da sostegno a precisi disegni sionisti dello stato di Israele. Amos Oz scrive romanzi che possono anche piacere ma scopriamo che poi appoggia la guerra in Libano. Se il Muro viene definito  “muro di sicurezza” da un cittadino israeliano o da un disinformato cittadino europeo forse lo si può capire per la propaganda martellante. Sentirlo definire così da un intellettuale come Abraham Yehoshua che sa come su un confine di 350 km s’è costruita una barriera di 700 km tutta in territorio palestinese fa pensare alla malafede o a interessi precisi di propaganda.

Quanto durerà l’azione che ha intrapreso?

Durerà i tempi che avranno Croce Rossa e Amnesty International a far valere le iniziative per salvare la vita a Samer Issawi.  

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