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Il popolo delle stelle

“Abbiamo partecipato a tutte le manifestazioni del popolo viola ma poi sono prevalse strumentalizzazioni e divisioni. Oggi le cinque stelle sono la continuità di quel movimento”. Carlo e Cristina, laureati, non ancora trentenni, ci spiegano così perché sono in Piazza San Giovanni alla manifestazione finale di Beppe Grillo e del suo Movimento 5 Stelle. Antonio, da Benevento, precario della scuola, preferisce la declinazione semplice: “Se ne devono andare affanculo tutti i partiti, i sindacati, i corrotti”. “La Costituzione è il nostro programma, tutti gli altri l’hanno tradita”, Maria avrà una cinquantina d’anni, ha sempre votato a sinistra ma adesso voterà per Grillo.

Sono queste alcune delle considerazioni raccolte in piazza San Giovanni a Roma l’ultimo venerdi di campagna elettorale. Abbiamo saputo che altri “colleghi” della stampa hanno avuto problemi ad entrare nel backstage del palco e hanno chiamato la polizia per potervi accedere. Due scelte che non ci appassionano affatto. Abbiamo preferito stare nella piazza in mezzo al popolo grillino per guardarli in faccia, scambiare battute, ascoltarne i commenti agli interventi dal palco. Sono due modi diversi di indagare su una realtà che sembra essere la vera novità – e forse la variabile indipendente – di queste elezioni.

Se qualcuno voleva disegnare i “Cinque Stelle” come movimento populista, dovrà fare i conti con una regìa del palco e della manifestazione che invece declina uno ad uno gli articoli più importanti della Costituzione e ne dichiara pubblicamente la fedeltà. Il conduttore alterna la lettura degli articoli a brevi video dedicati e qui l’impatto è forte: il procuratore di Caltanissetta Scarpinato – persona straordinaria – che legge Calamandrei; Vittorio Arrigoni su pace e guerra; Pasolini che mette sull’avviso a metà degli anni Settanta sul pericolo del consumismo, ed ancora “I cento passi” di Peppino Impastato sulla legalità e via scorrendo. C’è poi un video che è decisamente una sorpresa: l’intervento del presidente dell’Uruguay, l’ex tupamaro Mujica, uno che ha rinunciato al suo stipendio da presidente della repubblica e che continua a vivere nella sua casetta autocostruita in campagna. Un ex tupamaro tra i grillini fa un certo effetto.
Intervengono anche i candidati del Movimento 5 Stelle (ne omettiamo i nomi perché oggi non si può fare campagna elettorale). Gente giovane e con l’aria da dilettanti allo sbaraglio qualora entrassero in parlamento. C’è la candidata del Piemonte che invoca il reddito minimo garantito e tuona contro le politiche di austerity che chiudono gli ospedali e lasciano cadere a pezzi le scuole; c’è l’ingegnere genovese che tuona contro le devastazioni ambientali e invia i suoi saluti ai No Tav, ai No Gronda e ai No Muos; c’è la candidata emiliana che parla della lotta alle mafie e invoca legalità o il giovane freelance romano candidato nel Lazio che spiega la non violenza, la richiesta di ritiro delle missioni militari e il no agli F35 e l’intransigenza del ripudio della guerra nella Costituzione Italiana. “L’Italia ripudia la guerra” si tuona dal palco quasi a sottolineare l’importanza della questione.

