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Dal voto per il Governo alla stagione costituente, passando per la lunga mano di Napolitano


In primo luogo una premessa, o meglio, una premessa utile a chi scrive per cercare di distinguersi dal facile coro.
Negli ultimi due mesi è notevolmente aumentata l’enfasi con la quale si parla dei mandati elettorali ricevuti dai cittadini, vuoi perché da alcuni ritenuti rigorosamente rispettati, vuoi perché per altri ne è stato invece denunciato il palesemente tradimento.
Tenuto conto, però, che abbiamo da poco votato con una legge elettorale che al primo arrivato regala seggi come fossero noccioline, e che è proprio a causa di questo regalo spropositato che gli elettori sono più preoccupati di votare utilmente, piuttosto che di controllare il programma di governo che alla fine sono è costretti a sottoscrivere per non disperdere il proprio voto, tutti questi toni accesi da crociata religiosa, su dei mandati elettorali palesemente estorti, appaiono quanto mai fuori luogo.
Ma dato che di questi tempi la moda imperante se ne frega delle premesse di questo tipo, tanto vale adottare la solita formula del “ammesso e non concesso”.

Seguendo quindi l’onda del sentire comunemente diffuso, e nel tentare di analizzare il comportamento tenuto dalle forze politiche dal giorno dopo le elezioni ad oggi, si scopre che a seguire in maniera rigorosa il mandato elettorale ricevuto, sulla base di quanto da tutti sostenuto in campagna elettorale riguardo le alleanze possibili, non vi era altra scelta che tornare velocemente al voto.

Veloce ritorno al voto che avrebbe però potuto comportare la probabile riproposizione dei risultati di febbraio, stante non tanto il dover votare con la medesima legge elettorale, quanto per la peculiare divisione dell’elettorato in tre parti quasi eguali e con un quarto polo minore in grado di rappresentare il 10% dei votanti; a tutto questo c’è poi da aggiungere il forte tasso di astensione, arrivato ormai al preoccupante livello del 25%.
In un simile quadro di particolare frammentazione dell’elettorato, che sarebbe grave ignorare e non rappresentare adeguatamente in Parlamento utilizzando le alchimie matematiche di qualche altra bizzarra legge elettorale, nulla di più fisiologico che si possa allora tentare, in barba alla rigidità assoluta del rispetto del mandato di governo ricevuto dagli elettori, di procedere così come si farebbe in una normale democrazia quando nessuno si trova a possedere tutti i numeri necessari.

Tutto a posto, allora?
Assolutamente no!
 
Il Governo Letta nasce, principalmente, per avviare una profonda revisione della Costituzione, come da “condicio sine qua non” intimata alle Camere riunite dal rieletto Presidente della Repubblica Napolitano.
Il Presidente del Consiglio non solo ha dato l’annuncio dell’istituzione di una nuova Costituente, la Convenzione per le riforme, ma ha anche fissato in diciotto mesi la prima scadenza, arrivati alla quale sarà lo stato dei lavori sulla revisione costituzionale a determinare se e quanto l’esperienza del suo Governo potrà continuare.
In altre parole, la convivenza tra “minoranze” non è sorta per la “superiore” esigenza di dover necessariamente mediare tra diverse opzioni riguardo alle misure urgenti da intraprendere, così come normalmente avviene in altri paesi in assenza dei numeri, la Germania su tutti, bensì per darsi il tempo necessario per rimuovere tutti quegli ostacoli che, evidentemente, ancora consentono agli elettori “eccessive” libertà di scelta e che potrebbero impedire ad una delle minoranze, come in una lotteria, di vincere e di divenire così la rappresentazione dell’interesse generale.
L’assenza dei numeri del consenso (non dimentichiamo che il centrosinistra ha conquistato la maggioranza dei seggi alla Camera con meno del 30% dei voti validi; in un ambito, peraltro, di forte disaffezione al voto, per cui stiamo parlando del 21% degli aventi diritto di voto, cioè di un elettore su cinque), che come nulla viene occultata per far posto all’esigenza di garantire la governabilità a tutti i costi.

