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Ecco chi paga Enrichino

La lettura è utile a tutti, ma consigliata soprattutto a che pensa che la politica sia scontro “tra idee e proposte diverse”. Qui, brutalmente e senza alcuna ideologica, si ritorna alla vera essenza: scontro tra gruppi di interesse. I quali, guarda caso, hanno contrapposto -nel Pd – chi è solito fare affari anche con i gruppi più “berlusconiani” e chi – anche non disdegnando frequentazioni occasionali – si muove su altri piani di business.

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Ecco chi paga Enrichino

di Luca Sappino

Enel, soprattutto. Ma anche Eni, Telecom, Vodafone, Sky, Lottomatica, Sisal, Autostrade per l’Italia, Nestlé, Farmindustria e il gruppo Cremonini. Sono i generosi sponsor della fondazione VeDrò, da cui nasce la rete di potere del premier incaricato. Chissà se avranno qualcosa in cambio

Chi finanzia VeDrò, il think-tank bipartisan che ha fatto di Enrico Letta l’uomo giusto per un governo di larghe intese?

Sponsor privati, ovviamente. Dall’Enel al gruppo dell’industria alimentare Cremonini, fino all’Eni e ad Autostrade per l’Italia. Il motivo? Ritorno di visibilità, loghi su brochure e siti internet. E la politica? La politica non c’entra, dicono: «Noi non negoziamo la nostra posizione intellettuale», dice subito il tesoriere Riccarco Capecchi.

Vedrò, anzi vedremo: «Dobbiamo lavorare molto sul tema delle privatizzazioni», è la posizione nota di Enrico Letta: «Il patrimonio pubblico è ancora enorme: bisogna cominciare a mettere nel mirino nuove privatizzazioni pezzi di Eni, Enel e Finmeccanica». E poi: «Sarà uno dei temi del nostro governo, quando gli elettori ci faranno governare», conclude il prossimo Presidente del Consiglio.

Sul tema dei finaziamenti privati ai think-tank, Mattia Diletti, docente e ricercatore di scienza politica all’Università La Sapienza di Roma, ha fatto un lavoro molto articolato: «Questo tipo di fondazioni politiche hanno bilanci molto simili e possono contare su budget medi di 800 mila euro». E Vedrò? «E’ poco sopra la media», dice Diletti. «Quello che colpisce però del sistema di finanziamento riguarda soprattutto i finanziatori piuttosto che i finanziati», spiega: «Sono prevalentemente ex monopoli pubblici, che hanno un rapporto ancora stretto con la politica e che finanziano un po’ tutti, con cifre ridotte, a pioggia, sia la destra che la sinistra.

Funziona un po’ «all’americana», dice Diletti. E come si riempie, in America, un bilancio da 800 mila euro? Lo si capisce prendendo in mano una qualunque brochure delle attività di Vedrò. Enel, Eni, Edison, Telecom Italia, Vodafone, Sky, Lottomatica, Sisal, Autostrade per l’Italia, Nestlé, Farmindustria, il gruppo Cremonini (la carne Montana): sono tante le aziende che concorrono al fabbisogno del pensatoio.

Quello che non sappiamo è quanto sia il contributo specifico di questi sponsor, quali sono economici e quali invece in servizi. Quello che sappiamo è che gli sponsor hanno spesso un ruolo attivo, all’interno del dibattito, contribuendo al contenitore ma anche al contenuto.

Enel, ad esempio, promuove così l’appuntamento estivo di Vedrò, sul proprio sito: «Un think-net aperto e dedicato anche alla mobilità elettrica e alle smart cities», dove «Enel, sponsor della manifestazione, è protagonista del working group ‘Vedrò Energie’».

Vedrò vive tutto l’anno, organizza convegni, aperitivi e presentazioni. L’evento centrale è però la tre giorni che si svolge a fine agosto a Dro’, paese trentino di 4.500 abitanti, una quindicina di chilometri a nord del del lago di Garda, in un’ex centrale idroelettrica.

Nonostante la chilometrica lista di sponsor, l’evento non è gratuito. Anzi. Gli hotel della zona costano cari, e tutti gli ospiti – o quasi – pagano di tasca propria. In più, ovviamente, c’è una quota di iscrizione: 150 euro per gli under trenta, 300 euro o più per tutti gli altri.

Avarizia degli organizzatori? Piuttosto, ricerca dell’esclusività. Già così – per la prossima edizione – sono previste oltre mille persone: ben più di quelle arrivate l’anno scorso, che erano 800. «Le loro quote», ci spega il tesoriere Riccardo Capecchi, «servono a coprire i costi vivi della manifestazione, l’allestimento della centrale, le navette con gli alberghi, il catering per i tre giorni».

Ma non bastano. A Vedrò lavora una decina di persone («ma io come altri sono volontario», dice sempre Capecchi) e sono le sponsorizzazioni a tenere in piedi il tutto. Con quanto? Quanto basta per coprire tutti i costi, ma di più non si può sapere: «Noi – dice Capecchi – per ovvie ragioni di privacy non diffondiamo l’entità delle contribuzioni». Ma bisogna stare tranquilli, assicura, perché ««gli accordi che prevalentemente sono sulla visibilità, rispettano i parametri standard».

«Quello che posso dire», continua Capecchi, «è che la contribuzione media è di circa 30 mila euro. Anche se poi, ovviamente c’è chi dà meno e chi dà molto di più».

C’è poi chi è proprio affezionato: il premio di più fedele supporter va proprio all’Enel che a Vedrò ci va dalla prima edizione. «Con loro, così come con tutti gli altri», spiega il tesoriere, «c’è la condivisione di un progetto». Basta la condivisione a coprire tutti i costi? Pare di sì. «Anzi», si vanta Capecchi, «siccome io sono un gestore oculato, riusciamo anche ad avere un lieve avanzo di bilancio». Bilancio che però non aiuta a scoprire le cifre precise, perché le voci sono accorpate: «La nostra volontà di trasparenza è però certificata dal fatto che abbiamo fatto una società, al 100 per cento partecipata da Vedrò, che ha l’obbligo di presentare un bilancio pubblico, invece di fare tutto come associazione».

Resta da capire se le sponsorizzazioni diano o meno i loro frutti. Politicamente parlando, s’intende.

da L’Espresso *

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1 Commento


  • malestro

    Le partecipate di stato, tanto fortemente volute dal PCI e dalla DC negli anni ’50 moltiplicavano per 7 il capitale investito; pur avendo ancora ora, da dissanguate, tanto ruolo strategico, le vogliono dare in regalo al capitale privato contro qualsiasi logica razionale (Nuovo Pignone dopo la vendita agli ha moltiplicato di 8 volte il suo valore per dirne una). Gli scopi: pura rapina (sono proprietà pubbliche, da acquisire praticamente a spese nostre); geostrategia (ridurci alla completa sudditanza e disarmati, colonizzati); “ristrutturazione” capitalistica per la competizione multipolare che prevede la forzosa costituzione formazione dell’esercito industriale di riserva nel paesaggio della terzomondializzazione globale, che è il modo geniale con cui il capitalismo con l’orgasmo della caduta del saggio di profitto si avvita nella sua crisi e si avvia alla guerra . La cosa pazzesca che la popolazione abbagliata dalle merci e terrorizzata di perdere la possibilità della promozione sociale, le garanzie per se ed i figli, sta supinamente consegnando tutte le sue speranze e i suoi diritti agli agenti della borghesia imperialista che la massacreranno senza neanche l’involucro gattopardesco di un contentino purché sia. Non si può perdere tutto per farsi cadere le fette di prosciutto dagli occhi, è imperdonabile, inaccettabile.

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