C’è spazio anche per una “caduta politica”, l’unica a rendere quel palco e quella piazza meno prossima a quella che ci è sembrata. L’articolo della Costituzione sul lavoro viene fatto declinare da un giovane imprenditore veneto – trapiantato a Prato e candidato in Toscana – che l’eliminazione degli incentivi statali agli impianti fotovoltaici ha messo in crisi. La storia è quella solita dei self made man e poi dello stato coercitivo che con tasse, decreti, ritardi nei pagamenti porta le piccole imprese al fallimento. Storie che abbiamo sentito spesso nei raduni leghisti, ma che pure rappresentano un pezzo di realtà produttiva che la crisi sta spappolando nel paese cresciuto nell’illusione che “piccolo è bello”.
La tabella di marcia della Bce e la centralizzazione produttiva a livello europeo non fanno prigionieri, se ne stanno accorgendo in molti nel Nordest così come in quelli che erano i distretti industriali. Ma che la questione del lavoro debba essere declinata da un imprenditore e non da un lavoratore, anzi che voglia essere declinata affermando che lavoratori e padroni abbiano stessi interessi è l’aspetto più inquietante dell’elaborazione grillina. Un’idea che lo stesso Grillo agita ripetutamente, ovvero quella che i lavoratori diventino azionisti e compartecipanti delle sorti delle loro imprese. Grillo su questo parla a sproposito e lo ha fatto anche ieri sera – tra l’altro contraddicendosi – quando ha raccontato dei lavoratori del Monte dei Paschi di Siena che hanno investito il loro Tfr nelle azioni dell’azienda ed ora si ritrovano con un pugno di mosche svalutato di quattro quinti.

Una piazza contraddittoria dunque, con un popolo che somiglia tantissimo a quello che abbiamo visto in piazza con le sciarpe viola negli anni scorsi, nella manifestazioni che invocavano legalità ma che alla fine sono state disperse dall’inerzia e dalla complicità del Pd e dalle voracità egemoniche di Di Pietro. Una piazza che difende la Costituzione e che acclama come Presidente della Repubblica Pertini per far sapere che non stima affatto Napolitano. Un popolo che si era disperso e che Grillo è riuscito a mobilitare quando non c’è più un parafulmine come Berlusconi al governo. Una piazza e un popolo con cui la sinistra dovrà fare i conti sul serio. Oggi è riuscita a fare come novanta anni fa con gli Arditi. “Ce li siamo fatti nemici gratis”, commentò allora amaramente Antonio Gramsci.

 


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1 Commento


  • marco

    Ho gironzolato per la piazza dei grilli, quest’articolo la descrive molto bene, soprattutto fa (dovrebbe fare) riflettere a partire dai contenuti declinati dal palco… No, forse non sono antisistema(come diceva eiri un altro articolo sul grillismo), sono (ingenuamente?) devoti alla Costituzione, sono indeterminati (non sono classe ne hanno coscienza di classe), fanno come minimo confusione sul diritto al lavoro, ma… : alle cose riportate da Federico R. aggiungerei: la richiesta di più stato (pubblico) in scuola sanità, non lavoro a qualunque costo (nel senso di merda, Sulcis, precarietà), meno (ore di) lavoro, forbice reddito 1-12, e poi un pò di ideologia: solidarietà, nessuno deve rimane indietro, e il tentativo di ribaltare lo stato di -depressione/difesa- (stato d’animo da molto nella sinistra) in entusiasmo/attacco. Non enfatizzo nulla, ma è da tempo che tutti questi temi non vengono inanellati tutti insieme e di fronte ad un pubblico senza volti del Che e nelle sue frange più lontane dal palco politicamente ondivago (del tipo il voto è segreto). Non ho incontrato facce conosciute di compagni, peccato.
    Ora, Grillo non è Castro e soprattutto gli italiani non sono cubani, ma chi dovrebbero stare a sentire gli arrabbiati ? La “ggente” (!) non ne può più, ha perso contemporaneamente speranza e pazienza, un mix micidiale se non trova un canale dove temperare la potenza rabbiosa. Grillo è insufficiente e forse anche baro ma i compagni non possono nascondersi dietro i risultati delle analisi del sangue fatta al mov dei grillini (contraddetti dai resoconti mov/elezioni pubblicati su questo giornale) piuttosto bisogna trasformare quella rabbia in coscienza antisistema e poi vivaddio in coscienza di classe. La responsabilità della rivoluzione in una fase catastrofica del capitalismo è dei comunisti (la cui teoria, per definizione, altri non hanno e non possono avere!!)! Non di Grillo che comunista non è! Spero in un guizzo di genio collettivo…!
    Marco Benvenuti

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