Altresì, il Governo Letta è la diretta conseguenza del ruolo “già governante” svolto dal Presidente della Repubblica; un ruolo che, però, non nasce e s’impone in questi giorni.
In questi ultimi venti anni, a seguito dell’introduzione del maggioritario, abbiamo dovuto fare i conti con ben più di una Costituzione materiale.
Dapprima si è stati costretti a subire una sorta di elezione diretta del Governo che non sta scritta da nessuna parte, se non, implicitamente, nelle due leggi elettorali che si sono succedute dal 1994 ad oggi. Una delega in bianco mascherata, visto che per il meccanismo maggioritario all’elettore rimangono ben poche possibilità di scelta, pena la dispersione del proprio voto.
Un’esperienza rivelatasi a dir poco fallimentare, e il risultato elettorale ultimo non ne è che l’ulteriore dimostrazione, ma che non è però servita da lezione. Anzi, l’esatto contrario.
Anziché partire dal fallimento della forzatura maggioritaria per ribadire la necessità di ridare fiato ad una sana dialettica parlamentare, a partire dalla restituzione di un corretto esercizio del diritto di voto nel senso indicato dai costituenti, si è approfittato dell’indebolimento del quadro politico-istituzionale, determinato dall’aver voluto semplificare e nascondere le diversità degli interessi sotto il tappeto della legge elettorale, per far affermare, in modo particolare da parte del Presidente Napolitano, l’espansione incontrollata dei poteri del Capo dello Stato.
Non più un Presidente garante della Costituzione, bensì, appunto, un Presidente governante.
Per tutta la durata del suo primo settennato, Napolitano si è posto alla direzione di tutti i passaggi critici. Non per gestirli secondo Costituzione, ma con il chiaro scopo di condizionare l’azione di governo secondo i suoi desiderata, raggiungendo l’apice nel novembre del 2011, con l’investitura di Monti a nuovo capo del Governo e la secca contrarietà alle elezioni anticipate in seguito al collasso del Governo Berlusconi: “Tutelare ora il paese da un precipitoso ricorso al voto è un’esigenza cui tutte le forze politiche devono concorrere”.

Ma il risultato elettorale indesiderato, rinviato di un anno per consentire al Governo Monti l’attuazione delle politiche di austerità, è infine giunto con le elezioni del febbraio scorso.
Dalle urne è emersa una bocciatura senza appello del Governo Monti e della scelta di aver voluto prolungare l’agonia della precedente legislatura.
Un risultato sgradito che è però stato prontamente congelato dal Presidente Napolitano, con l’omessa nomina, dopo neanche mezzo tentativo, del nuovo Presidente del Consiglio; il tutto sostenendo l’operatività del Governo Monti ed affidando a due gruppi di saggi il compito di trovare le soluzioni da suggerire al Parlamento.
Certo, oggi nessuno può dire se e chi avrebbe potuto trovare, Bersani od altri, i numeri per la fiducia per un Governo, anche di minoranza, senza l’accordo con il PdL.
Una certezza però l’abbiamo: alla verifica parlamentare, l’unica verifica alla quale, per dettato costituzionale, è affidata la conta per la risoluzione di questo dubbio, non si è potuti arrivare per l’atto di ostruzione compiuto dal Presidente Napolitano. Una lettura distorta delle prerogative in capo al Presidente della Repubblica, in quel momento chiaramente finalizzata ad impedire la possibile formazione di un Governo che non includesse anche Berlusconi e Scelta Civica, così come è poi apparso più chiaramente all’atto della rielezione condizionata.
 
Per dovere ed onestà di cronaca, non si può però concludere senza ricordare l’atteggiamento passivo tenuto da tutte le forze politiche presenti in Parlamento, nessuna esclusa, che ha certamente contribuito a spianare la strada alla completa realizzazione degli auspici di Napolitano, con addirittura la sua rielezione vincolata all’attuazione di un preciso percorso di riforme e la formazione di una precisa squadra di Governo.
Chi per codardia e chi per l’incapacità di comprendere la reale posta in gioco, i silenzi e gli “apprezzamenti”, che hanno seguito il colpo di mano consumato il 30 marzo, si stanno ora rivelando, a distanza di soli 30 giorni, in tutta la loro sprovvedutezza e pesante gravità.

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