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Ci criticano sul web? Mettiamoli in galera o in mutande

L’impopolarità fa paura a una classe dirigente mai come oggi screditata in blocco. Lo si vede da come reagisce alle critiche (che in Rete diventano facilmente insulti, perché il solipsismo da tastiera sembra allentare i freni inibitori) che le piovono addosso da ogni parte: censurare, criminalizzare, vietare.

La Rete copre tutto il mondo, è noto, ma ben pochi governi adottano norme stringenti di controllo. Che peraltro si rivelano poco efficaci nel “prevenire” le critiche ai relativi regimi, mentre una qualche utilità la conservano solo a fini repressivi. A costo però di sfidare il ridicolo.

Una classe dirigente con la levatura da “statista” troverebbe soluzioni molto più soft, eserciterebbe una “moral suasion” assai discreta, promuoverebbe una reazione civile di segno contrario. Quella che ci ritroviamo, dopo venti anni di irruzione della “società civile” nella sfera della “politica” è invece una congrega di incapaci, a digiuno di cultura istituzionale, estranea a movenze e procedure della democrazia. Pensate a dei frequentatori del bar dello sport che si improvvisano “legislatori” e avrete una fotografia abbastanza precisa della situazione.

Non c’è però da ridere. Un potere ignorante è più pericoloso di uno “sapiente”, perché pretende di fregarti, ma senza fare lo sforzo di pensare. Quindi il suo primo istinto è il ricorso alla forza repressiva, all’uso del potere per conservare l’intangibilità del proprio potere. E basta.

Vediamo cosa sta accadendo.

Resoconta oggi Il Fatto: “Commenti lasciati sulle bacheche online che spingono i politici a riesumare emendamenti ammazza-blog e piazze digitali equiparate più ad articoli di stampa che a una “piazza” virtuale. Responsabili di spazi web ritenuti colpevoli per commenti lasciati da altri. E se la persona offesa ricopre una carica pubblica cresce l’allarme e si ipotizzano anche norme più stringenti. Eppure in Europa come negli Stati Uniti c’è maggiore tolleranza sui contenuti online specie da parte dei politici e di chi è esposto mediaticamente, come dimostra anche una recente sentenza della Corte europea”.

Ha iniziato la vendoliana Laura Boldrini, miracolata con la presidenza della Camera, irritata da un fotomontaggio e da alcuni insulti (o minacce) contenuti nei commenti a post che la nominavano. Si è aggregato il pari grado al Senato, Piero Grasso, ex capo dell’Antimafia e quindi abituato a veder reati sotto ogni cavolfiore, secondo cui bisognerebbe “avere delle leggi che colpiscano i reati commessi attraverso il web, di qualsiasi tipo: dall’insulto alla minaccia, dall’ingiuria alle cose anche più gravi”.

Qualche blogger è già stato condannato, anche se a questi non è arrivata la solidarietà da parte di Yoani Sanchez (si sa, l’unico blogger buono è quello filo-occidentale, gli altri possono crepare).

Breve riassunto delle azioni giudiziarie già intraprese, sempre da Il Fatto: “Alcuni giorni fa è arrivata la condanna per diffamazione della blogger Lucia Rando, a causa dei commenti lasciati sul forum del suo blog dagli utenti, e le motivazioni della sentenza di Massimiliano Tonelli che sul suo blog “Cartellopoli” aveva accolto dimostrazioni di protesta contro la cartellonistica abusiva di Roma. Tonelli è stato condannato in primo grado per istigazione a delinquere a 9 mesi di reclusione e al risarcimento di 20mila euro perché responsabile, scrive ilTribunale di Roma, “anche per il contenuto dei messaggi in esso pubblicati”. Infine, il ministro della Giustizia Cancellieri ha concesso pochi giorni fa alla procura di Nocera Inferiore l’autorizzazione a procederenei confronti di 22 utenti del blog di Beppe Grillo accusati di vilipendio nei confronti del Capo dello Stato”.

E naturalmente è già pronto lo strumento legislativo, affinato in anni di proposte di legge avanzate dalla destra e ora finalmente rispolverate con spiti bipartisan. Lo stesso ddl intercettazioni – che pure è stato pensato per aiutare delinquenti abituali prestati alla politica – contiene un codicillo che “vuole introdurre l’obbligo di rettifica entro 48 ore dalla richiesta per tutti ‘i siti informatici’, senza distinguere tra un blog amatoriale e un sito gestito in maniera professionale. Se l’obbligo non viene rispettato si rischia di pagare fino a 12.500 euro di multa”. Della serie: non scrivete più nulla, sennò vi togliamo anche le mutande.

Un esempio? “L’attuale ministro della Pubblica amministrazione Gianpiero D’Alia aveva proposto una norma – poi abrogata – che introduceva la ‘repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet’ e prevedeva l’oscuramento dei siti, inclusi dunque anche Twitter e Facebook, qualora i contenuti segnalati non venissero rimossi dal gestore”.

Quale cultura politico-istituzionale si nasconde dietro questa reattività isterica e poliziottesca? Lo spiega un avvocato specializzat sulle tematiche di rete, come Guido Scorza: “La nostra è una classe politica abituata a confrontarsi in rete come faceva Berlusconi, che pubblicava un video o un contenuto sul web senza cercare nessuna comunicazione bidirezionale. E che, probabilmente, non vuole neanche mettersi in discussione”.

Appunto: fascisti nel cervello, per carenza.

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1 Commento


  • Francisco

    “Qualche blogger è già stato condannato, anche se a questi non è arrivata la solidarietà da parte di Yoani Sanchez (si sa, l’unico blogger buono è quello filo-occidentale, gli altri possono crepare).”

    Pur essendo contro una qualsiasi forma di censura e penalizzazione mi chiedo se i compagni possano dire di essere stati tollerati al pari della Sanchez o di Grillo.
    Se c’illudiamo che ai comunisti venga lasciata libertà di comunicazione allora stiamo freschi… qualcuno tempo fa tacciava i compagni d’invidia verso il grillismo, ebbene sì: brucia la libertà concessa a tutti meno che a noi.
    Le ragioni sono storiche.

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